La termogenesi indotta dalla dieta

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La termogenesi indotta dalla dieta

Questa produzione di calore, che si verifica circa un’ora dopo l’assunzione di cibo e perdura per diverse ore, è legata al metabolismo dei principi nutritivi. A ogni pasto, la durata e l’entità della termogenesi indotta dalla dieta (TID) può variare sia in funzione della quantità di cibo ingerito sia in base alla sua composizione nutrizionale. Attraverso la calorimetria si è infatti visto che le proteine richiedono un consumo maggiore di energia, mentre lipidi e carboidrati contribuiscono scarsamente alla TID. Le sostanze nervine e le bevande fredde invece rappresentano situazioni particolari: non richiedono spese energetiche per essere metabolizzate, ma generano comunque un significativo incremento della TID, le prime perché agiscono direttamente sul sistema nervoso simpatico, aumentando la tensione muscolare e dunque aumentando i consumi di energia e la produzione di calore, le seconde perché lo inducono a ripristinare la temperatura corporea a seguito del calo termico.

Attività fisica e relativi indici

L’attività fisica è una componente che può incidere in modo molto significativo sul dispendio energetico di una persona e può variare dal 15 al 30% del metabolismo totale, a seconda che il soggetto conduca una vita sedentaria o attiva.

Dal punto di vista della termogenesi, con la calorimetria si rileva che, non appena il corpo è in movimento o è impegnato in qualche attività (parlare, stare in piedi, guardare uno schermo, scrivere ecc.) esso aumenta lievemente la generazione di calore. Con l’aumento d’intensità dell’attività fisica la termogenesi cresce, e in caso di allenamento agonistico può raggiungere picchi che corrispondono al 70% del metabolismo totale.

In genere, nei modelli predittivi, l’energia dovuta all’attività fisica è il risultato del prodotto tra un indice (specifico per il tipo di attività svolta) e il valore del metabolismo basale: per esempio, se un’attività ha un indice 3, essa richiede un dispendio energetico pari a tre volte il MB. La maggior parte di tali indici si riferisce ad attività orarie, il che significa che vanno moltiplicati anche per la durata dell’attività fisica, in cui le ore sono espresse in termini decimali: per esempio, se l’attività si protrae per un’ora e mezzo, l’indice va anche moltiplicato per 1,5. Tali indici non sono dunque mai inferiori a 1 (benché alcuni autori indichino 0,95 per la fase di sonno). Nella letteratura scientifica si trovano varie tipologie di indici orari: il fattore di metabolismo basale (FMB), l’indice energetico integrato (IEI), il tasso di attività fisica (TAF) e l’ equivalente metabolico (MET).

Quando occorre disporre di un indice più sommario e immediato, che si riferisca a una media dell’attività fisica condotta durante l’arco della giornata, si ricorre al livello di attività fisica (LAF). Il LAF si distingue dagli indici precedenti proprio perché ha una valenza sommaria riferita più che altro a diversi stili di vita: sedentario, normale e attivo, a cui corrispondono rispettivamente attività fisiche leggere, moderate e pesanti. Attraverso l’indice LAF si ottengono non più consumi orari relativi a specifiche attività, ma una stima complessiva del dispendio energetico quotidiano legato a un particolare stile di vita.


ESEMPI DI INDICI DI ATTIVITÀ FISICA TOTALE QUOTIDIANA (LAF)
ETÀ ATTIVITÀ LAF (M/F)
10-13 anni   1,65/1,55
14-17 anni   1,58/1,50
18-59 anni leggera 1,41/1,42
moderata 1,70/1,56
pesante 2,01/1,73
60-74 anni   1,40/1,44
≥75 anni   1,33/1,37

Tabella adattata da Commission of the European Communities, 1993.

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Indici di dispendio energetico

Gli indici orari di attività fisica hanno caratteristiche lievemente diverse. Ricorrere all’uno piuttosto che all’altro dipende principalmente da quanto si vuole essere precisi nel misurare il dispendio energetico. Essi compaiono infatti frequentemente sui display delle moderne attrezzature da palestra per fornire agli sportivi un rimando preciso del proprio consumo calorico.

  • Il fattore MB (FMB) rappresenta un indice per specifiche attività e non tiene conto delle pause. Esso va quindi moltiplicato per il tempo strettamente dedicato allo svolgimento dell’attività.
  • L’indice energetico integrato (IEI) si riferisce anch’esso a specifiche attività, ma a differenza del precedente tiene conto delle pause. Esso va quindi moltiplicato per tutto l’arco di tempo in cui l’individuo si dedica all’attività considerata.
  • Il tasso di attività fisica (TAF) è un indice che, a differenza dei precedenti, si riferisce ad attività meno specifiche e stabilisce delle categorie di attività, tenendo conto delle pause.
  • L’equivalente metabolico (MET) è un’unità di misura assai r ecente che non richiede di calcolare prima il valore del metabolismo basale. Infatti stabilisce che MB = 1 MET, dove il MET equivale al consumo di 1 kcal per ogni kg di peso corporeo, in un’ora, il che corrisponde appunto al consumo medio nelle condizioni di riposo tipiche del MB. Tale misura non tiene conto né del sesso né dell’età.

Termoregolazione

Gli esseri umani sono animali a sangue caldo perché sono in grado di regolare la loro temperatura corporea e di mantenerla entro un intervallo di 36,5-37,5 °C. Questa condizione è definita omeotermia. Quando le condizioni ambientali si discostano da temperature esterne confortevoli per l’organismo, questo mette in atto una serie di meccanismi adattativi (sistemi di termoregolazione) per riportare la temperatura a una condizione di omeotermia.

Come abbiamo visto, l’attività ossidativa all’interno del nostro organismo non si interrompe mai e il calore prodotto dal metabolismo basale contribuisce a mantenere il sangue a una temperatura stabile. Un surplus termogenico viene invece generato quando proviamo sensazioni di caldo o di freddo e il dispendio energetico che ne consegue sarà proporzionale allo “sforzo” per ritornare alla temperatura basale: quanto maggiore, cioè, è lo scostamento delle condizioni ambientali da temperature confortevoli, tanto maggiore è il dispendio energetico.

Quando percepiamo caldo si verifica una vasodilatazione dei capillari periferici e il sangue trasferisce il suo eccesso di calore alla pelle. Da qui il calore viene disperso sotto forma di sudore attraverso la traspirazione. Questi meccanismi non richiedono un significativo consumo di energia e generano una termogenesi di lieve entità.

Quando percepiamo freddo avviene invece una vasocostrizione periferica che limita la dispersione di calore. A livello del tessuto adiposo cosiddetto “bruno”, localizzato sulla nuca, le spalle e parte della schiena, si verifica uno specifico meccanismo termogenico: all’interno degli adipociti, i mitocondri smettono di produrre ATP e convertono in calore tutta l’energia destinata alla loro sintesi. Questo fenomeno, definito disaccoppiamento mitocondriale, innesca una cospicua termogenesi che punta a ristabilire velocemente la temperatura corporea.

Il brivido

Il brivido è una reazione spontanea di tutta la muscolatura scheletrica per contrastare un improvviso calo termico attraverso una rapida ondata di calore. Anche in questo caso si verifica il disaccoppiamento mitocondriale, ma l’energia non proviene più dai lipidi, bensì dal glicogeno muscolare. La termogenesi indotta dal brivido è intensa, ma di breve durata.

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