alimentiamoci

la contaminazione degli alimeNti

Le contaminazioni

In generale possiamo dire che un alimento si contamina quando entra in contatto con elementi estranei che lo rendono pericoloso, o potenzialmente tale, per la salute di chi lo consuma. La presenza di fattori contaminanti non causa necessariamente il deterioramento degli alimenti e spesso non è rilevabile dai sensi. Considerando anche i volumi e l’estensione geografica degli attuali scambi di prodotti alimentari, il rischio legato alle contaminazioni dei cibi è oggi molto elevato.

Negli ultimi decenni si sono verificate infatti diverse epidemie globali di origine alimentare che hanno portato ad alzare la soglia di attenzione sull’igiene e la sicurezza di ciò che mangiamo, dalla sua produzione alla sua vendita.

La FAO (Food and Agriculture Organization) rappresenta a livello mondiale un organo di vigilanza e sensibilizzazione sui rischi di contaminazione di cibo e acqua. In Europa l’autorità con il compito di valutare i rischi relativi alla sicurezza degli alimenti e dei mangimi è rappresentata dall’EFSA (European Food Safety Authority).

In base all’intenzionalità, una contaminazione può essere:

  • dolosa, quando è il frutto di un’azione intenzionale, destinata a migliorare l’aspetto di un alimento senza curarsi delle possibili conseguenze per la salute. In termini legali si tratta di azioni definite sofisticazioni o più genericamente frodi alimentari;

  • colposa, quando è il risultato di un’azione involontaria, dovuta a negligenza, imperizia, imprudenza o mancata osservanza dei protocolli d’igiene o dei disciplinari di produzione.

In base alla loro natura, gli agenti contaminanti si distinguono in:

  • contaminanti fisici: sono rappresentati da oggetti, frammenti di materiali e particelle solide inorganiche che possono finire nel cibo, spesso provenienti dai macchinari usati nell’industria alimentare oppure da elementi di origine umana. Un particolare tipo di contaminazione fisica è rappresentato dalle emissioni prodotte da alcuni radioisotopi;
  • contaminanti chimici: includono sostanze chimiche più o meno tossiche generalmente riconducibili ai prodotti usati in agricoltura per stimolare la crescita dei raccolti e tenere sotto controllo le erbe infestanti e gli animali nocivi;
  • contaminanti biologici: riguardano gli organismi biologici o le sostanze da essi prodotte, presenti negli alimenti e in grado di arrecare danno alla salute una volta ingeriti.

In base agli effetti, i contaminanti possono causare:

  • intossicazioni acute, quando gli effetti collaterali insorgono in modo improvviso ed evidente. In questi casi la reazione al contaminante è tanto più violenta quanto maggiore è la dose a cui ci si è esposti;
  • intossicazioni croniche, quando le manifestazioni dovute alla contaminazione compaiono in un arco temporale lungo, a seguito di esposizione prolungata. In questi casi gli effetti collaterali possono avere varia intensità e comparire in momenti differenti a seconda della dose di esposizione.

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la fao

La FAO, fondata nel 1945 dalle Nazioni Unite, dal 1951 ha sede a Roma. Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura, è stata costituita con l’intento primo di ridurre la fame nel mondo. La FAO aiuta i suoi Paesi membri (attualmente 191 più l’Unione Europea), a produrre e attuare programmi di sicurezza alimentare e a orientare la produzione agraria verso un miglior rapporto ambiente-energia-sostenibilità. In questi anni si è concentrata in particolare sulla prevenzione delle emergenze dovute alle malattie transfrontaliere degli animali e delle piante. Ha istituito il giorno mondiale della fame (il 16 ottobre) e ha redatto il Codex Alimentarius, testo di riferimento per tutte le nazioni contenente regole e normative per proteggere la salute dei consumatori e assicurare la correttezza degli scambi internazionali.

l'efsa

L’EFSA nasce nel 2002, con sede a Parma. È finanziata dal bilancio dell’Unione Europea, ma opera in modo autonomo sia rispetto alla Commissione e al Parlamento europei sia rispetto agli Stati membri. Fornisce consulenza scientifica ai singoli Paesi e agli organismi dell’Unione, informandoli sui rischi esistenti ed emergenti. Si è occupata di valutare la sicurezza di fitofarmaci, additivi e organismi geneticamente modificati, ma anche di affrontare problemi causati da contaminazioni chimiche e biologiche.

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La contaminazione fisica

La contaminazione fisica degli alimenti può derivare dalle materie prime utilizzate nel processo produttivo o può avvenire nelle fasi di lavorazione. Tra le materie prime, gli ortaggi, la frutta e la verdura sono gli alimenti maggiormente esposti al rischio di tale contaminazione. Varie possono essere le ragioni per le quali frammenti di terra o di qualunque altro materiale finiscano incorporati nel cibo: le intemperie, l’usura o la scarsa manutenzione dei macchinari, l’inesattezza nelle calibrazioni o nei dosaggi, la distrazione o l’imperizia di un operatore.

A seconda delle loro caratteristiche, distinguiamo diverse tipologie di contaminanti fisici.

