Storia e cultura dell’alimentazione

PIACERE, GUSTO E SALUTE: GASTRONOMIA E DIETETICA

Al giorno d’oggi, molto spesso il gusto del cibo viene ritenuto incompatibile con la sua salubrità: così come la gastronomia e la nutrizione, allo stesso modo piacere e salute sono considerati due concetti distanti, se non opposti. Ma è davvero così?

La dietetica e il benessere psico-fisico

Se proviamo a dare un rapido sguardo al significato che la parola “dieta” ha avuto per moltissimo tempo, dal mondo antico fino all’età moderna – in particolare, fino alla scoperta della chimica moderna basata sugli elementi, i costituenti primari della realtà (per esempio, riguardo agli alimenti, vitamine, proteine, sali minerali) – troveremo alcuni elementi interessanti per ripensare questa idea. Dietetica deriva dal termine greco díaita, il “quotidiano”, ciò che è giornaliero (da cui il latino dies, “giorno”): dietetica significava uno stile complessivo di vita, una condotta quotidiana riguardante molteplici aspetti come il sonno, l’esercizio fisico, le pratiche quotidiane, l’attività sessuale e, soprattutto, l’alimentazione. Una visione dunque olistica e sistematica e non riduzionistica della dieta; una visione molto diversa da quella a cui siamo troppo spesso indotti a pensare quando la associamo a una semplice ricetta di tipo alimentare e quantitativo. Se è vero che oggi la dietetica più avanzata propone una concezione globale del benessere psico-fisico, dove l’alimentazione è vista in relazione con gli altri aspetti della vita umana, tuttavia non è raro imbattersi in dibattiti sull’alimentazione corretta e sulla dieta che si riferiscono ancora esclusivamente agli aspetti nutrizionali e quantitativi. Non intendiamo certo negare l’importanza dei nutrienti, tuttavia pensiamo che questi debbano essere inseriti in una concezione più globale ed ecologica di tali scelte, prestando attenzione anche alle componenti psicologiche, culturali, storiche e sociali delle scelte alimentari, in particolare quelle che riguardano il piacere e il gusto del cibo.

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La gastronomia, “arte dietetica combinatoria”

Nella medicina antica e medievale, definita “ippocratico-galenica” (dai medici greci Ippocrate, 460 a.C. ca.-377 a.C., e Galeno, 129-201 ca.), vigeva un principio fondamentale: ogni essere vivente ha una natura che risulta dalla combinazione di quattro fattori: caldo e freddo, secco e umido, espressione dei quattro elementi naturali (fuoco, aria, terra e acqua). Occorreva sempre trovare un equilibrio tra questi quattro fattori, determinanti gli umori e le caratteristiche psico-fisiche di ogni persona. I cibi dovevano allora risultare “temperati”, cioè equilibrati rispetto a questo schema, e sulla base del tipo di persona che li assumeva. Le differenze tra le persone riguardavano l’età, il sesso, il tipo di vita e di lavoro, il carattere, il luogo dove vivevano, e tutto questo contribuiva a definire come sarebbe dovuta essere una dieta equilibrata. La cucina classica e medievale è stata per questo definita dallo storico moderno Jean-Louis Flandrin un’«arte dietetica combinatoria»: l’arte della gastronomia aveva a che fare anche con la capacità di combinare diversi elementi, al fine di ottenere un cibo equilibrato sul piano dietetico. Piacere e salute erano così strettamente connessi. Pochi erano gli alimenti considerati di per sé equilibrati (uno di questi era il pane); nella gran parte dei casi, invece, cucinare significava correggere gli squilibri di un alimento attraverso due tipi di intervento: le tecniche di cottura e i criteri di abbinamento. Un autore del XIV secolo, Magnino da Milano, osservava che il manzo, essendo un cibo secco, poteva essere consumato solo bollito; ed essendo “freddo”, andava accompagnato da una salsa “calda”, come una vinaigrette allo zafferano. Le carni grasse, umide, dovevano essere arrostite per disseccarsi; quelle magre e secche dovevano essere bollite. Se pensiamo ad alcuni accostamenti tradizionali ancora oggi, per esempio prosciutto con melone o formaggio con le pere, ritroviamo i residui di questa concezione dietetico-gastronomica: abbinare cibi caldi e secchi (rispettivamente prosciutto e formaggio) con quelli freddi e umidi (melone e pere) rispondeva a questa necessità.

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La gastronomia si separa dalla dietetica

In seguito alla rivoluzione scientifica moderna, e con la scoperta della nuova chimica tra Settecento e Ottocento, la gastronomia si separa dalla dietetica, alleandosi esclusivamente con la gola; in questo, si modifica così anche la concezione del piacere del gusto. Valore nutrizionale e valore gastronomico prendono due strade separate. A partire dalla seconda metà del Novecento, tuttavia, ci si avvia a un ripensamento dei legami tra piacere del cibo, gusto e dietetica, ovviamente su basi diverse da quelle dell’antica concezione ippocratico-galenica. Questo ripensamento avviene in seguito all’insorgenza di malattie endemiche come quelle cardiovascolari, che caratterizzano le società fortemente industrializzate e ricche. Nel lontano passato, nessuno ambiva a una cucina magra, a base di cereali e vegetali: il grasso e la carne rappresentavano valori sociali e nutrizionali in quanto simboli di benessere e ricchezza. È solo con la meccanizzazione e la nascita del lavoro industriale che cambiano anche le esigenze del corpo: limitare i consumi e l’assunzione di calorie diventa una necessità, dunque anche i valori del cibo cambiano. Da un lato, dunque, si studiano le cause che producono malattie legate a stili di vita non corretti nei quali l’alimentazione riveste un ruolo di primo piano. Si riscopre così, in conseguenza della scoperta della bontà delle vitamine, il valore del consumo di verdura e di frutta, che tornano a essere cibi anche dal valore gastronomico (oggi molti cuochi famosi cucinano menu interi a base di vegetali, unendo così gusto e salute); si privilegiano cotture brevi, come conseguenza delle ricerche sugli effetti dannosi di un’eccessiva cottura di grassi, soprattutto animali. Dall’altro lato, si costruisce una nuova grammatica del gusto, e in questo contesto bisogna richiamare brevemente come nacque il concetto di “dieta mediterranea”.

