Storia e origini del caffè

STORIA E ORIGINI DEL CAFFÈ

Che cos’è il caffè, e come si arriva dalla pianta alla tazza?

Da secoli sinonimo di piacevole pausa di ristoro, il caffè è una bevanda nervina dai mille aspetti, che tutti i Paesi del mondo hanno interpretato in modo diverso e pure simile. Una tazzina o una tazza grande di calore, di aroma, di gusto dolce e amaro a un tempo, che dà energia, aiuta ad aprire gli occhi al nuovo giorno o a rilassarsi per un momento durante la giornata. Vediamo da dove viene, il caffè, quali sono le sue caratteristiche principali e come si ottiene una tazza di bevanda perfetta.

La natura del caffè

“Caffè”, oltre a essere il nome di una bevanda, è anche il nome comune di una bella pianta tropicale, dai cui semi si produce la bevanda nota in tutto il mondo. Quali sono le sue caratteristiche e quali lavorazioni subiscono i semi per poterci dare l’aroma di una tazzina?

La pianta del caffè

È una pianta sempreverde che può crescere fino a 18 m nelle zone tropicali a clima caldo e umido, dove le abbondanti piogge si alternano a periodi asciutti. Anche l’altitudine è importante: dev’essere compresa fra i 200 e i 2000 m: la pianta del caffè, appartenente a una delle oltre 100 specie descritte nel genere Coffea, è molto delicata e può essere danneggiata, oltre che dai parassiti, dal gelo e dal calore eccessivo, ma anche dal vento. La coltivazione è impegnativa, anche se, per facilitare la raccolta, le piante sono tenute entro un’altezza massima di 3 m. Le foglie sono scure e lucide come quelle dell’alloro; i fiori, bianchi e riuniti in grappoli di 7, hanno un profumo simile al gelsomino e si possono trovare sullo stesso ramo insieme ai frutti, come accade nelle piante di agrumi. Dopo essere sbocciati, i fiori sono impollinati per azione del vento o degli insetti.
La produzione di frutti diventa massima a partire dai 5 anni di vita della pianta e dura circa 15 anni; successivamente diminuisce per esaurirsi a circa 20 anni.
Queste piante sono largamente coltivate in Brasile, il primo Paese produttore, in Colombia e dal resto del Sud America, in Kenya, in Etiopia e in Costa d’Avorio, oltre che in India, dove si producono i caffè monsonati (p. 215), sempre più popolari.

LA LEGGENDA DEL CAFFÈ

Dalla regione di Kaffa, in Etiopia, dove si presume siano state coltivate le prime piante del genere Coffea, verso il XIV secolo il caffè si diffuse in Arabia dove, in breve tempo, diventò la bevanda ufficiale.
Secondo una leggenda orale, la bevanda al caffè sarebbe stata preparata da Allah in persona e inviata a Maometto, sofferente, per mezzo dell’arcangelo Gabriele: nera come la pietra sacra de La Mecca, doveva servire a rinvigorire il Profeta, e a renderlo instancabile e acuto. Dopo averla bevuta, Maometto si sarebbe miracolosamente ripreso, le sue forze sarebbero tornate più vigorose di prima e avrebbe così iniziato a predicare.
Il caffè arrivò in Italia solo nel Settecento, grazie ai mercanti veneziani: pochi anni prima, nel 1671, frate Antonio Naironi scriveva un trattato dal titolo De saluberrima potione (Sulla pozione più salutare) sulla storia del caffè, questa nuova e deliziosa bevanda proveniente dall’Oriente. Qui si narra che il caffè sia stato scoperto nello Yemen, nei pressi della città di Mokha, grazie ad alcuni monaci che avevano ricevuto da un pastore un sacchetto di strane bacche rosse che, mangiate dalle capre, le rendevano particolarmente agitate. Pensando a una presenza diabolica, avrebbero gettate le bacche nel fuoco, il grande purificatore (allora si usava bruciare tutto ciò che fosse sospettato di avere a che fare con il diavolo, dai gatti neri alle persone). Ma dalle fiamme si sparse nell’aria un aroma delizioso: un monaco, evidentemente dimentico della natura “maligna” delle bacche, o semplicemente curioso di indagare la natura di un nuovo vegetale (nell’antichità, i monaci erano grandi studiosi delle piante) le recuperò dalla cenere e le immerse nell’acqua per studiarle meglio. “Miracolosamente”, il profumo riempì l’ambiente e l’acqua si colorò di bruno: tentato, il monaco la assaggiò scoprendo che era deliziosa e dalle proprietà tonificanti e rinvigorenti, sia per il corpo che lo spirito. Da quella volta, il caffè non ha più nulla di diabolico, e viene apprezzato in tutto il mondo.