  • Terra, terriccio e sassolini sono con­taminanti tipici di verdure, legumi e cereali fatti crescere in campo. Oltre a rappresentare una minaccia di tipo igienico, costituiscono una possibile causa di irritazione per le vie respiratorie, fino al pericolo di lesioni o di soffocamento.
  • Schegge e pezzi di metallo, plastica, vetro, legno o altri materiali causano danni paragonabili a quelli causati da materiale terroso. Si può trattare di parti solide staccatesi dai macchinari o piccoli oggetti persi dagli operatori alimentari.
  • Elementi di origine umana quali peli, capelli, unghie e persino denti sono forme di contaminazione molto comuni e repulsive, ma fortunatamente a basso rischio. Per tale ragione è di legge l’obbligo di usare per gli alimentaristi cuffie e guanti durante il lavoro.

Per ridurre il rischio di contaminazione fisica, per l’ortofrutta si può ricorrere all’idrocoltura (o coltura idroponica), ossia facendo crescere le piante su terreni sintetici e irrigandole con acqua contenente i nutrienti nelle proporzioni normalmente presenti nel suolo.

Nella lavorazione di sfarinati o macinati di varia natura si introducono spesso delle calamite per rimuovere residui metallici, mentre l’impiego di setacci e filtri permette di trattenere particelle indesiderate anche dai liquidi.

In tutti i casi in cui è possibile, è comunque buona norma igienica lavare accuratamente i prodotti prima di cucinarli e consumarli.

Rientra nella contaminazione fisica anche la contaminazione radioattiva, dovuta alle particelle radioattive che, a causa di esperimenti o incidenti nucleari, ricadono al suolo dall’atmosfera entrando nella ▶ catena alimentare. Questa contaminazione risulta particolarmente insidiosa poiché non può essere in alcun modo rilevata con i sensi, e oltretutto non vi è modo di decontaminare il cibo dagli agenti radianti. Incidenti in impianti nucleari (l’ultimo a Fukushima, in Giappone, nel marzo del 2011) o gestioni scorrette dei rifiuti nucleari sono cause possibili della dispersione nell’acqua, nei terreni e nell’aria circostanti di particelle radioattive. Isotopi come il radio-226, lo iodio-131 e lo stronzio-90 emettono radiazioni che provocano mutazioni nel DNA.

Le mutazioni, in chi si espone a tali radiazioni, o assume cibo contaminato, possono causare sia insorgenza di tumori, sia malformazioni nella discendenza. Inoltre alcune particelle radioattive, una volta ingerite, finiscono incorporate nell’organismo, emettendo radiazioni per tutta la vita. Lo stronzio-90 è un esempio di radionuclide che può sostituirsi al calcio nello scheletro e divenire una causa interna di intossicazione cronica e di mutazioni.

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La contaminazione chimica

Rilevare la presenza di elementi chimici potenzialmente nocivi all’interno degli alimenti richiede specifiche analisi, poiché non tutti i prodotti chimici hanno colori, odori o sapori che consentono di identificarli. Persino le conseguenze della contaminazione chimica non sono immediatamente riconoscibili, soprattutto se la quantità di contaminanti assorbiti è bassa: in genere chi li ingerisce avverte sintomi diluiti nel tempo, difficili da ricondurre a una specifica sostanza. Queste intossicazioni croniche infatti si sviluppano come un lento e costante avvelenamento i cui effetti dannosi permangono, anche quando si sospende l’esposizione al contaminante.

I contaminanti chimici sono in genere caratterizzati dalla loro persistenza e dalla conseguente tendenza a bioaccumularsi.

  • Persistenza. Molti contaminanti chimici non sono riconosciuti né utilizzati dagli organismi viventi e di conseguenza occorre molto tempo affinché si degradino. Nel frattempo possono essere trasportati per lunghe distanze dall’aria, dall’acqua, ma anche dagli animali contaminati, senza perdere la loro pericolosità.
  • Bioaccumulo. Gli animali non dispongono di sistemi efficaci per eliminare molti contaminanti chimici, che finiscono assorbiti dal loro organismo. Una volta che queste sostanze entrano a far parte dei tessuti, vi restano, accumulandosi nel tempo. L’uomo e tutti gli animali che si trovano in cima alla catena alimentare sono particolarmente esposti al rischio di assumere quantità maggiori di contaminanti nutrendosi di organismi a loro volta contaminati.

I contaminanti chimici si trovano soprattutto nei prodotti delle coltivazioni e degli allevamenti, ma possono derivare anche da macchinari o trattamenti che trasformano le materie prime, così come dagli imballaggi degli alimenti.

A seconda della loro origine, distinguiamo diverse tipologie di residui chimici:

  • residui agronomici, ovvero i vari prodotti chimici impiegati nelle coltivazioni agricole;
  • residui zootecnici e veterinari, che includono sostanze ad azione farmacologica di uso comune negli allevamenti, soprattutto quelli intensivi;
  • residui di lavaggio, che comprendono i resti dei prodotti usati per la sanificazione degli ambienti di lavoro;
  • residui di scarico, ossia residui presenti negli scarichi di abitazioni e industrie;
  • residui da confezionamento, vale a dire molecole tossiche che possono distaccarsi dai contenitori non adatti a contenere alimenti.