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La dieta mediterranea

La dieta mediterranea trovò una codificazione definitiva in un celebre libro (Mangiar bene e stare bene, 1961) del nutrizionista americano Ancel Keys, autore di studi sulle malattie cardiovascolari in alcune comunità dell’Italia meridionale. Keys individuò nel consumo di cereali, olio e prodotti vegetali la causa della scarsa presenza di queste malattie nella popolazione locale, perché questo era ciò che era importante ricercare in quel momento rispetto alle esigenze della società americana. Occorre dunque collocarci storicamente di fronte agli input che provengono dalla dietetica: essi non rappresentano verità atemporali e definitive, ma variano con le epoche e gli uomini. Solo in una società che può disporre di grassi all’infinito – diversamente da quanto avveniva in passato: «Se fossi re, non berrei che grasso», affermava un contadino francese del Seicento – occorre trovare delle soluzioni per limitarne l’uso smodato e i danni che ne possono derivare.

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La cucina italiana

Vale la pena però ricordare come la gastronomia e la cucina italiane siano state tradizionalmente legate sia a un consumo ampio e variegato di vegetali (la prima ricetta del primo ricettario scritto di ambiente italiano e di autore anonimo giunto fino a noi, risalente al XIII secolo, è un piatto di insalata) sia al rapporto tra gusto e salute. Un famoso gastronomo del XV secolo, l’umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, è autore del famoso De honesta voluptate et valetudine (Il piacere onesto e la buona salute), pubblicato per la prima volta nel 1474. Qui l’arte culinaria, la salute, l’igiene alimentare e l’etica dei piaceri della tavola sono strettamente connessi, secondo quella concezione dietetica olistica che pare godere di nuovo interesse in questo momento.

Il concetto di dieta oggi

Se passiamo dalla storia all’attualità, possiamo tornare a chiederci quale possa essere una buona dieta e perché sia talvolta difficile mantenere abitudini alimentari sane. Abbiamo già detto che una dieta adeguata non è soltanto questione di mangiare in modo nutriente; rispettare il proprio piacere e benessere è un aspetto essenziale e solitamente trascurato di un modo di vivere sano. Ma questo principio generale come possiamo applicarlo alla vita di tutti i giorni e, soprattutto, all’esperienza diversa che ognuno di noi ha con il cibo? Assistiamo oggi come non mai a dibattiti di ogni genere sulla dieta: esistono centinaia di proposte e di varianti, spesso molto fantasiose, altre volte semplicemente riprese di modelli antichi, che ci dicono cosa e come dovremmo mangiare. La questione del consumo di carne è all’ordine del giorno; il vegetarianismo – con le sue numerose varianti: veganismo, crudismo, fruttarianesimo, ovo-latteo-vegetarianismo ecc. – è in costante aumento, specialmente nelle società ricche e industriali, e incrocia motivi dietetici (l’idea che il consumo di carne faccia male), motivi ecologici (produrre carne, in particolare industriale, inquina il pianeta e non è sostenibile) e motivi etico-filosofici (uccidere altri esseri viventi è sbagliato). Non è questa la sede per approfondire tali tematiche, molto complesse e a tratti controverse. Suggeriamo soltanto che esse hanno molto a che fare anche con il piacere gustativo, che può adattarsi a determinate scelte oppure, a sua volta, influenzarle. Come orientarsi?

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Educazione al piacere sostenibile

Nel suo libro In difesa del cibo, l’autore americano Michael Pollan dichiara che noi stessi siamo responsabili della nostra “salvezza dietetica”. Un’alimentazione bilanciata e moderata richiede un approccio soggettivo che tenga conto di alcune indicazioni che diventino base di un’educazione al piacere sostenibile. Pollan propone linee guida specifiche tra cui: mangiare solo quello che somiglia a un cibo “vero”, evitare troppi proclami generici e astratti sulla salute, considerando piuttosto la propria situazione personale, conoscendo il proprio corpo, le sue potenzialità e i suoi limiti; scegliere prodotti familiari, mangiare cibi prodotti localmente; preferire i vegetali e i cibi semplici. Possiamo integrare ulteriormente questa proposta, sottolineando l’importanza del gusto e della sua educazione. Gusto e piacere sono importanti come le componenti nutrizionali per una dieta sana; non è vero che il piacere deve per forza indirizzarsi verso alimenti poco salutari, perché un’educazione coerente e consapevole permette di modellarlo e modificarlo nel tempo. I programmi di educazione alimentare devono cercare di stabilire e promuovere le diete nutrienti come diete gustose. Si deve inoltre tenere conto della convivialità, del senso di appartenenza a una certa comunità, dei valori culturali dei cibi. Gusto, piacere, salute, benessere, educazione, etica sono concetti che trovano attraverso l’alimentazione e la gastronomia concreti legami e possibilità di applicazione.

Percorsi di scienza degli alimenti
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