PRODUZIONE E MERCATO NELL’ORTOFRUTTA

PRODUZIONE E MERCATO NELL'ORTOFRUTTA

I cibi provenienti dal mondo delle piante hanno costituito il “piatto forte” dell’alimentazione umana fin dalla comparsa dei primi ominidi. Per circa 2 milioni di anni, infatti, l’uomo si è nutrito prevalentemente di semi, di frutta e di tuberi che trovava abbondanti in natura. Poi, circa 12 000 anni fa, imparò a coltivare le piante più utili, scegliendo – anno dopo anno – quelle che davano un raccolto migliore o frutti più saporiti: iniziò così quella selezione che in territori diversi, portò a produrre numerose varietà di ortaggi e di frutti. Ma così come gli scambi culturali arricchiscono i popoli, gli scambi commerciali diffusero nel mondo nuove specie alimentari. Durante il Medioevo, per esempio, gli Arabi portarono in Europa numerose coltivazioni: dal riso agli spinaci, dai pistacchi agli agrumi, dal caffè alle melanzane. Un nuovo arricchimento della tavola europea avvenne dopo la scoperta delle Americhe: nel 15° secolo, furono importati il mais e le patate, i pomodori e i peperoni, la zucca e il fagiolo rosso, la vaniglia e il cacao.

Con il mutare delle condizioni sociali ed economiche, le diverse culture dei vari Paesi del mondo hanno portato a selezionare specie vegetali differenti, adatte ad abitudini alimentari estremamente varie. In aggiunta, negli ultimi anni la scienza ha prodotto gli OGM, discussi organismi geneticamente modificati che rispondono a specifiche necessità alimentari.

Oggi, nel nostro mondo industrializzato, la crescente disponibilità di una vastissima gamma di prodotti e la curiosità verso altri popoli ci permettono un’infinità di scelte: imparare qualcosa in più sulle verdure, sugli ortaggi, sulla frutta, sulle alghe e sui funghi, oltre che sul modo di lavorarli in cucina, ci permetterà di scegliere in modo più consapevole e con gusto.

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La tradizione e la modernità nelle coltivazioni

L’impegno maggiore dell’agricoltura è sempre stato quello di fornire materie prime di buona qualità e in quantità sufficienti ai bisogni della popolazione.

Dal Medioevo a tutto il 17° secolo, la rotazione biennale dei campi lasciati incolti per un anno (maggese) permetteva a commerci e popoli di prosperare. Con il progressivo sviluppo dei mercati, tuttavia, e con la decisa crescita della popolazione, la domanda di prodotti agricoli per l’industria (lino e canapa per tessuti e funi, ma anche orzo e luppolo per la birra) e per l’alimentazione portò ad adottare sempre più diffusamente nuove tecniche produttive.

Con la rivoluzione industriale, che determinò il progressivo abbandono delle campagne, l’agricoltura si trovò a dover affrontare una produzione crescente disponendo di minor forza lavoro. Si svilupparono così tecniche industriali di produzione agricola basate sull’impiego di macchinari, di concimi chimici, di pesticidi e sulla scelta esclusiva di piante che garantivano un’alta produttività (monoculture). Dal 1960 alla fine degli anni Novanta, nei Paesi industrializzati si ebbe una progressiva scomparsa delle pratiche agrarie tradizionali a favore dell’agricoltura intensiva, con un crescente abbandono (fino alla scomparsa) di molte varietà agro-alimentari locali.

I fattori che riducono la possibilità di sviluppo di questo settore, fondamentale per la nostra sopravvivenza, sono molti e diversi. Fra questi: il continuo aumento dei bisogni alimentari mondiali, la diminuzione delle superfici destinabili a colture per via della cementificazione e dell’inquinamento, così come la necessità di contenere i prezzi e di avere a disposizione grandi quantità di materie prime adatte ai processi di trasformazione industriale. Ma anche il fatto che la produzione ottenuta con pratiche tradizionali spesso non è coerente con gli standard qualitativi e di sicurezza imposti dalla legge.

Per questo motivo, e per arginare il crescente squilibrio ambientale dovuto a un’agricoltura sempre più incentrata sull’uso di energia non rinnovabile, si sono sviluppate forme di agricoltura estensiva che, recuperando i valori dell’agricoltura tradizionale, li reinterpretano sfruttando le conoscenze e le tecnologie moderne. Vediamo quali sono le principali forme di coltivazioni “alternative”.

L’agricoltura biologica

L’agricoltura tradizionale prende oggi il nome di agricoltura biologica e costituisce una nicchia di mercato di rilevanza crescente anche se i prezzi sono medio-alti. Con “biologico” si individua un modo di coltivare e di allevare animali basato sull’uso esclusivo di sostanze naturali (escludendo quindi ogni tipo di sostanza e di sintesi chimica, come fitofarmaci, pesticidi o concimi).