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Micotossine

Nei contaminanti chimici rientrano anche le micotossine, termine con cui si identificano in modo generico tutte le sostanze tossiche prodotte dai funghi. Si tratta indubbiamente di sostanze di origine biologica, comunque annoverate fra i contaminanti chimici perché più simili a questi per il modo in cui si diffondono. Sono micotossine sia le sostanze che rendono alcuni funghi macroscopici velenosi, allucinogeni o mortali, sia quelle prodotte dalle muffe. Le spore delle muffe, in condizioni favorevoli di umidità e temperatura, germinano su leguminose, semi oleosi, frutta secca, cereali e loro derivati. L’eliminazione delle muffe e la cottura degli alimenti in genere non basta a rimuovere le eventuali micotossine termostabili che contaminano il cibo.

Nel contesto della contaminazione chimica le più temute sono le aflatossine prodotte dalle muffe del genere Aspergillus: si tratta di sostanze estremamente tossiche, capaci di indurre tumori, cirrosi epatiche e deformità nei feti. Altre micotossine non meno pericolose sono gli zearalenoni, e le fumonisine e i tricoteceni, prodotti da muffe del genere Fusarium.

Il regno dei funghi

I funghi sono organismi eucarioti con caratteristiche intermedie fra le piante e gli animali, infatti pur non essendo in grado di muoversi, sono eterotrofi e quindi si nutrono di sostanze organiche assorbite dal terreno in cui crescono. I funghi possono essere macroscopici o microscopici. I primi assumono dimensioni tali da emergere visibilmente dal letto del sottobosco. Molti funghi macroscopici sono edibili, ma tutti sono tossici e il rischio per la salute dipende sia dalla dose ingerita sia dalla pericolosità della tossina da essi prodotta.

I funghi microscopici comprendono:

  • le muffe, organismi pluricellulari in cui le cellule si dispongono in lunghi filamenti ramificati, detti ife, che formano un micelio, ovvero un ammasso intricato di ife che ricorda la trama di un tessuto;
  • lieviti, organismi unicellulari che si moltiplicano per gemmazione o formando delle spore.

I lieviti e le muffe sono ampiamente utilizzati nell’industria alimentare e farmaceutica: in particolare quando è necessario un processo di fermentazione (nella produzione di pane, birra e vino) ma anche per produrre formaggi quali il Gorgonzola o il Camembert, e nella produzione di medicinali come il cortisone e molti antibiotici. Tuttavia alcuni ceppi di questi funghi microscopici, in particolare di muffe, producono sostanze tossiche o cancerogene per l’uomo.

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La contaminazione biologica

Gli alimenti costituiscono un terreno di crescita e di propagazione ideale anche per una grande varietà di organismi viventi potenzialmente patogeni, ma la loro ingestione assieme al cibo non costituisce necessariamente motivo di preoccupazione grazie alle numerose linee di difesa di cui dispone il nostro corpo: la masticazione, i succhi gastrici, il microbiota intestinale e il sistema immunitario rappresentano in condizioni normali ostacoli efficaci contro i potenziali danni che questi organismi possono arrecare alla salute.

Alcuni organismi dispongono tuttavia della capacità di superare tali barriere e di causare disturbi più o meno gravi all’organismo, rendendoli a tutti gli effetti dei contaminanti biologici patogeni. Rispetto alla contaminazione chimica, quella biologica tende a provocare patologie acute che, in diversi casi, si risolvono da sole senza l’ausilio dei farmaci.

Fra gli agenti biologici rientrano i prioni, i virus, i batteri con le loro tossine e i parassiti (unicellulari e pluricellulari). Infine vanno citati i molti insetti, volatili, piccoli e grandi mammiferi che intervengono sia come vettori che come serbatoi intermedi di microrganismi o parassiti.


AGENTE CONTAMINANTE PATOGENO DIMENSIONI PATOLOGIA GENERICA ESEMPIO DI PATOLOGIA
prioni inferiore a 10 nm encefalopatia TSE
virus inferiore a 100 nm (0,1 μm) virosi epatite A
batteri fra 0,2 e 30 μm infezione, tossinfezione salmonellosi, shigellosi
tossine batteriche inferiore a 10 nm intossicazione botulismo, colera
parassiti (unicellulari e pluricellulari) da decine di μm a oltre il metro infestazione toxoplasmosi, giardiasi, anisakidosi
artropodi e vertebrati (insetti, animali domestici e da allevamento) dimensioni varie oltre il cm veicoli di patogeni  

