Principi di dietoterapia

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Principi di dietoterapia

La dietoterapia è una branca della medicina che studia e prescrive diete con finalità terapeutiche, cioè per prevenire, curare o impedire il peggioramento di alcune condizioni patologiche. Nei paesi sviluppati la dietoterapia si concentra soprattutto sulle patologie causate dall’ipernutrizione, come le malattie cardiovascolari e metaboliche, i disturbi del comportamento alimentare e le reazioni di avversione al cibo causate da allergie e intolleranze. Nelle regioni del mondo con limitata accessibilità al cibo, la dietoterapia si confronta invece con problemi di malnutrizione o iponutrizione.

Le malattie cardiovascolari

Sedentarietà ed eccessi alimentari possono determinare, quando persistono nel tempo, ipertensione arteriosa, iperlipidemia e aterosclerosi, in concerto con altri fattori di rischio quali fumo, alcol, uso di droghe e predisposizione genetica. Queste patologie sono rilevabili e curabili attraverso una adeguata dietoterapia, ma se vengono trascurate il quadro clinico si complica generando gravi malattie del sistema cardiovascolare (costituito dal cuore e dal circolo sanguigno) come l’infarto del miocardio, l’angina pectoris o l’ictus, che sono tra le principali cause di morte nei paesi industrializzati.

  • L’infarto del miocardio è dovuto alla necrosi (cioè alla morte cellulare) di una parte più o meno estesa del tessuto muscolare cardiaco. Si verifica improvvisamente quando il flusso di sangue diretto al cuore si interrompe a causa di un’ostruzione, lasciando le cellule cardiache prive di ossigeno. L’ostruzione può essere causata da placche di materiale lipidico (aterosclerotiche) che si distaccano dalle pareti delle arterie.
  • L’angina pectoris è una condizione patologica di sofferenza del muscolo cardiaco. Si manifesta come un dolore diffuso al petto più o meno duraturo (cronico). Gli effetti sono simili a quelli di un infarto “diluito” nel tempo: il flusso sanguigno al cuore diminuisce a causa di ostruzioni lipidiche e il tessuto cardiaco soffre per la carenza di ossigeno, lo scarso apporto di nutrienti e l’accumulo di molecole di scarto.
  • L’ictus cerebrale è dovuto a una minore irrorazione di sangue in un’area del cervello ed è causato dall’ostruzione o dalla rottura di un vaso sanguigno. Le cause di un’ostruzione possono essere le medesime dell’infarto e dell’angina pectoris, mentre la rottura può dipendere da un trauma.

LE IPERLIPIDEMIE

Si definiscono iperlipidemie tutte le condizioni nelle quali si registra una concentrazione troppo elevata di lipidi nel sangue, sia sotto forma di colesterolo (ipercolesterolemia) sia sotto forma di trigliceridi (ipertrigliceridemia). È importante tenere sempre sotto controllo queste concentrazioni, perché le iperlipidemie possono diventare fattori di rischio per ictus e infarti.

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Ipercolesterolemia

Il colesterolo è un lipide importante per il nostro organismo, ma in quantità eccessive può comportare un elevato rischio di aterosclerosi. Come abbiamo visto (Unità 3, I macronutrienti), la predisposizione ad accumulare colesterolo sulle pareti delle arterie non dipende solo dalla dieta, ma anche dal rapporto specifico fra lipoproteine HDL e LDL che caratterizza ogni individuo.

Poiché l’ipercolesterolemia non si manifesta con sintomi evidenti, i medici in genere consigliano di sottoporsi a regolari analisi del sangue (dopo i 45 anni gli uomini e i 55 le donne) per monitorare costantemente questi parametri.

I valori di riferimento e le linee guida dietetiche per tenere sotto controllo i livelli di colesterolo sono indicati nella seguente tabella.