Il frutto del caffè

Dal punto di vista botanico, viene definito una drupa, cioè un frutto carnoso che, anche diventato completamente maturo, non si apre spontaneamente per fare uscire il seme che contiene. La struttura della drupa è caratterizzata da un buccia sottile (o esocarpo), una polpa centrale (il mesocarpo carnoso e ricco di succo) e un nocciolo legnoso al centro (l’endocarpo), che protegge un unico seme molto duro.
Nella pianta del caffè, la buccia è verde nei frutti acerbi, rossa (o gialla nella varietà Bourbon) nei frutti maturi. All’interno, si trovano quasi sempre due semi che si sviluppano fronteggiandosi con il lato appiattito; quando se ne sviluppa uno solo, è rotondo – da qui il nome di caffè perla o caracolito – sicuramente di qualità superiore. Chiamati chicchi, sono ricoperti da due membrane sovrapposte: il pergamino e la pellicola argentea.

Le varietà di caffè

Delle oltre 100 specie di piante che producono caffè, solo una ventina sono coltivate a livello industriale, e solo 4 sono rilevanti per il mercato mondiale. Riassumiamo le loro caratteristiche.

  • Coffea arabica
    Senza dubbio è la specie più pregiata e ha un contenuto in caffeina inferiore a quello delle altre specie. Coltivata a quote comprese fra i 900 e i 2000 m, è molto delicata e autoimpollinante. Nonostante ciò, la quasi totalità della produzione mondiale punta proprio su questa specie.
    I semi hanno una forma ovale e un solco serpentino: se ne ricava un caffè dolce per l’alto contenuto di zuccheri (8%), aromatico e con una percentuale di caffeina dell’1,1-1,7%.
    Le varietà di arabica più famose sono:
    Ankola e Mandheling, i due caffè fra i più noti al mondo, lavorati a freddo e raccolti rigorosamente a mano, coltivate in Sumatra;
    Bourbon e Santos, coltivate in Brasile;
    Maragogype, famosa per i suoi chicchi molto grandi, è originaria del Brasile ma coltivata soprattutto in Guatemala, Honduras, Messico;
    Moka, coltivata soprattutto in Arabia, con semi piccoli e molto aromatici;
    Typica, coltivata in tutto il mondo;
    Medellin, la migliore per corposità e acidità; Armenia un po’ più leggera ma dall’aroma eccellente; Vintage Colombian conservato otto anni in magazzino prima della tostatura; tutti prodotti in Colombia.
    L’arabica viene coltivata nelle aree tropicali comprese fra i due Tropici, dove i raggi del Sole sono quasi perpendicolari al suolo per gran parte dell’anno.
  • Coffea excelsa
    Scoperta in Africa solo nel 1903, pare sia solo una varietà della specie Coffea liberica.
    Anch’essa non molto importante dal punto di vista commerciale, è molto resistente alla siccità e alle malattie, e i suoi chicchi, invecchiando, possono essere profumati come quelli dell’arabica.
  • Coffea liberica
    È la meno diffusa: proveniente dalla Liberia (da cui il nome) viene coltivata anche in Costa d’Avorio e nell’Africa occidentale. I chicchi sono grandi quasi il doppio rispetto a quelli dell’arabica, ma la qualità è decisamente inferiore. Negli ultimi tempi, una serie di incroci realizzati in Madagascar ha prodotto ulteriori varietà di questa specie che sembrano dare un prodotto di discreta qualità.
  • Coffea robusta o canephora
    Viene chiamata “robusta” (più spesso che “canephora”, nonostante questo nome sia considerato più corretto da un punto di vista botanico) perché questo nome ne sottolinea le caratteristiche più evidenti: la notevole resistenza e adattabilità. Originaria dei bassopiani africani nella Liberia orientale, nel Kenya meridionale e del bacino del Congo, sopporta molto meglio delle altre specie il gelo, il grande calore improvviso e il vento, e può crescere fin dai 300-600 m di quota. Cresce in zone decisamente più agevoli per gestire la piantagione in modo meccanizzato, ed è quindi una coltivazione certamente più economica.
    I chicchi che produce sono tondeggianti, con un solco centrale diritto, dal gusto decisamente amaro per la scarsità di zuccheri (5 %) e l’elevato contenuto di caffeina (2-4 %).
    Le varietà più coltivate sono:
    Culi Nguyen Trung con un contenuto di caffeina di circa il 40% in più rispetto alla maggior parte dell’arabica, coltivato in Vietnam;
    Kwilu, coltivato in Costa D’Avorio, un Paese fra i più grandi produttori di caffè a livello mondiale, e Congo.
    La robusta si coltiva anche in Madagascar, in Brasile, Messico e in Indonesia. Una parte della produzione è destinata all’industria del caffè solubile.
  • Coffea arabusta
    È una varietà creata anni fa (1974) dall’incrocio delle due specie arabica e robusta. Ancora poco coltivata e orientata prevalentemente al mercato francese, l’arabusta unisce le caratteristiche di resistenza e facile coltivazione della robusta alla qualità aromatica dell’arabica. La quantità di caffeina presente è intermedia rispetto a quella delle due specie.