Prioni

I prioni sono delle particelle proteiche presenti nel tessuto cerebrale degli animali che possono assumere spontaneamente una conformazione tridimensionale anomala. Non appena si forma un prione anomalo, esso stimola altri prioni simili nelle vicinanze a cambiare conformazione, generando una reazione a catena. I prioni anomali tendono poi a polimerizzare fra loro formando fibrille proteiche che bloccano le normali funzionalità delle cellule nervose. Nel cervello delle specie colpite si formano dei tipici vacuoli che danno un aspetto “spugnoso” al tessuto nervoso, da cui il nome di encefalite spongiforme attribuito a questa malattia dal decorso sempre fatale.I prioni anomali sono estremamente resistenti e difficili da denaturare e mantengono la capacità infettiva anche dopo che l’animale in cui si sono formati muore. Se altri animali di specie uguale o affine si nutrono della sua carne, rischiano anch’essi di essere contagiati dall’encefalite spongiforme trasmissibile (TSE). Molte varianti della TSE (come la BSE bovina e la scrapie ovina) sono sospettate di essere trasmissibili per via alimentare anche all’uomo (in cui la TSE è definita morbo di Creutzfeldt-Jakob) a causa della somiglianza molecolare fra i prioni di questi animali e quelli umani.

Nel 1986 in Inghilterra esplose un’epidemia di TSE fra i bovini, causata dai mangimi che contenevano farine di carne contaminata da prioni anomali. I sintomi di demenza manifestati dalle vacche contagiate furono definiti “sindrome della mucca pazza”. La crescita dell’epidemia di TSE fu fermata grazie all’introduzione, a partire dal 1988, del divieto di utilizzo di farine di carne e ossa di ruminanti per l’alimentazione del bestiame.

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Virus

In termini semplici, i virus sono delle “scatole” poliedriche di proteine (capside), talvolta avvolte da una membrana lipidica (pericapside), contenenti al loro interno un filamento di DNA o di RNA che costituisce il genoma virale. Per replicarsi, queste forme di vita estremamente elementari devono necessariamente infettare delle cellule eucariote o batteriche. L’infezione virale è specie-specifica: questo significa, per esempio, che i virus che hanno per bersaglio le cellule umane non contaminano altri animali. In vari casi tuttavia si è assistito al cambiamento della specie bersaglio a causa di una mutazione del DNA virale.

Una volta riconosciuta la cellula bersaglio, il virione (ossia il singolo virus) vi libera all’interno il proprio acido nucleico. Sfruttando i complessi molecolari della cellula, il genoma virale si replica e avvia la sintesi delle proprie proteine. Le proteine virali e le nuove copie di acidi nucleici si assemblano poi spontaneamente per formare molteplici cloni del vibrione iniziale. Infine la cellula infettata si lacera e libera all’esterno i nuovi virioni, i quali potranno immediatamente infettare altre cellule vicine. Un singolo virione è dunque sufficiente per dare inizio a una virosi.

Le virosi di origine alimentare sono causate da un ristretto gruppo di virus (Rotavirus, Norovirus, epatite A ed E) e si trasmettono seguendo un ciclo oro-fecale, cioè per contaminazione indiretta del cibo da parte di liquami infetti.

La trasmissione oro-fecale

La trasmissione oro-fecale è una delle modalità di trasmissione di alcune malattie infettive i cui agenti patogeni presenti nell’intestino – e dunque nelle feci – di un individuo giungono nel cavo orale di un altro individuo, sano, attraverso vari veicoli o vettori. Tale individuo, contagiato a sua volta, diventa così un nuovo incubatore dell’agente patogeno.

I passaggi possibili per un virus, un batterio o un parassita da un intestino infetto a uno sano sono riassunti in inglese dalle 7F: attraverso le feci (faeces), il contatto con le dita (fingers), i rapporti sessuali (fornication), le superfici e gli oggetti infetti (fomites), il cibo contaminato (food), le acque (fluids) e gli insetti, in particolare le mosche (flies). Un tipico esempio di trasmissione oro-fecale si verifica impiegando acqua o concime contaminati nelle coltivazioni di piante destinate al consumo umano o al foraggio.

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Batteri

I batteri sono procarioti, ossia organismi unicellulari in grado di condurre vita autonoma, caratterizzati da un’organizzazione interna semplice. Il loro citosol è privo degli organelli normalmente presenti negli eucarioti (nucleo, mitocondri, cloroplasti, reticolo endoplasmatico, apparato di Golgi). Il loro genoma principale è costitui­to da un lungo filamento circolare di DNA addossato a un’estremità del citosol (a formare un nucleoide), oltre a un numero variabile di filamenti circolari minori di DNA, noti come plasmidi, contenenti pochi geni trasmissibili. I batteri dispongono anche di una parete cellulare esterna di spessore variabile (batteri Gram-positivi e Gram-negativi) con il compito di proteggerli e regolare gli scambi con l’ambiente esterno.

I batteri hanno forme molto diverse che possono essere apprezzate con l’ausilio di microscopi elettronici: tra quelle più ricorrenti ci sono i bacilli a forma di bastoncino, i cocchi dall’aspetto tondeggiante (streptococchi se crescono a catenelle, stafilococchi se formano delle strutture a grappolo e diplococchi se restano appaiati) e i vibrioni a forma ricurva a virgola. Altri batteri di forme meno comuni nel contesto delle contaminazioni sono le spirochete (vermiformi), gli spirilli (a spirale allungata), i batteri clavati ed elicoidali. Talvolta i batteri acquatici sono dotati di uno o più flagelli, simili a delle fruste roteanti con azione propulsiva, mentre per facilitare l’adesione alle superfici solide i batteri presentano talvolta delle cilia, sporgenze di membrana filiformi che rivestono la loro superficie esterna come un piumino.

