Si narra che quando il celebre condottiero del popolo mongolo Tamerlano (1336-1405) decise di insediarsi a Samarcanda per farne la capitale del suo impero, volle individuare il punto migliore dove costruire i depositi delle derrate alimentari. A questo scopo, fece appendere nei vari quartieri delle carcasse di agnello a pali conficcati nel terreno. Laddove si trovava la carcassa meno decomposta dopo un certo periodo di tempo, Tamerlano individuò il punto più ventilato e salubre della città, il più adatto per conservare al meglio le riserve alimentari.
Questo semplice aneddoto fa capire che conservazione e alterazione sono concetti complementari: da una parte la natura completa i suoi cicli biologici degradando tessuti e molecole, dall’altra l’umanità, ingegnandosi per frenare tali processi, finisce per comprenderli meglio.
Traendo inizialmente spunto dai fenomeni che osservava in natura, l’uomo ha via via adottato metodi di conservazione sempre più sofisticati, fino ad automatizzarli.
Curiosamente l’industria della conservazione alimentare si sviluppò ancor prima che i processi alla base dell’alterazione degli alimenti fossero compresi a pieno. Solo con la nascita della microbiologia, nella seconda metà del XIX secolo, le cause del deterioramento alimentare sono divenute chiare: grazie al contributo di importanti ricercatori, si superò la vecchia idea della generazione spontanea, secondo la quale alcuni organismi potevano prendere vita dalla materia non vivente. Era il caso, per esempio, di vermi e insetti che, secondo questa teoria, potevano generarsi spontaneamente sulla carne in decomposizione.
La comprensione profonda dei processi degenerativi ha permesso, col tempo, di sviluppare tecniche di conservazione sempre più efficaci e sicure.
Ancora oggi la ricerca in questo settore è in costante evoluzione, grazie soprattutto al contributo delle aziende alimentari.