VALORI DI RIFERIMENTO DEL COLESTEROLO (mg/dl) LINEE GUIDA DIETETICHE PER CONTENERE LA COLESTEROLEMIA
colesterolo totale 190-239
  • solo il 30% delle kcal giornaliere dovrebbe essere costituito da lipidi, e di questi solo un terzo dovrebbe essere in forma satura;
  • il corpo di un adulto produce mediamente 500 mg al giorno di colesterolo e dunque non si dovrebbero introdurre con la dieta quotidiana più di 300 mg di colesterolo, per non superare il fabbisogno di 800 mg/giorno;
  • l’efficacia della dieta aumenta in modo significativo praticando regolare attività sportiva.
LDL 100-159
HDL (uomo) 35-39
HDL (donna) 40-45
trigliceridi 150-200
Ipertrigliceridemia

L’eccesso di trigliceridi circolanti nel sangue (ipertrigliceridemia) rappresenta un significativo fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. Diete eccessivamente caloriche, assieme ad altri fattori come l’assunzione di alcol, il sovrappeso, il diabete e l’uso di estrogeni, possono determinare l’accumulo di lipidi.

Anche per l’ipertrigliceridemia esistono valori di riferimento che si possono correggere con accorgimenti dietetici suggeriti nei LARN (vedi la seguente tabella).


VALORI DI RIFERIMENTO DEI TRIGLICERIDI (mg/dl) LINEE GUIDA DIETETICHE PER CONTENERE LA TRIGLICERIDEMIA
Intervallo normale < 150
  • ridurre drasticamente il consumo di zuccheri semplici;
  • evitare il consumo di alcol;
  • ridurre il sovrappeso e l’obesità;
  • consumare più pesce e meno carne;
  • evitare l’uso di acidi grassi saturi a vantaggio di quelli insaturi;
  • consumare frutta e verdura.
Moderatamente alto 150-199
Elevato 200-499
Molto elevato > 500

L’IPERTENSIONE ARTERIOSA

La pressione arteriosa indica la forza che il sangue esercita contro le pareti delle arterie. Quando il cuore pulsa, il sangue esce dal ventricolo e passa nell’aorta per poi diffondersi nelle arterie. Il cuore effettua due movimenti: uno di contrazione, detto sistole, che permette di pompare il sangue nelle arterie, e l’altro di rilassamento, detto diastole, durante il quale l’organo si riempie di sangue. Nella fase di sistole si registra la pressione massima (sistolica), mentre con la diastole quella minima (diastolica). La pressione arteriosa si misura in millimetri di mercurio (mmHg) grazie all’impiego di uno sfigmomanometro.

Un aumento della pressione sanguigna può avere molteplici cause: emozioni violente, arrabbiature, sforzi fisici, stress sono fattori che favoriscono picchi momentanei di ipertensione, mentre l’ostruzione parziale dei vasi sanguigni, dovuta a iperlipidemie, a diete con eccessi di sodio o a carenze di potassio, determinano forme croniche di ipertensione. L’ipertensione cronica è da evitare in quanto favorisce il distacco delle placche aterosclerotiche e predispone a ictus cerebrale e infarto.

La seguente tabella riporta i valori di riferimento della pressione arteriosa e le relative linee guida dietetiche.


VALORI DI RIFERIMENTO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA (mmHg) LINEE GUIDA DIETETICHE PER CONTENERE LA PRESSIONE ARTERIOSA
PRESSIONE
ARTERIOSA
SISTOLICA DIASTOLICA
  • limitare il sale nella dieta: il sodio di cui è composto il sale da cucina è infatti ritenuto tra i maggiori responsabili dell’ipertensione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda di non superare a tutte le età i 5 g di sale al giorno (tenendo anche conto che è ampiamente presente in salatini, patatine, arachidi salate, salumi, insaccati, formaggi stagionati ecc.): in tal modo si riduce del 23% il rischio di ictus e del 17% quello di malattie cardiovascolari;
  • controllare l’apporto di potassio: recenti studi hanno messo in evidenza come un calo di potassio nella dieta possa predisporre a ipertensione.
    L’assunzione quotidiana raccomandata è di 3,9 g;
  • contenere il peso corporeo: essere sovrappeso affatica il lavoro del cuore e si calcola che una riduzione del peso di 10 kg possa far scendere la pressione di 5-10 mmHg;
  • l’esercizio fisico può essere un’ottima cura per l’ipertensione, ma va svolto senza fare bruschi sforzi, soprattutto se si è sovrappeso: mezz’ora di cammino sostenuto al giorno può ridurre la pressione arteriosa di 4-9 mmHg.
bassa 60-90 40-60
ottimale < 115 < 75
accettabile 115-130 75-85
pre-ipertensione 130-139 85-89
ipertensione 140-159 90-99
ipertensione grave > 160 > 100
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Le malattie metaboliche