Batteri Gram-positivi e Gram-negativi

Un particolare esame di laboratorio messo a punto dallo scienziato danese Christian Gram nell’Ottocento ci permette di classificare i batteri anche in un modo diverso, suddividendoli in Gram-positivi e Gram-negativi. Si tratta di un processo di colorazione applicabile sia a frammenti di tessuti sia ai batteri in coltura, al termine del quale la parete cellulare di alcuni batteri (detti Gram-positivi) diventa viola, mentre quella di altri batteri (detti Gram-negativi) diventa rosa. Tra le specie e i batteri Gram-positivi ci sono Bacillus, Clostridium, Enterococcus, Lactobacillus, Listeria e Staphylococcus. Tra le specie e i batteri Gram-negativi ci sono Brucella, Campylobacter, Salmonella, Shigella e Vibrionaceae.

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La patogenicità dei batteri

Di tutti i batteri che conosciamo soltanto il 10% è da considerarsi patogeno in senso stretto per l’uomo, mentre circa il 20% è opportunista, ossia diviene patogeno solo se si verificano condizioni favorevoli per infettare l’uomo (una ferita aperta, un individuo debilitato da un’altra malattia o comunque immunodepresso).

I batteri che causano infezioni o intossicazioni alimentari, e che dunque sono veicolati da alimenti contaminati, rappresentano un gruppo ristretto. Inoltre, per determinare l’insorgenza di un disturbo alimentare un singolo batterio non è sufficiente. La quantità minima di agenti patogeni necessari a causare una malattia è definita dose infettante minima (DIM). Tale valore può variare molto da una specie patogena all’altra: ad esempio per avere il 50% di probabilità di contrarre la salmonellosi un individuo sano deve ingerire un alimento che contenga circa un centinaio di salmonelle, mentre per ammalarsi di colera occorrono ben 100 milioni di vibrioni del colera.

La riproduzione dei batteri

La riproduzione dei batteri, che porta al rapido aumento della loro presenza, solitamente avviene per scissione binaria o per gemmazione. La scissione binaria avviene quando da una cellula se ne originano due di dimensioni pressoché uguali, mentre la gemmazione è caratterizzata dalla formazione di una gemma dalla cellula madre che, inizialmente, appare come una piccola protuberanza e che in seguito si ingrandisce fino a formare una cellula matura. In entrambi i casi vengono formati cloni della cellula madre, ovvero organismi geneticamente identici tra loro.

Anche se si riproducono per via asessuata, in situazioni particolari i batteri sono in grado di scambiarsi parte del materiale genetico. In sostanza, alcuni batteri “donatori” possono trasferire a batteri “riceventi” dei frammenti del loro DNA: in questo modo i batteri riceventi danno origine a una popolazione batterica che ha caratteristiche diverse da quelle iniziali. Proprio questo meccanismo, detto coniugazione, è alla base della farmaco-resistenza acquisita, che rende molti ceppi di batteri “immuni” a intere famiglie di antibiotici.

Alcuni batteri, chiamati sporigeni, sono in grado di produrre forme di resistenza (spore) attraverso un meccanismo chiamato sporulazione. Ricorrono a questa modalità quando le condizioni ambientali sono particolarmente ostili. Le spore sono infatti strutture cellulari estremamente resistenti che possono rimanere quiescenti (cioè inattive) molto a lungo, in attesa che si presenti un contesto favorevole alla riproduzione e alla vita del batterio: alcune spore batteriche sono rimaste quiescenti ma vitali addirittura per più di 500 anni. La resistenza delle spore batteriche in situazioni che generalmente risultano letali per i batteri rappresenta un serio problema sanitario: per eliminare le spore da un alimento o da una superficie infetta è infatti necessario ricorrere a trattamenti termici prolungati oltre i 100-120 °C, che permettono di intaccare il loro spesso guscio protettivo.

Al loro interno, le spore contengono sia il DNA cellulare sia le strutture necessarie a superare condizioni di stress, come temperature elevate (molte spore resistono ai processi di cottura), la carenza parziale o totale di acqua (essiccamento), l’esposizione a raggi UV o a disinfettanti chimici.

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BATTERI SPORIGENI E CONTAMINAZIONE ALIMENTARE

Genere

Patologia connessa

Clostridium tetani

tetano

Clostridium botulinum

botulismo

Bacillus anthracis

carbonchio

Bacillus cereus

tossinfezioni alimentari

In tabella sono riportati alcuni batteri sporigeni responsabili di gravi contaminazioni biologiche. I primi due per vivere necessitano di un ambiente privo di ossigeno (sono cioè anaerobi) e sporulano quando si trovano in presenza di ossigeno. Al contrario, i secondi per vivere necessitano di ossigeno (sono cioè aerobi) e ricorrono alla sporulazione quando si trovano in assenza di tale elemento.

