Impiego di oli e grassi

  Impiego di oli e grassi

A temperatura ambiente, gran parte dei lipidi di origine animale hanno una consistenza semisolida (come quella del burro, per intenderci). I lipidi di provenienza vegetale, invece, si presentano per lo più in forma di oli liquidi. L’immersione nel grasso (strutto, sego) o nell’olio (di oliva o di semi) consente di isolare il cibo dall’aria e di mantenerlo in un ambiente leggermente acido, il che ostacola lo sviluppo di molte specie batteriche.

Tra gli alimenti che generalmente vengono conservati sott‘olio ci sono ortaggi e pesce.

Quando si utilizza questa tecnica di conservazione, il rischio principale è rappresentato dal botulino, un batterio che si sviluppa proprio in ambienti anaerobi e leggermente acidi e che produce una tossina dagli effetti potenzialmente letali. Per questo, i prodotti conservati sott’olio spesso vengono preventivamente sottoposti a sterilizzazione.

  Impiego di aceto

L’aceto si ottiene per fermentazione acetica di varie materie prime (come vino, cereali e mele) a opera di alcuni batteri del genere Acetobacter (vedi p. 417). Il suo effetto conservante è dovuto alla presenza dell’acido acetico: una sostanza che, in concentrazione superiore al 6%, svolge sia un effetto batteriostatico, poiché determina un abbassamento del pH, sia un effetto battericida, in quanto si tratta di una molecola tossica per molte specie di batteri. Tuttavia l’acido acetico esercita entrambe le azioni in modo molto blando, pertanto l’impiego dell’aceto viene solitamente abbinato all’uso di altre tecniche di conservazione, per esempio la salatura. Gli alimenti tradizionalmente conservati sott’aceto sono in genere verdure come crauti, cipolle e cetrioli, ma anche pesci, soprattutto l’anguilla.

  Aceto e igiene

Prima dell’introduzione dei moderni protocolli d’igiene, l’aceto, anche per il basso costo e per la capacità di respingere le mosche, veniva comunemente usato non solo per la conservazione dei cibi ma anche per la pulizia delle superfici delle cucine.

Oggi l’aceto può essere utilizzato per sgrassare le superfici (per esempio le lame delle affettatrici), ma non è possibile considerarlo un’alternativa a un buon disinfettante.

  Impiego di spezie

L’uso di spezie è antichissimo: già i romani erano soliti impiegarle per la loro azione antifermentante. Il meccanismo mediante cui inibiscono lo sviluppo dei microrganismi non è del tutto chiaro e non è riconducibile a una sola categoria di molecole. Salvia, rosmarino e timo sembrano le più efficaci; il loro effetto conservante deriva dagli oli essenziali che contengono, in particolare l’eugenolo.

Nei Paesi caldi alcune spezie, in primo luogo il peperoncino, sono usate in abbondanza soprattutto per la capacità di nascondere i difetti di conservazione dei cibi. Il loro effetto batteriostatico, infatti, è alquanto debole, nonostante la tradizione associ al piccante la capacità di frenare le alterazioni alimentari. In realtà, il “bruciore” dei peperoncini deriva dalla presenza della capsaicina, un alcaloide senza riconosciute proprietà conservanti ma con effetti farmacologici a basse concentrazioni, che si lega violentemente ai termocettori presenti sulla lingua e sul resto del corpo, generando un’illusoria sensazione di bruciore.

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  Impiego di additivi con funzione conservativa

Il progresso della scienza e dell’industria ha portato all’isolamento di alcune molecole che, per i loro effetti chimici, si sono rivelate utili nel settore alimentare, in particolare per quello orientato al commercio.

Queste sostanze, definite ▶ additivi alimentari (o conservanti), costituiscono una “famiglia” molto eterogenea (alcune sono sintetiche e altre naturali). Nel loro insieme sono accomunate dal fatto di migliorare le caratteristiche sensoriali, di conservabilità e di produzione degli alimenti.

Esiste una regolamentazione europea, costantemente aggiornata, che elenca oltre un migliaio di additivi alimentari il cui impiego è autorizzato. Ognuno di essi è identificato con la sigla E seguita da 3 o 4 cifre. Devono comparire sull’etichetta alimentare, nell’elenco degli ingredienti, con la categoria di appartenenza seguita dal loro nome tecnico (per esempio, “antiossidante: acido citrico”), oppure dalla sigla di catalogazione dell’UE (per esempio, “antiossidante: E330”).

L’industria della conservazione alimentare impiega molecole con funzione antimicrobica, antiossidante o acidificante (l’ambiente acido è infatti sfavorevole allo sviluppo dei microrganismi). Tali additivi sono compresi tra E200 ed E370.