L’agricoltura biologica segue un modello di produzione che evita lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali (suolo, acqua e aria), puntando sul benessere di territorio, di animali, piante e persone. Gli animali di allevamento, per esempio, vengono nutriti con erba e foraggio biologici, non assumono antibiotici, ormoni o altre sostanze che stimolino artificialmente la loro crescita e la produzione di latte, e hanno a disposizione un ambiente quanto più possibile vicino a quello naturale. Le piante, poi, vengono selezionate con attenzione alle varietà originarie del territorio e, fra le soluzioni tecnologiche scelte per proteggerle, viene impiegata la lotta integrata, cioè lo sfruttamento di organismi predatori per l’eliminazione dei parassiti.

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L’agricoltura biodinamica

Sebbene nella pratica l’agricoltura biodinamica sia quasi identica a quella biologica, diversamente da questa deriva da una concezione filosofica elaborata nel 1924 da Rudolf Steiner, esoterista e fondatore dell’antroposofia. Oltre a perseguire sostanzialmente gli stessi obiettivi dell’agricoltura tradizionale, questo tipo di coltivazione punta soprattutto sull’uso di un fertilizzante naturale particolare, derivato da un cumulo di 6 erbe officinali e che deve avere una precisa composizione e forma, trovarsi a una data posizione, essere manipolato in modo particolare e distribuito alle piante in dosi omeopatiche. Nella pratica delle lavorazioni, poi, si segue un vero e proprio rituale (irrigazioni con movimenti circolari, tempi definiti ecc.), tenendo conto delle forze cosmiche (cioè seguendo un particolare calendario astronomico) e di quelle terrene (minerali, acqua, aria) e osservando i diversi cicli vitali delle piante. Il termine “biodinamica” è un marchio commerciale della Demeter International, un’associazione di coltivatori che aderisce a un preciso disciplinare sia nella produzione che nella trasformazione dei cibi.

Le colture fuori suolo

Sono coltivazioni di piante che, invece che svilupparsi nel terreno, crescono su un mezzo artificiale. Questa tecnica è stata ideata per condurre una serie di ricerche di fisiologia vegetale: è semplice ma comporta alcune difficoltà economiche e tecniche, così che l’agricoltore deve avere specifiche competenze. Soluzione adeguata alle grandi serre, oggi è applicata alla produzione di una vasta serie di ortaggi perché presenta alcuni vantaggi importanti:

  • è adatta a situazioni ambientali in cui il terreno è povero (per esempio è molto roccioso o sterile);
  • non ci sono dispersioni nel terreno: ciò consente di ridurre al minimo l’uso di acqua (ne basta circa un decimo rispetto a una coltura in terra) e l’uso mirato dei fertilizzanti;
  • rende inutili i diserbanti;
  • azzera quasi l’impiego di antiparassitari;
  • permette di ottenere un raccolto con caratteristiche uniformi nel tempo: dimensioni omogenee e qualità organolettiche costanti, l’ideale per la grande distribuzione.

Secondo il tipo di substrato su cui crescono le piante, si distinguono due tipi di coltura fuori suolo: vediamone le caratteristiche.

La coltivazione idroponica

Il substrato dove si sviluppano le radici è un mezzo artificiale o naturale, maneggevole e leggero, costantemente imbevuto di una soluzione di acqua ed elementi nutritivi attentamente calibrati. Fra i substrati più usati ci sono la sabbia, la ghiaia, la torba, le scorze di pino, l’argilla, la pietra pomice (lapilli), la lana di roccia e la fibra di cocco.

La coltivazione aeroponica

È priva di substrato, perché le radici delle piante, inserite in appositi pannelli forati di sostegno, si sviluppano nell’aria. La soluzione nutritiva viene nebulizzata direttamente sulle radici e da esse assorbita. Questa tecnica di coltivazione è perfetta per essere praticata in serra: in questo ambiente costantemente controllato, l’esposizione agli agenti infestanti è nulla e l’uso di anticrittogamici diventa inutile.

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Le gamme agroalimentari

Tutti i prodotti alimentari vengono classificati in base al grado di trasformazione subita e al metodo di conservazione utilizzato. In particolare, la classificazione che tiene conto del metodo di conservazione e di confezionamento li suddivide in cinque gamme. Fra tutti i prodotti ortofrutticoli, quelli della quarta gamma sono sempre più richiesti: complici di questa tendenza sono la riduzione del numero dei componenti delle famiglie e il minor interesse per la cucina casalinga, sostituita sempre più spesso da veloci pasti fuori casa. Vediamo in particolare quali lavorazioni subiscono i prodotti ortofrutticoli classificati in questa gamma.