La crescita batterica

In un sistema chiuso (e cioè in un ambiente in cui le risorse non sono infinite, per esempio un alimento) una popolazione tende ad aumentare di numero seguendo l’andamento di una curva di crescita caratteristica. Come tutti gli esseri viventi, per crescere e riprodursi anche i microrganismi hanno bisogno di condizioni ambientali favorevoli. Conoscere quali siano tali condizioni favorevoli alla vita dei microrganismi è importante per due ragioni:

  • consente di individuare le situazioni “a rischio” (cioè quelle in cui potrebbe verificarsi la contaminazione di un alimento);
  • in alcuni casi permette di intervenire per eliminare gli elementi contaminanti.

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La curva di crescita batterica

In un sistema chiuso, ossia in un ambiente in cui le risorse nutritive sono limitate, la crescita batterica segue un andamento caratteristico distinto in quattro fasi.

  • Fase di latenza: i batteri “prendono confidenza” con l’ambiente in cui sono capitati e si limitano ad attivare i geni che producono enzimi utili alla divisione e all’assorbimento dei nutrienti.
  • Fase di crescita geometrica: in questa fase si verifica un accrescimento esponenziale: a intervalli regolari di tempo la popolazione raddoppia.
  •  Fase stazionaria: quando i nutrienti iniziano a scarseggiare, la popolazione smette di crescere (il numero di nuovi batteri formati è pari a quelli che muoiono) e si mantiene costante nel tempo.
  • Fase di declino (o di morte): se nel sistema chiuso non si aggiungono altri nutrienti, i batteri muoiono per mancanza di risorse e per accumulo dei ▶ metaboliti tossici: il loro numero decresce rapidamente.

Fattori che influenzano la crescita batterica

Le condizioni ottimali di sviluppo dei batteri variano molto in base alla specie. I batteri sono infatti microrganismi molto adattabili e molte specie, definite estremofile, possono addirittura sopravvivere solo in ambienti estremi, in cui nessun’altra forma di vita riuscirebbe a svilupparsi, come le solfatare vulcaniche, i geyser, o le acque del Mar Morto. Conoscere i fattori che influenzano in modo positivo o negativo la vita dei microrganismi ha notevolmente migliorato la nostra capacità di contenere le contaminazioni, conservare gli alimenti e curare le infezioni.

I fattori principali che condizionano la vita batterica sono la temperatura, l’ossigeno, l’acqua, il pH, la pressione, la salinità e le radiazioni.

Temperatura

In campo alimentare, il controllo della temperatura è senza dubbio il metodo più diffuso ed efficace per influenzare la vita dei microrganismi, sia quando si desidera eliminare i contaminanti biologici (per esempio sterilizzando ad alte temperature), sia quando – al contrario – si vuole stimolare lo sviluppo di specie di interesse alimentare (come nella trasformazione del latte in yogurt). In base alla loro sensibilità termica i batteri si distinguono in:

  • psicrofili: l’intervallo di temperatura che consente loro di vivere è compreso all’incirca tra 0 e 20 °C (la temperatura ottimale è pari o inferiore ai 10 °C). In natura questi batteri si possono trovare nelle zone ghiacciate o innevate e nelle acque profonde. Riescono a evitare la formazione di cristalli di ghiaccio nel loro citosol grazie a proteine ad azione “antigelo”. A temperature inferiori a 0 °C non muoiono, ma smettono di moltiplicarsi ed entrano in uno stato di quiescenza, definito batteriostasi, da cui si possono risvegliare non appena le temperature tornano a salire;
  • mesofili: il loro intervallo termico è compreso fra i 15 e i 45 °C, con un picco ottimale di crescita fra i 35 e 40 °C. Questa categoria comprende gran parte delle specie microbiche del pianeta e include molti batteri patogeni per l’uomo, la cui temperatura ottimale è la stessa di quella corporea umana (37 °C);
  • termofili: crescono in ambienti caldi con temperature comprese tra 40 e 70 °C, con un optimum intorno ai 60 °C. I loro habitat ideali sono le acque geotermali dei geyser. Sono invece definiti ipertermofili quei batteri estremofili che raggiungono un picco di crescita fra gli 80 e i 110 °C. Alcuni di essi si sviluppano sulle bocche dei vulcani sottomarini a temperature prossime ai 400 °C. Queste categorie di batteri difficilmente finiscono a contatto con gli alimenti.