Gli additivi con funzione antimicrobica

Gli additivi alimentari con funzione antimicrobica sono molecole che prolungano la conservabilità degli alimenti proteggendoli dal deterioramento da microrganismi (muffe, lieviti e batteri). Fra le sostanze di maggior impiego figurano le seguenti.

  • Acido sorbico (E200) e suoi sali. Sono presenti, per esempio, in prodotti da forno, pasta fresca e ripiena, formaggi e crostacei, e inibiscono lo sviluppo di muffe e lieviti. Possono risultare dannosi se associati ad alcuni conservanti a base di zolfo (E220-E223) o ai nitriti (E249-E250). I sali sono presenti nei frutti del sorbo di montagna, ma si ottengono anche per sintesi. Si tratta di molecole efficaci nell’inibire lo sviluppo di lieviti e muffe.
  • Acido benzoico (E210) e suoi sali e derivati. Sono presenti, per esempio, in succhi di frutta, bibite, salse e conserve. Efficaci contro batteri e lieviti, sono di origine naturale (dai mirtilli) oppure artificiale. Possono innescare reazioni allergiche e, se associati a vitamina C, portare alla formazione di benzene (cancerogeno).
  • Anidride solforosa (E220) e suoi sali (solfiti e solfati) e derivati. Si possono ritrovare soprattutto nel vino, nell’aceto e nella frutta secca. Per la loro efficacia contro batteri e funghi, sono sostanze comunemente usate nel trattamento successivo alla raccolta dell’uva e dei mosti. Oltre a ridurre la biodisponibilità di tiamina (vitamina B1), possono causare allergie e intolleranze.

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  Additivi alimentari e coadiuvanti tecnologici

Gli additivi alimentari non vanno confusi con i coadiuvanti tecnologici, un insieme di sostanze usate in fase di lavorazione, trasformazione o estrazione del prodotto allo scopo di ottenere precisi effetti tecnologici.

Tali sostanze infatti, a differenza degli additivi alimentari, per legge devono essere rimosse dall’alimento dopo che hanno svolto la loro funzione: non possono permanere nel prodotto finito.

Esempi di coadiuvanti sono l’anidride carbonica, il diclorometano e l’etilacetato impiegati per la decaffeinizzazione.

fissa il concetto

Sigla

Sostanze

Principali alimenti interessati

Pericolosità

E200-E203

acido sorbico e suoi sali

prodotti da forno, pasta fresca e ripiena, formaggi e crostacei

se associati a conservanti a base di zolfo o a nitriti (composti mutageni)

E210-E219

acido benzoico e suoi sali e derivati

succhi di frutta, bibite, salse e conserve

se associati a vitamina C (benzene)

E220-E227

anidride solforosa e suoi sali e derivati

vino, aceto e frutta secca

allergie e intolleranze

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Gli additivi con funzione antimicrobica secondaria

Vengono definite additivi con funzione antimicrobica secondaria le molecole usate per scopi diversi da quelli conservativi (per esempio come emulsionante o acidificante), ma che esercitano anche un effetto antimicrobico. Le più comuni sono le seguenti.

  • Nisina (E234). È l’unico antibiotico tollerato fra gli additivi. Essendo di natura proteica, viene degradato durante la digestione senza determinare effetti collaterali. Si ottiene a partire dal latte e viene usato con funzione emulsionante e stabilizzante soprattutto negli yogurt e nelle salse.
  • Nitriti e nitrati di sodio e potassio (E249-E252). Sono sostanze usate per mantenere vivo il colore delle carni macellate e conservate. Usate come conservanti, ostacolano lo sviluppo dei pericolosi clostridi. Tuttavia i nitriti, durante la digestione, possono trasformarsi in nitrosammine cancerogene. Questo fenomeno può essere contrastato dall’assunzione di vitamina C (E300).
  • Acido acetico (E260). È naturalmente presente in molti frutti, ma si ricava dall’azione fermentativa dell’Acetobacter. Usato come conservante in alcuni prodotti dolciari (caramelle, confetti, gomme da masticare) contro batteri e funghi, inibisce in particolar modo lo sviluppo della salmonella. A elevate concentrazioni può risultare corrosivo per i tessuti organici.
  • Acido lattico (E270). È prodotto dai fermenti del latte nella trasformazione in yogurt: è efficace nell’inibire lo sviluppo dei clostridi, ma è usato nella panificazione anche per le sue proprietà emulsionanti, acidificanti e antiossidanti.
  • Acido propionico (E280) e suoi sali. Si ricavano sia per via naturale (fermentazione) sia per sintesi. Sono efficaci per combattere i funghi, e vengono utilizzati sopratutto nei prodotti da forno e nel trattamento superficiale dei formaggi. L’acido propionico è caratterizzato da un odore sgradevole; ad alte concentrazioni risulta corrosivo e infiammabile.
fissa il concetto