LE GAMME ALIMENTARI

1a gamma

Prodotti freschi che hanno subito minime lavorazioni.

2a gamma

Prodotti semilavorati pronti all’uso (conserve, inscatolati, liofilizzati ecc.).

3a gamma 

Prodotti pronti per la cottura (ready to cook come surgelati e congelati).

4a gamma 

Prodotti pronti al consumo (ready to eat come verdura fresca in vaschette).

5a gamma 

Prodotti pronti da riscaldare (ready to heat): freschi, crudi o cotti sottovuoto o in atmosfera protettiva.

La 4a gamma alimentare

Raggruppa prodotti freschi pronti al consumo (ready to eat): frutta, verdura e funghi che vengono sottoposti a varie lavorazioni prima di essere confezionati in buste o vaschette sigillate, spesso in atmosfera protettiva. I prodotti usati sono della migliore qualità, in modo da risultare ancora appetibili dopo lo stress della preparazione. Ovviamente, però, il prezzo al chilo è maggiore rispetto a quello di un ortaggio sfuso: può essere anche 4-5 volte più alto.

Vediamo quali sono le fasi di lavorazione che attraversano questi prodotti.

Raccolta e pre-lavorazione in campo

La raccolta può essere manuale o meccanica. Già in questa fase può essere attuata una prima selezione per grado di maturazione, separando inoltre quei prodotti che mostrino evidenti difetti. Nel trasporto è molto importante evitare di danneggiare o lesionare i prodotti, riducendone la qualità.

Primo lavaggio

Trasportati nelle aziende di lavorazione, i prodotti sono lavati con acque sanitizzate con il cloro così da eliminare residui terrosi e corpi estranei, oltre che indesiderati residui di concimi e fitofarmaci.

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Ispezione e mondatura

Questa operazione viene effettuata in modo manuale: il prodotto viene esaminato attentamente e le sue parti alterate, non idonee alla lavorazione o non utilizzabili (come per esempio le foglie ingiallite in un cespo di insalata) vengono eliminate (mondatura).

Taglio

Questa operazione si esegue solo sulle insalate di grandi dimensioni o altri ortaggi simili, non sui germogli, sulle insalate a ciuffetti (come il soncino) o sui radicchi da taglio.

Secondo lavaggio e sanificazione del prodotto

Gli ortaggi vengono nuovamente lavati con macchine lavatrici (a borbottaggio, a cascata o a tamburo) che eliminano i succhi rilasciati dopo il taglio e i residui di terra e di fitofarmaci rimasti. Per evitare che gli ortaggi imbruniscano stando nell’acqua di lavaggio, si usa aggiungere al bagno sostanze acidificanti e antiossidanti come l’acido citrico e l’acido ascorbico. Per far sì che mantengano la consistenza, invece, viene aggiunto il cloruro di calcio (E509).

Asciugatura

I prodotti sono asciugati con macchine centrifughe oppure in tunnel essiccatori.

Ispezione, dosatura e confezionamento

Dopo l’asciugatura, gli ortaggi vengono nuovamente ispezionati: quelli che non hanno retto bene lo stress delle lavorazioni vengono eliminati. Quindi sono suddivisi in confezioni (buste o vaschette) dal peso predefinito. Nel caso di mix di verdure, gli ortaggi vengono prima miscelati tra loro e poi confezionati.

Preparare e conservare i prodotti “verdi”

Prima di usare ortaggi, frutta, alghe e funghi in cucina, è sempre importante lavarli bene in acqua corrente ma senza tenerli in ammollo, così da limitare la perdita delle vitamine idrosolubili. Inoltre vanno tenuti al fresco fino al momento dell’uso, e se devono essere cotti sarà meglio tagliarli in parti di uguali dimensioni, così che possano cuocere in modo uniforme.

La freschezza e le caratteristiche nutrizionali di questi alimenti possono essere salvaguardate nel tempo con un’adeguata conservazione. I sistemi di conservazione sfruttano diverse tecnologie basate sul calore (cottura), il freddo (refrigerazione, congelazione, surgelazione), l’eliminazione dell’acqua (liofilizzazione), la modificazione chimica (sotto sale, sotto zucchero, sotto aceto, sott’olio) oltre all’uso di un confezionamento in atmosfera modificata che riduce l’ossidazione prodotta dall’ossigeno atmosferico.

La preparazione e la conservazione, tuttavia, influenzano il sapore, l’aspetto e il valore nutritivo di questi alimenti, a volte anche in modo radicale.

Protagonisti in Cucina
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Corso di enogastronomia per il primo biennio