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Ossigeno 

L’ossigeno è un altro parametro cruciale nel controllo dello sviluppo batterico. L’ossigeno presente nell’aria (20%) rappresenta una necessità per alcuni batteri e una causa di morte per altri, ma esistono molte condizioni metaboliche intermedie. In base alla capacità di sopravvivenza in presenza o assenza di ossigeno i batteri si distinguono in:

  • aerobi: si definiscono così i batteri che riescono a vivere in presenza di ossigeno; si trovano nell’aria che respiriamo, così come su tutte le superfici a contatto con l’aria, sia solide sia liquide. Questo genere di batteri degrada le sostanze nutritive che assorbe dall’ambiente esclusivamente per ossidazione;
  • anaerobi: per i batteri di questo tipo, l’ossigeno è un gas tossico con effetti letali e la degradazione dei nutrienti avviene esclusivamente per fermentazione. Questi batteri riescono a crescere solo in luoghi privi di ossigeno libero, come le profondità dei mari, dentro le confezioni di cibo sotto vuoto o sottolio, o all’interno di organismi (per esempio l’intestino degli animali, le radici degli alberi);
  • aerobi-anaerobi facoltativi: vi rientrano i batteri in grado di vivere sia in presenza che in assenza di ossigeno.
Acqua

Come abbiamo visto, i batteri necessitano di un ambiente ad alto contenuto di acqua libera per potersi sviluppare (indice Aw > 0,9), a differenza di funghi e muffe che richiedono concentrazioni minori di acqua. Ciò dipende essenzialmente dal fatto che i batteri non riescono a estrarre i nutrienti da un tessuto o un alimento troppo secchi, poiché gli enzimi che essi liberano nell’ambiente esterno devono potersi diffondere nel mezzo liquido per digerirne le macromolecole. Un batterio che contamina la superficie di un biscotto o una caramella, per esempio, non potrà dunque moltiplicarsi sulla sua superficie o penetrarne lo spessore per carenza d’acqua libera. Un’eccezione importante è rappresentata dai batteri alofili, ossia capaci di crescere in ambienti saturi di sale (come il Mar Morto), il cui Aw si aggira intorno a 0,75.

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pH

La maggior parte dei batteri si sviluppa preferibilmente a un valore di pH intorno alla neutralità (6,6-7,5). Esistono tuttavia numerose situazioni più isolate in cui i livelli di acidità e di basicità sono ben più estremi, ma anche in queste condizioni si ritrovano dei batteri capaci di svilupparsi al meglio.

Da questo punto di vista i batteri si distinguono in:

  • neutrofili: si definiscono così i batteri che si trovano a loro agio in ambienti con valori di pH tra 5,5 e 8,5. Tali batteri sono fra i più numerosi e a questo gruppo appartengono sia i batteri che vivono in simbiosi con l’organismo (microbiota umano) che molti patogeni;
  • acidofili: sono tali i batteri in grado di vivere in ambienti anche molto acidi, con valori di pH compresi tra 1 e 5,5, come i bordi delle solfatare da cui si sprigiona acido solforico in forma di gas, ma anche all’interno dello yogurt (pH circa 4) o dell’aceto (pH circa 3);
  • basofili o alcalofili: all’estremità opposta della scala del pH, fra i valori 8,5 e 11,5, troviamo batteri che preferiscono gli ambienti basici, come i laghi di soda.
Altri fattori che influenzano la crescita batterica

Oltre a quanto appena elencato, è possibile influire sullo sviluppo dei batteri intervenendo su numerosi altri fattori, tra i quali:

  • la pressione: la maggior parte dei batteri vive a una pressione ambientale pari a 1 atmosfera; tuttavia sono stati trovati batteri, detti barofili, in profondità oceaniche in cui si superano le 400 atmosfere;
  • le radiazioni: i batteri sono sensibili ai raggi UV; le radiazioni ultraviolette con lunghezza d’onda pari a 260 nm hanno un elevato contenuto energetico e sono in grado di danneggiare il DNA dei microrganismi, e vengono infatti utilizzate nei processi di decontaminazione delle acque e di sterilizzazione delle attrezzature.

Tossine batteriche

Le tossine non sono propriamente degli organismi viventi, ma molecole prodotte da batteri e funghi in grado di determinare effetti dannosi (intossicazioni) anche in dosi minime. Oltre alle tossine fungine (micotossine), già trattate nella contaminazione chimica, esistono anche tossine di origine batterica, che causano intossicazioni alimentari, classificate in esotossine ed endotossine.

  • Le esotossine sono proteine poco resistenti alle alte temperature (termolabili) che il batterio libera nel terreno (o nell’alimento) in cui cresce, come sostanze di scarto. Le esotossine che alterano la funzionalità delle membrane degli enterociti e del sistema digerente nel suo complesso sono dette più precisamente enterotossine. Le patologie che ne derivano in genere si risolvono senza ricorrere a farmaci, ossia hanno un decorso autolimitante, ma alcune forme come il colera e il botulismo sono molto gravi e talvolta letali.
  • Le endotossine sono molecole naturali presenti nella parete cellulare di tutti i batteri Gram-negativi (per es. salmonelle), costituite da una componente polisaccaridica e da una lipidica. Queste tossine termoresistenti vengono liberate alla morte del microrganismo e possono provocare, già a basse concentrazioni, diarrea, febbre, ipotensione e numerosi altri disturbi.

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Parassiti

I parassiti sono organismi che dipendono da un altro organismo superiore, detto ospite, per compiere il proprio ciclo vitale. Molti parassiti entrano nell’organismo umano attraverso il cibo, provocando patologie anche gravi. Alcuni di questi sono protozoi, costituiti da un’unica cellula, mentre altri, come i vermi parassiti (elminti), sono pluricellulari (o metazoi).