Sigla

Sostanze

alimenti interessati

Pericolosità

E234

nisina

yogurt e salse

minima

E249-E252

nitrato di Na e K

nitrito di Na e K

carni e insaccati

formazione di nitrossamine

E260-E264

acido acetico, acetati e diacetati

alcuni prodotti dolciari (caramelle, confetti, gomme da masticare)

potenzialmente corrosivo ad alte concentrazioni

E270

acido lattico

yogurt, pane e prodotti da forno

minima

E280-E283

acido propionico e suoi sali

pane e prodotti da forno, formaggi

potenzialmente corrosivo ad alte concentrazioni

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Gli additivi con funzione antiossidante

Alcuni additivi alimentari sono in grado di bloccare l’azione ossidativa dell’ossigeno contenuto nell’aria e della luce. Sono particolarmente utili per evitare l’irrancidimento dei lipidi, soprattutto di quelli insaturi, e i cambiamenti di colore di molti alimenti. L’ossidazione può causare anche perdita di consistenza e di vitamine, diminuzione del potere nutritivo e formazione di prodotti nocivi. L’additivo antiossidante più impiegato è la vitamina C (E300 o acido ascorbico), assieme ai suoi sali e i suoi esteri, ma si usano anche la vitamina E (tocoferoli, E306-E309) e le lecitine (E322).

Gli additivi con funzione acidificante

L’effetto conservante degli additivi con funzione acidificante è limitato alla diminuzione del pH generale che essi determinano nell’alimento. A valori di pH inferiori a 5,5 gli alimenti diventano “terreni” difficilmente colonizzabili per molti microrganismi.

Molecole utili a questo scopo sono l’acido citrico, l’acido tartarico e l’acido fosforico.

additivi alimentari e sicurezza

Il termine “conservante” genera spesso nel consumatore un immediato senso di diffidenza e il sospetto che si tratti di sostanze tossiche, ▶ mutagene o cancerogene.

L’EFSA (European Food Safety Authority) è l’organo europeo di vigilanza incaricato di verificare periodicamente che ciascun additivo, usato nei modi e nelle concentrazioni indicate, non presenti rischi per la salute umana.

Come riportato nei Regolamenti europei «gli additivi alimentari devono essere tenuti sotto osservazione continua e sottoposti a nuova valutazione ogni volta che il mutamento delle condizioni del loro uso e nuove informazioni scientifiche lo rendano necessario».

Indubbiamente, questo continuo aggiornamento della sicurezza alimentare per gli additivi è un fatto auspicabile, soprattutto in un settore ad alto contenuto tecnologico come quello dell’industria alimentare moderna.

  Unione Europea: una legislazione prudente

La lista degli additivi consentiti e le dosi giornaliere ammissibili (DGA) non sono identiche in tutti i Paesi del mondo. L’Unione Europea, adottando criteri di grande prudenza, ha opportunamente preso in considerazione sia la quantità massima somministrabile per ogni additivo, sia il possibile effetto negativo generato dall’uso combinato di alcuni di essi. Inoltre ha stabilito che alcuni alimenti non possono contenere additivi: si tratta di miele, oli e grassi animali e vegetali, latte e alcuni derivati, acqua, caffè, tè, zucchero e pasta secca. Gli altri alimenti sono stati suddivisi in una ventina di categorie, per ciascuna delle quali si è provveduto a elencare gli additivi testati e consentiti per legge, indicando caso per caso le eventuali restrizioni.

Purtroppo, però, in alcuni Stati la sicurezza alimentare non è l’unico criterio a determinare la politica in materia. Le pressioni degli attori della scena commerciale possono, infatti, modificare i margini di applicabilità del principio di precauzione e forzare l’impiego di particolari additivi nei disciplinari alimentari. Tutto ciò anteponendo interessi privati alla salute pubblica. Si tratta di situazioni limitate, ma in caso di dubbio spetta al consumatore informarsi ed evitare di acquistare prodotti a rischio. Le scelte oculate dei consumatori possono spingere il produttore a perdere interesse verso l’utilizzo, per esempio, di certi additivi sospetti.

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concetti in mappa

  Le tecniche biologiche di conservazione

Le tecniche biologiche di conservazione si basano sull’impiego di organismi viventi, e in particolare di microrganismi, sfruttandone l’azione per rallentare l’alterazione degli alimenti. Consistono essenzialmente in diverse tipologie di fermentazione.

  Fermentazione

I processi di fermentazione spontanea degli alimenti sono solitamente indesiderati, poiché causano deterioramento di cibi e bevande. Ma non sempre è così: sin dall’antichità, l’uomo ha trovato gradevoli alcuni alimenti fermentati, e ha notato che le trasformazioni subite dagli alimenti ne miglioravano la conservabilità. Oggi sappiamo che alla base della fermentazione naturale vi è un insieme eterogeneo di microrganismi, definiti fermenti, tra i quali si distinguono lieviti e batteri.

