L’espressione “gastronomia molecolare e fisica” è stata coniata nel 1988 da Nicholas Kurti, fisico ungherese, e da Hervé This, fisico-chimico e gastronomo francese, per indicare una sottodisciplina della scienza degli alimenti che intendeva studiare le trasformazioni chimiche e fisiche che si verificano negli ingredienti di una
preparazione culinaria durante la cottura. Ma la nascita di questa cucina si consolida durante il congresso Scienza e gastronomia svolto a Erice nel 1992, dove si sviluppa l’idea di cucinare sfruttando le numerose innovazioni tecnologiche mutuate dalle discipline scientifiche.
Esempi di preparazioni molecolari sono il pesce (avvolto in foglie di porro per evitare che diventi dolce) cotto in una miscela di zuccheri fusi anziché nell’olio bollente, il gelato preparato usando azoto liquido (-196 °C) o l’uovo “cotto” con alcol etilico a 95°. Pioniere della cucina molecolare è Ferran Adrià, che ha messo a punto sostanze (denominate texturas: emulsionanti, addensanti e gelificanti soprattutto artificiali) da aggiungere alle preparazioni per ottenere il risultato desiderato. Esponenti di spicco in Italia sono il fisico Davide Cassi e il cuoco Ettore Bocchia, che hanno redatto Il manifesto della cucina molecolare italiana, e lo chef Massimo Bottura che, nel suo ristorante modenese, propone una cucina molecolare armonizzata a quella tradizionale.
Il largo uso di schiume, gelatine, additivi e altre sostanze artificiali, tuttavia, ha reso questo tipo di cucina piuttosto controverso fin dall’inizio, facendo pensare che la sua invenzione sia soprattutto un’idea delle industrie chimiche che, sfruttando come testimonial alcuni cuochi famosi, avrebbero portato avanti una gigantesca operazione di marketing. Per questo motivo, alcuni chef rigettano questa definizione, preferendone altre come cucina multisensoriale, cucina modernista o sperimentale.