In alcuni individui, l’insorgenza di certe malattie può essere causata da difetti del metabolismo. Ciò significa che determinate funzioni dell’organismo, come il controllo del livello di glicemia nel sangue, della lipidemia o di altri parametri legati al mantenimento dell’omeostasi, non avvengono correttamente. Tali patologie possono dipendere sia da forme di ipernutrizione che a lungo andare generano scompensi nell’equilibrio dell’organismo, sia da una specifica predisposizione genetica dell’individuo. Le malattie metaboliche si distinguono infatti in:

  • congenite, che sono presenti fin dalla nascita e causate per lo più da anomalie genetiche;
  • acquisite, che hanno una base genetica ma sono condizionate anche da fattori ambientali, come dieta e stile di vita: è il caso del diabete;
  • acquisite non genetiche, che dipendono esclusivamente da diete e stili di vita impropri, come succede per la maggior parte dei casi di obesità.
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IL DIABETE MELLITO

Il diabete mellito è una malattia metabolica acquisita determinata da un’alterazione nel metabolismo del glucosio che non viene assorbito dall’organismo e finisce eliminato con le urine. All’origine della malattia vi è una mancata o ridotta secrezione di insulina da parte del pancreas o un’insensibilità ai suoi effetti, con conseguente aumento dei livelli di glicemia oltre il normale valore massimo di 110 mg/dl di sangue. Una diagnosi inequivocabile di questa patologia si ha quando i valori di glicemia, rilevati in qualsiasi momento della giornata, sono pari o superiori a 200 mg/dl.

Secondo una recente indagine dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), il diabete sta registrando un aumento epidemico dei casi: a livello mondiale ne è affetta una persona su 15, ma la frequenza è decisamente più elevata nei paesi sviluppati, dove si trova associato a situazioni diffuse di obesità.

Esistono due tipi di diabete: di tipo 1 e di tipo 2. Entrambi sono cronici e possono generare malattie cardiovascolari e comportare complicanze a carico soprattutto della retina, dei reni, degli arti inferiori e del sistema nervoso.

Diabete mellito di tipo 1

Il diabete mellito di tipo 1 è la forma più diffusa nella giovane età. Esso ha inizio con una distruzione delle cellule beta del pancreas, che producono insulina, da parte del sistema immunitario dell’organismo, e obbliga le persone che ne sono affette ad assumere insulina per tutta la vita: da qui la denominazione di diabete infantile, autoimmune e insulino-dipendente. In questo tipo di diabete, l’eccesso di glucosio nel sangue tende a richiamare per osmosi acqua dai tessuti. La quota supplementare di acqua nel sangue è poi eliminata con le urine. Ciò conduce a poliuria (produzione eccessiva di urina) e polidipsia (sete intensa e costante). Inoltre, poiché il glucosio non viene assorbito dalle cellule, l’organismo segnala il mancato rifornimento di energia attraverso deperimento e fame costante. Ciò comporta polifagia (fame continua e persistente), astenia (una sensazione costante di debolezza) e calo ponderale (diminuzione del peso corporeo).

Diabete mellito di tipo 2

Il diabete mellito di tipo 2 è la forma di gran lunga più diffusa: colpisce infatti il 90% dei diabetici. In genere, si manifesta dopo i quarant’anni. I sintomi sono accomunabili a quelli del diabete mellito di tipo 1, ma solitamente risultano meno accentuati, rendendo più difficile la diagnosi. Questa forma di diabete viene spesso diagnosticata casualmente a seguito di stress fisici, quali infezioni o interventi chirurgici. È causata in parte da una ridotta secrezione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas e in parte da una più o meno pronunciata “insensibilità” delle cellule recettrici dell’insulina. Questo tipo di diabete è definito insulino-resistente o non insulino-dipendente. L’origine di questa graduale insensibilità metabolica può avere radici genetiche, ma è anche associata a scarso esercizio fisico, vita sedentaria, obesità e diete non equilibrate.