Dal punto di vista chimico la fermentazione è un’ossidazione anaerobica (ossia avviene senza utilizzare l’ossigeno). L’attività digestiva dei fermenti si accompagna sempre alla produzione di nuovi prodotti chimici, fra cui alcol, vari acidi organici e gas. Se per i fermenti tali prodotti sono solo molecole di scarto, per l’uomo possono avere un valore sia alimentare sia commerciale.

Proprio in base ai prodotti ottenuti si possono distinguere diverse tipologie di fermentazione:

  • fermentazione alcolica;
  • fermentazione lattica;
  • fermentazione acetica;
  • fermentazione propionica.

Sono proprio i prodotti delle fermentazioni (per esempio l’alcol etilico) a migliorare la conservabilità dell’alimento, inibendo la crescita di microganismi alterativi e interrompendo i processi fermentativi stessi.

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La fermentazione alcolica

Alla base della fermentazione alcolica si trova il Saccharomyces cerevisiae, un lievito ubiquitario – cioè presente in quasi ogni tipo di ambiente – e anaerobio facoltativo. Attraverso la fermentazione, esso trasforma gli zuccheri presenti in bevande o impasti in alcol (etanolo) e CO2.

È questo lievito a trasformare un ▶ mosto in una bevanda alcolica e gli impasti di acqua e farina in pasta lievitata e soffice. Nel vino e nella birra l’etanolo resta nella bevanda, mentre la CO2 si volatilizza nell’aria. Nella produzione della birra a volte si procede a una seconda fermentazione in bottiglia. Nei prodotti di panificazione, invece, la CO2 gonfia l’impasto e rimane intrappolata nella maglia glutinica, mentre l’alcol si volatilizza con la cottura. La fermentazione alcolica è alla base anche della produzione di tutti i distillati (rum, tequila, vodka, whisky e così via). In questi casi, è seguita da una distillazione: un processo che serve a concentrare l’etanolo e a raggiungere gradazioni alcoliche superiori.


C6H12O6 2 CH3–CH2–OH + 2 CO2

(glucosio)              (etanolo)         (anidride carbonica)

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La fermentazione lattica

La fermentazione lattica avviene a opera di un’ampia varietà di batteri, i più ricorrenti tra i quali appartengono al genere Lactobacillus e Streptococcus. Essi agiscono trasformando il lattosio (un disaccaride tipico del latte) in acido lattico, che conferisce all’alimento un gusto tipicamente acidulo. La fermentazione lattica viene utilizzata per produrre yogurt, kefir, kumis, per la maturazione dei formaggi e nella conservazione di alcuni vegetali (come cetrioli e crauti).


C6H12O6 CH3–CHOH–COOH + altri prodotti

(glucosio)            (acido lattico)

 Kefir e kumis

Il kefir è una bevanda rinfrescante ottenuta dal­la fermentazione del latte. Di origine caucasica, può derivare da latte vaccino, ovino e caprino. Il suo gusto leggermente alcolico dipende dalla presenza di lieviti oltre che di lattobacilli.

Una bevanda simile è il kumis, di origine asiatica, che risulta più alcolica in quanto ottenuta a partire da latte di giumenta, che è più ricco di lattosio.

La fermentazione acetica

Nella fermentazione acetica l’etanolo si trasforma in acido acetico per opera di batteri del genere Acetobacter, molto diffusi nelle acque, nel suolo e sui prodotti zuccherini (fiori e frutti). In realtà questi batteri sono aerobi obbligati: la loro attività richiede la presenza di ossigeno gassoso e pertanto, da un punto di vista strettamente chimico, quella acetica non è una vera e propria fermentazione. Tuttavia nella pratica viene tradizionalmente considerata tale. L’aceto si ricava dal prodotto di fermentazione di varie materie prime come uva, mele, riso, malto e miele.


CH3–CH2–OH + O2 CH3–COOH + H2O

     (etanolo) (ossigeno) (acido acetico) (acqua)

La fermentazione propionica

Il Propionibacterium freudenreichii è la specie batterica in grado di trasformare l’acido lattico, ottenuto per fermentazione lattica, in acido acetico, acido propionico e anidride carbonica. Questa fermentazione è tipica dei formaggi con occhiature, come l’Emmentaler. Gli acidi acetico e propionico conferiscono il gusto dolce e nocciolato al formaggio, mentre la CO2 resta intrappolata all’interno dell’alimento formando i caratteristici “buchi”.


2CH3–CHOH–COOH CH3–COOH + CH3–CH2–COOH + CO2

         (acido lattico)         (acido acetico) (acido propionico) (anidride carbonica)

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Sapere di alimentazione
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Corso di Scienza degli alimenti per il primo biennio