Storia e cultura dell’alimentazione

LE TECNICHE E LE TECNOLOGIE DI CONSERVAZIONE TRA PASSATO E PRESENTE

Il cibo e la gastronomia sono costituiti da una dimensione sia spaziale sia temporale. Le grandi differenze che riscontriamo tra le moltissime culture alimentari del pianeta riguardano infatti tanto la geografia – dunque i climi, gli ambienti, i luoghi, i territori con cui l’uomo si è trovato a essere in relazione – quanto la storia: ogni gastronomia è figlia del suo tempo, inserita in un contesto che esprime problemi e temi specifici. Per esempio, fino a quando non è stato facile viaggiare e trasportare le derrate alimentari, i sapori esotici e i cibi che venivano da molto lontano costituivano un valore; per molti aspetti, il contrario di quanto avviene oggi, quando tendiamo a valorizzare il locale, il tipico e il tradizionale proprio perché più legato alla cultura di un luogo.

Tecnologie per ampliare lo spazio e la varietà

Attraverso spazio e tempo, il genere umano ha costruito il proprio rapporto con gli alimenti, sia adattandosi e adattando le proprie produzioni e preferenze ai luoghi e ai ritmi delle stagioni e della natura sia, allo stesso tempo, cercando invece di contrastarli e di modificarli. La scienza, le tecniche e le tecnologie alimentari sono servite innanzitutto per allargare lo spazio, diversificando le specie vegetali e animali e rendendo così disponibile il maggior numero di varietà in uno stesso luogo: ibridazioni, innesti, policolture servivano a creare situazioni più ricche e floride rispetto a quelle che la semplice accettazione della natura avrebbe consentito. D’altra parte, esse sono servite anche per rallentare il tempo, cioè per permettere all’uomo di utilizzare il cibo oltre il suo ciclo naturale di vita. Questo è stato da sempre un obiettivo molto importante, specialmente nell’alimentazione contadina, più povera in termini economici, e in ogni caso laddove la scarsità delle risorse rendesse difficile il continuo approvvigionamento di cibi freschi. Fin dall’origine dell’agricoltura, le società stanziali realizzarono spazi di stoccaggio adeguati per accumulare scorte, in particolare di cereali e di legumi, che potessero durare molti mesi o anche anni.

E si ingegnarono nell’invenzione di tecniche di conservazione per mantenere il più a lungo possibile cibi particolarmente fragili e deperibili.

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Metodi di conservazione

Fin dall’antichità i metodi di conservazione furono vari: già il filosofo Aristotele suggeriva di avvolgere le mele in uno strato d’argilla, per isolarle dall’aria e dunque dall’ossidazione (una sorta di anticipazione geniale del sottovuoto!), ma il metodo più universale e praticato fu senz’altro quello dell’essiccazione. Essa avveniva tramite calore ed esposizione al sole (nei paesi caldi), tramite l’affumicatura (nei paesi freddi) oppure, più di frequente, tramite il sale, che è stato uno dei grandi protagonisti dell’alimentazione e della gastronomia di tutti i tempi, necessario e prezioso (tanto che nell’antica Roma “salario” significava la razione di sale con cui si pagava parte dello stipendio di soldati e civili) non solo perché conferisce sapore ma appunto anche per le sue grandi proprietà conservanti.

Le tecniche di conservazione antiche e tradizionali hanno poi avuto a che fare con i dolcificanti, come miele e zucchero (si pensi alle marmellate e alla frutta conservata) e con olii e aceti vari: i prodotti sottolio e sottaceto che ancora oggi consumiamo hanno origine nella necessità molto sentita di disporre di questi alimenti anche fuori stagione. In un ricettario del Trecento, per esempio, si ricorda lo scapece, il pesce fritto e poi marinato in sale e aceto lungamente conservabile; oppure il carpione, che viene prima marinato in una salamoia all’aceto e poi fritto.

In questo quadro è fondamentale anche la tecnica della fermentazione, con la quale si sono creati prodotti culturalmente e simbolicamente fondamentali per la gastronomia come formaggi, salumi, vino e altre bevande alcoliche. Ancora una volta, il mondo della conservazione del cibo si colloca sul sottile confine tra la necessità di non disperdere e non sprecare le materie prime, mantenendole a lungo, e l’ingegno e la fantasia, che creano qualcosa di nuovo che finisce anche per piacere al gusto.

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Nuove tecniche per conservare il sapore dei cibi

Se l’essiccazione, la salagione, la fermentazione e altri sistemi conservanti hanno così assicurato una certa durabilità ai prodotti commestibili, §impiegando processi fisico-chimici naturali (il caldo del sole o il sale per disseccare, il fumo del focolare per affumicare), molto spesso con questi processi si finiva per perdere il sapore originario dei cibi: ogni derrata finiva per acquistare il sapore del conservante.

