Dal lampredotto fiorentino alla crescia marchigiana, dai supplì laziali agli arrosticini di pecora abruzzesi, passando per le tigelle modenesi e i pani ca meusa palermitani: anche lo street food, il cibo da mangiare prevalentemente per strada, è in grado di raccontare la biodiversità gastronomica del nostro Paese.
Purtroppo è spesso associato all’idea di ingredienti dalla dubbia qualità, di grassi e di condimenti scadenti, una sorta di fast food ambulante, in cui le materie prime e le lavorazioni tradizionali non sono tenute in gran conto. Questo dà spesso origine a situazioni paradossali, come il fatto di poter mangiare la stessa porchetta a Torino come a Lecce.
Ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato: complice il rinnovato interesse per lo street food da parte di riviste, programmi televisivi, siti Internet e persino chef stellati (Heinz Beck, Mauro Uliassi, Massimo Bottura e Gualtiero Marchesi, per esempio, hanno elaborato la propria idea di street food), il cibo di strada italiano è tornato alla ribalta. E abbiamo assistito alla riscossa dei chioschetti, dei baracchini e di quelle ricette che uniscono risparmio, gusto e tipicità.
A questo tipo di ristorazione, diretta ed efficace, di sicuro divertente, si stanno affiliando quei ristoratori capaci di offrire cibo buono con materie prime selezionate: ne è un esempio il successo della piazza dedicata alle cucine di strada durante gli eventi organizzati da Slow Food in grandi manifestazioni come il Salone del Gusto, Slowfish e Cheese. Uno spazio pensato appositamente per riunire nello stesso spazio la gastronomia italiana grazie a preparazioni sfiziose e originali: nel giro di pochi passi, diventa possibile attraversare l’Italia di strada, assaggiando di tutto, dalle olive all’ascolana alle “bombette” di Alberobello, fino alla farinata livornese.