Sono trascorsi oltre cinquecento anni prima che l’attenzione del Vecchio Continente si concentrasse sulle particolarità della cucina proveniente dalle Americhe. Alcuni prodotti (come il pomodoro, la patata, il mais e il cioccolato) nel corso del XVI secolo avevano già attraversato l’Atlantico approdando sulle tavole europee. Ma solo in anni recenti la gastronomia latino-americana ha iniziato a proporsi su scala mondiale, forte di una ricchezza d’ingredienti davvero straordinaria.
La cultura dell’America Latina si può definire e riassumere con un termine: mestizaje (“mescolanza”). L’incontro di culture è diventato un valore da quando l’espansione della globalizzazione ha portato al recupero delle tante tradizioni locali in cui una comunità si riconosce. Nelle principali città dell’America Latina si è cominciato a reinterpretare la storia gastronomica in chiave contemporanea. Uno degli esempi più interessanti è il Messico, dove la cucina è considerata uno degli elementi fondanti della cultura nazionale, tanto da essere inserita dall’UNESCO nella lista dei Patrimoni culturali immateriali dell’umanità.
Si tende, di solito, a descrivere la cucina di questa parte del mondo come un amalgama tra cultura indigena e ricette portate dai colonizzatori. In Brasile questo incontro comprendeva anche una forte componente di cultura africana e le peculiarità di regioni con tradizioni assai distinte. Oggi molti prodotti indigeni, da sempre utilizzati nella cucina popolare e in grado di esprimere al meglio l’identità del territorio, si vanno riscoprendo: tra questi l’umbù, Presidio Slow Food proveniente dal bioma Caatinga, il pequi, usato spesso per accompagnare riso e pollo, e tipico del bioma Cerrado e lo jatobá, ricchissimo di vitamine e sali minerali. Questa cucina e questo approccio iniziano a uscire allo scoperto con nuove forme di ristorazione popolare, ma non per questo “povera”: Rodrigo Oliveira e Wanderson Medeiros, due giovani chef nel firmamento della cucina brasiliana, gestiscono ristoranti a prezzi accessibili e hanno dimostrato l’orgoglio di sentirsi dei pionieri che portano alla gente gli elementi di una nuova identità, che si sta liberando del tutto dagli stilemi di una gastronomia importata o imposta dal Vecchio Continente. Non soltanto i risvolti sociali, identitari e “filosofici” sono di alto livello, ma la cucina stessa propone gusti e sensazioni inediti, con i prodotti della Mata Atlântica, della pampa argentina, delle Ande peruviane, della cordigliera cilena, dell’Amazzonia.
Per molti latino-americani che vivono nelle città si tratta di un patrimonio in gran parte ancora inesplorato, che si esprime con determinazione e creatività: una rivoluzione di cui siamo solo all’inizio, un movimento culturale da seguire con molta attenzione e soprattutto “decolonizzando” il nostro immaginario, esattamente come hanno fatto i suoi protagonisti.