Quando, all’inizio dell’età moderna, si sviluppò una sensibilità diversa, più incline a dare valore al gusto naturale degli ingredienti, le tecniche di conservazione cambiarono, almeno parzialmente: divennero meno invasive e, grazie all’impulso della tecnologia, ne furono inventate di nuove. Le moderne tecniche di conservazione hanno davvero trasformato le abitudini alimentari in modo molto importante, e ciò è avvenuto nel periodo delle grandi rivoluzioni industriali, tra XVII e XIX secolo, che videro una trasformazione complessiva della gastronomia sotto il profilo sia del gusto sia della produzione e della trasformazione del cibo. Come hanno rilevato molti studiosi, i cambiamenti degli ultimi centocinquant’anni nel campo delle tecniche e delle tecnologie alimentari sono stati probabilmente superiori a tutti quelli avvenuti nei secoli precedenti. La produzione e la lavorazione di molti alimenti cominciò, a partire da metà Ottocento, a svilupparsi a livello industriale; servivano dunque anche nuovi strumenti per trasportarli e per conservarli.

Una delle innovazioni più importanti in questo senso è stata la catena del freddo, avvenuta proprio nel XIX secolo. Fin da tempi antichissimi l’uomo ha usato il freddo come conservante naturale (nelle case signorili c’erano sempre spazi interrati destinati alla conservazione del ghiaccio e di alimenti), ma solo nell’Ottocento si costruirono macchine per ottenere basse temperature tramite compressione ed espansione di particolari gas: il primo frigorifero basato su compressione ed espansione di aria venne brevettato negli Stati Uniti nel 1851, allo scopo di rinfrescare le corsie degli ospedali. Poco tempo dopo i frigoriferi cominciarono a essere utilizzati per trasportare in nave carne dall’Argentina alla Francia, e in poco tempo il loro uso si diffuse in ogni parte del mondo. Insieme agli indubbi vantaggi igienici e sanitari, un altro aspetto positivo della catena del freddo è evidentemente il mantenimento del sapore originario del cibo conservato.

A tutto ciò occorre aggiungere che, sempre nello stesso periodo, venne inventata un’altra tecnica con la stessa finalità, che consentì di conservare gli alimenti grazie al loro inserimento in bottiglia o recipienti di vetro e al loro passaggio nell’acqua bollente. Questo metodo fu chiamato “appertizzazione”, dal nome del suo scopritore, il droghiere parigino Nicolas Appert, che pubblicò nel 1810 i risultati della sua scoperta in un libro – L’arte di conservare gli alimenti – che diventò subito famoso in tutta Europa.

Il procedimento è indicato per quasi tutti i tipi di alimenti: verdure, frutta e carni, latticini, pesce ecc. E soprattutto, al momento del consumo ogni cibo è ancora fresco, e il suo gusto è riconoscibile. Le possibilità offerte da queste tecniche permisero alle conserve di diventare uno strumento trasversale, utilizzato tanto da chi non poteva permettersi cibi freschi quanto, per la prima volta, anche dai ricchi e dalla gastronomia cosiddetta “alta”. I prodotti conservati, buoni come quelli freschi, diventano appetibili anche per chi può pagare per ottenere le primizie più prelibate. In questo senso, si svilupperanno diversi tipi e livelli di conservazione. Pensiamo solo per un momento ai molti cuochi contemporanei, alle loro sofisticate tecniche e tecnologie – abbattimento, sottovuoto, liofilizzazione ecc. – che consentono il mantenimento degli elementi nutritivi e gustativi dei cibi e, al contempo, permettono di ampliare la sfera delle possibilità dell’universo della cucina.

Ma la conserva ha anche rivoluzionato la cucina di casa e i costumi sociali. Da una parte, infatti, l’appertizzazione è alla base del boom dell’industria conserviera del pomodoro e di uno dei simboli della cucina italiana, la salsa al pomodoro come condimento principe della pasta: una tradizione che inizia appunto solo verso la fine dell’Ottocento. Anche Pellegrino Artusi, padre della cucina italiana moderna e autore di La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, dedica infatti un capitolo specifico del suo capolavoro alle conserve, viste come strumento essenziale per la buona riuscita della cucina di casa. Oltre alle gelatine e alle marmellate di frutta, Artusi propone due ricette per bollire in casa il pomodoro e farci la conserva (“Conserva di pomodoro senza sale” e “Conserva dolce di pomodoro”).

Dall’altra parte, strumenti scientificamente più efficaci e mezzi di trasporto più rapidi hanno aperto la strada alla standardizzazione delle produzioni, in termini sia positivi (di affidabilità e di sicurezza alimentare) sia negativi (una certa tendenza alla globalizzazione di prodotti e di gusti). Attraverso la storia della conservazione possiamo comprendere meglio le logiche dell’industria alimentare, basate sull’allargamento dei mercati e dell’abbassamento dei prezzi. Il conservato è stato – ed è ancora in buona parte, anche se non sempre, come si è detto – sinonimo di cibo ordinario e a buon mercato.

Infine, non bisogna trascurare un altro ruolo importante che ha avuto la conservazione moderna del cibo: in alcuni paesi politicamente “giovani” come l’Italia, i prodotti conservati fecero da unificatori, in particolare nel caso dell’alimentazione dei militari nelle due guerre mondiali. Si pensi al consumo di caffè, che si diffuse fortemente dopo la Prima guerra mondiale dato che faceva parte del rancio del soldato; anche dadi, latte in polvere, boccette di brodi concentrati e sughi pronti costituivano parte integrante dell’equipaggiamento delle truppe.

Percorsi di scienza degli alimenti
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