Specie a confronto: arabica contro robusta

Coffea arabica
Zona di crescita: fascia fra i due Tropici
Quota di crescita: 900-2000 m sul livello del mare (slm)
Forma del chicco: ovale, con un solco serpentino
Contenuto di caffeina: 1,1-1,7%
Caratteristiche organolettiche: il caffè è aromatico, poco amaro
Principali Paesi produttori e varietà prodotte:
Brasile: Bourbon, Santos, Paranà, Rio
Jamaica: Blue Mountain
Colombia: Medellin, Armenia, Vintage Colombian
Guatemala: Maragogype, Typica, Bourbon
Costarica: Volcanos, Santiago
El Salvador: Central Standard, High Grown
Messico: Maragogype, Veracruz, Oaxaca
Sumatra: Ankola, Mandheling


Coffea robusta o canephora
Zona di crescita: fascia fra i due Tropici
Quota di crescita: 300-600 m slm
Forma del chicco: tondeggiante con solco diritto
Contenuto di caffeina: 2-4%
Caratteristiche organolettiche: il caffè è amaro e corposo
Principali Paesi produttori e varietà prodotte:
Costa d’Avorio e Congo: Kwilu
Vietnam: Culi Nguyen Trung

Caffè particolari

  • I caffè monsonati
    Con questa denominazione si indicavano, in passato, i caffè che presentavano un particolare sapore a causa dell’esposizione dei chicchi ai venti monsonici: importati dall’India, i sacchi di caffè viaggiavano a lungo nelle stive dei velieri del Vecchio Mondo prima di giungere in Europa. Il gusto salato del mare, portato dal vento fino in fondo alle navi, veniva assorbito dal caffè che sviluppava così un profilo aromatico particolarmente interessante. L’affermarsi delle navi da trasporto con compartimenti stagni ha impedito, a questi aromi, di continuare a fissarsi nei chicchi. Tuttavia, il rimpianto per questo gusto così particolare ha fatto sviluppare in India un nuovo modo di lavorare il caffè: lasciando il raccolto sulla spiaggia per i 4 mesi in cui i monsoni portano le nubi dal Mar Arabico a rilasciare il loro carico d’acqua sulla terra, si ottengono chicchi dal colore giallo dorato che producono un caffè dal gusto intenso e dal sapore deciso con tinte floreali e a volte cioccolatose, che richiama molto quello di un tempo. Oggi, il caffè monsonato si produce con maggior rapidità, semplicemente mettendo il caffè negli umidificatori e rimuovendolo rapidamente, in modo da evitare fermentazioni indesiderate. L’importante è che, in fase di umidificazione, sviluppi la specie di muffa dorata che gli conferisce quel particolare aroma sempre più spesso ricercato in tutto il mondo.
  • Il Kopi Luwak
    Caratteristica produzione indonesiana, questo caffè ha una storia “naturale” molto particolare: i suoi semi vengono dispersi nell’ambiente dallo zibetto delle palme (Paradoxurus hermaphroditus, in lingua locale, luwak) che vive soprattutto nelle foreste di Giava e Sumatra. Ghiotto dei frutti di caffè (kopi, in lingua locale), riesce a digerire la polpa e le proteine superficiali del chicco, che poi espelle con le feci.
    Questo “trattamento” (una biofermentazione che viene studiata da alcuni ricercatori), trasforma in parte i frutti che, raccolti dal terreno e tostati, producono un caffè dal particolare sapore dolce con sfumature aromatiche simili a quelle del cacao.
    Per la difficoltà di trovare in natura questi frutti digeriti, il kopi luwak è disponibile solo in piccolissime quantità (circa 230 kg l’anno), è, perciò, costosissimo: circa 133 dollari (100,32 €) per un etto di semi, circa 7 euro per una tazzina.
    Ma, come spesso capita, l’uomo si sta ingegnando per aumentare questa produzione così remunerativa. A farne le spese sono gli zibetti: catturati nella foresta, vengono messi in piccole gabbie, e sono costretti a mangiare grandi quantità di caffè senza potersi muovere liberamente per variare la propria dieta. Dopo almeno 3 anni di questo trattamento, durante il quale molti impazziscono o muoiono mentre chi li alleva diventa ricco, i superstiti vengono rimessi in libertà per riprodursi.

Il nuovo sarò Maître, sarò Barman
Il nuovo sarò Maître, sarò Barman
Corso di Sala e Vendita per il primo biennio