In genere si tratta di organismi il cui ciclo vitale prevede di parassitare due distinti organismi ospite: sul primo formano delle strutture di resistenza, le cisti, che vengono ingerite da un secondo organismo (che si nutre del primo) all’interno del quale, una volta giunti nel sistema digerente, questi parassiti crescono, si moltiplicano e infine producono delle uova che verranno liberate nell’ambiente con le feci dell’ospite, in un ciclo tipicamente oro-fecale. Le infestazioni raramente conducono alla morte dell’organismo ospite, poiché è da esso che dipende la vita del parassita, ma in individui particolarmente debilitati l’infestazione può avere un decorso letale.

Protozoi

I protozoi sono un gruppo molto ampio di eucarioti unicellulari eterotrofi che di solito si riproducono per via asessuata. La maggior parte dei protozoi parassiti dell’uomo vive in acque dolci o salate, alcuni invece crescono in ambiente terrestre, solitamente su materiali organici in decomposizione. Tra le patologie causate dai protozoi parassiti ci sono la toxoplasmosi, le amebiasi e la giardiasi.

Vermi parassiti

Tra i parassiti si annoverano anche alcuni tipi di vermi (elminti), organismi pluricellulari (metazoi) in grado di infettare l’uomo e gli animali, come i cestodi, i nematodi e i trematodi.

  • Tra i cestodi, che appartengono al phylum dei platelminti o “vermi piatti”, i più noti sono le tenie. Le tenie hanno un corpo segmentato che può raggiungere una lunghezza di 6-8 metri. Nella forma adulta vivono attaccate alla parete intestinale dell’ospite. Si alimentano con i nutrienti assunti da quest’ultimo, interferendo così con l’assorbimento e il transito intestinale.
  • I nematodi sono vermi cilindrici non segmentati con estremità affusolate. Possono determinare la comparsa di patologie alimentari serie e infettare molti organi, tra i quali fegato, reni, occhi e intestino. L’Ascaris lumbricoides è all’origine dell’infezione alimentare da nematodi più comune nell’uomo: l’ascaridosi. Negli ultimi anni, in Italia sono notevolmente aumentati i casi di anisakidosi, patologia causata da un nematode chiamato Anisakis. I nematodi causano anche patologie di origine non alimentare, come la filariosi, diffusa tra gli animali domestici: in questo caso il contagio avviene attraverso le punture di zanzare.
  • I trematodi sono vermi poco sviluppati in lunghezza, di forma schiacciata e piatta che, come i cestodi, appartengono al phylum dei platelminti. Dotati di bocca che presenta una o due ventose, vivono nel corpo dell’ospite, parassitandolo. Il trematode più pericoloso dal punto di vista delle contaminazioni alimentari è la Fasciola hepatica, che danneggia il fegato.

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Artropodi e vertebrati

Molti macrorganismi sono vettori di agenti contaminanti responsabili di patologie alimentari. Microrganismi e parassiti possono aderire sulla loro superficie o svilupparsi al loro interno senza necessariamente causare una patologia. Il vettore in questi casi è definito ospite asintomatico o specie serbatoio. Oltre all’uomo e agli animali domestici, i vettori più pericolosi sono artropodi (insetti e acari) e alcuni vertebrati (ratti, topi, piccioni e pollame).

  • Tra gli artropodi che più minacciano il settore alimentare si segnalano mosche, formiche, blatte, acari e vespe. In particolare, mosche, blatte e formiche possono contaminare gli alimenti con microrganismi provenienti da rifiuti o escrementi animali. Le sole mosche sono vettori di circa 20 diverse patologie conosciute.
  • Tra i vertebrati, i roditori come topi e ratti sono temibili vettori di infezioni anche letali, quali salmonellosi, peste, leptospirosi, colera e tifo murino. Inoltre rappresentano una seria minaccia per gli alimenti e per gli ambienti di lavoro: spesso, infatti, distruggono derrate alimentari, fili elettrici, oggetti d’arredamento e così via. Onnivori e caratterizzati da un ciclo riproduttivo molto veloce, sono presenze frequenti nei depositi di cereali o di verdure ricche di amido, ma anche presso i bidoni dei rifiuti. Il rinvenimento di escrementi di roditori (o di rosicchiamenti e raschiature) deve essere considerato segno di una vera e propria contaminazione ambientale. Anche alcuni volatili, come i piccioni, sono particolarmente pericolosi. Le feci dei piccioni possono essere portatrici di quasi 60 diverse patologie, incluse salmonellosi e aspergillosi. Inoltre, sono veicolo di pulci, cimici e zecche che, a loro volta, possono infettare l’uomo.

La difesa dalle contaminazioni veicolate da macrorganismi si effettua soprattutto intervenendo sulle strutture industriali, al fine di evitare l’ingresso degli animali negli edifici. È utile installare esche o trappole, lampade a luce miscelata o a raggi UV, bande adesive, e impiegare pesticidi specifici.

Protagonisti in Cucina
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Corso di enogastronomia per il primo biennio