La cucina del Medioevo

La cucina del Medioevo

Con le invasioni barbariche, gli usi frugali delle nuove popolazioni impoveriscono la cucina di tutto l’Occidente: nel primo Medioevo si mangiano i pochi cereali che i barbari non saccheggiano e le verdure dell’orto. Non solo, la crescente influenza della Chiesa da un lato e dell’Islam dall’altro impongono una rigida liturgia alimentare: la carne è proibita ai cristiani per circa un terzo dell’anno, così come il maiale – largamente allevato e usato nei paesi d’Occidente – è vietato in tutto il Mediterraneo islamico. Periodi di digiuno, in cui carne, latte, formaggio, burro e uova sono proibiti, si alternano a periodi di festa in cui anche i poveri, che normalmente patiscono la fame, si possono permettere qualcosa in più. Ci vuole poco ad arricchire la tavola, visto che l’alimentazione quotidiana comprende pane d’orzo e zuppe di legumi e verdure.
La cottura al forno e a fuoco moderato viene abbandonata e sopravvive solo la cottura allo spiedo o in marmitta a fiamma viva.
Nei banchetti dei potenti, i cibi non sono presentati in un ordine prestabilito e vengono cucinati usando spezie in abbondanza: cigni e gru, maiale e salumi, formaggi, verdure e frutta sono le portate principali, mentre la birra è la bevanda preferita, seguita da vino e sidro. 
Dall’anno Mille in poi le novità in agricoltura – dalla rotazione triennale dei campi che ne aumenta il rendimento, all’adozione di nuovi attrezzi come il vomere in ferro – permettono un miglioramento delle condizioni medie di vita e un ulteriore aumento della popolazione, pur sempre decimata da carestie ed epidemie di peste. Si sviluppano anche nuove coltivazioni che porteranno importanti cambiamenti gastronomici: gli Arabi portano nel nostro paese la canna da zucchero, il riso, l’uso di ridurre in polvere le spezie da mescolare a carne e pesce e quello del marzapane e del torrone, ancora oggi prodotti prelibati non solo del Sud.
Con lo sviluppo del monachesimo, la rinascita delle città e il rifiorire dei mercati, torna anche l’attenzione per la buona tavola. Sebbene legata al territorio, ai suoi prodotti e alle usanze della tradizione, la cucina diviene, ancora una volta, uno strumento per manifestare il proprio status: i nobili e i prelati di alto livello, mangiano – spesso in pubblico, circondati da mendicanti – cibi raffinati, proposti secondo una rigida etichetta.
Iniziano “aprendo” lo stomaco con un aperitivo caldo e secco, fatto di confetti di spezie glassati con zucchero o miele e accompagnati da vino e latte. Seguono poi le portate di frutta, di verdura (soprattutto lattuga, cavolo e portulaca), di carni “leggere” come selvaggina fresca insaporita con spezie, pollo o capretto con minestre e brodo, seguite dalle carni “pesanti” (maiale e manzo) con altra frutta e verdura. Infine un digestivo che “chiude” lo stomaco: cubetti di zucchero speziato o vino insaporito con spezie e abbinato a pezzetti di formaggio stagionato. Gli anonimi ricettari italiani e francesi del Trecento documentano una cucina che, pur dando un posto di primo piano alle carni con il gusto dolce-salato e dolce-forte, fa spazio a verdure e preparazioni più popolari, come minestre o salse leggere.
Nel tardo Medioevo, la crescente prosperità dei ceti medi di mercanti e commercianti porta molti borghesi a imitare l’aristocrazia anche a tavola: mentre nelle abitazioni del popolino la cucina coincide con l’unica stanza dove si vive usando il fuoco per cucinare, riscaldarsi e illuminare l’ambiente, in quelle della borghesia diventa un locale a parte dove lavorano numerose persone, ognuna delle quali si specializza in una particolare tecnica. Circondati da numerosi aiutanti, troviamo l’esperto nella preparazione di spiedi, quello abile nella lavorazione al mortaio, o nelle salse, o nei brodi e così via.

Protagonisti in Cucina
Protagonisti in Cucina
Corso di enogastronomia per il secondo biennio e il quinto anno