La terapia dietetica è consigliata in entrambe le forme di diabete ed è efficace in particolare nel tipo 2 per i soggetti sovrappeso. La dieta dovrebbe mirare soprattutto a contenere il peso corporeo, ripristinando uno stile di vita adeguato con abitudini alimentari controllate, attività fisica regolare e astensione dal fumo.

Nella dieta si consiglia di evitare il saccarosio, preferendo glucidi provenienti da frutta, ortaggi, cereali, latte, e limitare, se non eliminare, alimenti contenenti troppo colesterolo o lipidi saturi.

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L’OBESITÀ

L’obesità è nella maggior parte dei casi una patologia acquisita non genetica in rapida crescita in tutto il mondo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, negli ultimi dieci anni, nei paesi europei si è registrato un aumento del 10-40% dei casi. L’obesità è «un anomalo ed eccessivo accumulo di grasso nell’organismo, che può rappresentare un fattore di rischio per la salute» e, per la stessa OMS, si è obesi quando si possiede un indice di massa corporea (IMC) uguale o superiore a 30 (vedi Unità 8, L’energia degli alimenti). Per una corretta diagnosi dell’obesità ricordiamo che è opportuno valutare altri parametri, come la morfologia e la massa grassa dell’individuo. Nella maggior parte dei casi, l’obesità è imputabile a ipernutrizione abbinata a sedentarietà: il ridotto dispendio energetico rispetto alle calorie assunte determina l’accumulo di lipidi di riserva nel tessuto adiposo.

Tuttavia, possono esserci altri fattori che concorrono a causare l’eccessivo accumulo di grasso. L’obesità è infatti distinta in essenziale e sintomatica sulla base dei fattori che ne determinano l’insorgenza:

  • l’obesità essenziale (o primitiva) è causata da una dieta ipercalorica associata a scarsa attività fisica e non dipende da altre condizioni patologiche;
  • l’obesità sintomatica (o secondaria) è riconducibile a disfunzioni generalmente di natura endocrina, che predispongono l’individuo a ingrassare. Questo tipo di obesità include anche quella definita psicosomatica, dovuta a stati d’ansia e depressione, per cui una persona, pur mangiando senza eccessi, tende ad aumentare di peso.

Un aumento della massa grassa oltre i limiti di guardia non costituisce solo motivo di disagio sociale, ma rappresenta una condizione pericolosa per la salute. La massa adiposa in eccesso infatti preme sugli organi, sul sistema circolatorio, e pesa sullo scheletro, comportando alla lunga l’insorgenza di ipertensione arteriosa, artrosi, problemi alla colonna vertebrale e un aumento del rischio di ictus e infarto.

L’obesità è soprattutto in stretto rapporto con il diabete di tipo 2, al punto che recentemente è stato coniato il termine diabesità. La convergenza delle due malattie diventa particolarmente acuta quando la polifagia, conseguente al diabete, spinge l’individuo obeso ad assumere ancora più cibo.

Per contrastare l’obesità è essenziale adottare misure di prevenzione fin dall’infanzia, cioè seguire una dieta varia e commisurata al dispendio energetico e svolgere attività fisica.

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I disturbi del comportamento alimentare

Si definiscono disturbi del comportamento alimentare (DCA) quelle patologie a forte componente psicologica che si manifestano attraverso un alterato rapporto con il cibo o con il proprio corpo. Il loro trattamento richiede pertanto anche la consulenza di specialisti orientati alla cura del disagio psichico (psicoterapeuti), oltre che di dietologi. Tali disturbi colpiscono prevalentemente il sesso femminile e si manifestano soprattutto durante l’adolescenza.

I DCA sono la bulimia nervosa, l’anoressia nervosa, il disturbo da alimentazione incontrollata (BED) e altri disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati (NAS).

Si riconoscono alcuni fattori ricorrenti che favoriscono, innescano e sostengono questi disturbi, e si suddividono in:

  • predisponenti: rappresentano la base emotiva dei disturbi del comportamento alimentare e hanno radici nei malesseri individuali, familiari e sociali;
  • scatenanti o precipitanti: sono tali i traumi di varia natura, quali malattie o crolli psicologici, che innescano il disturbo vero e proprio;
  • perpetuanti o di mantenimento: sono quelli che rendono cronico il comportamento alimentare anomalo; gli effetti stessi della patologia, come la magrezza, sono generalmente fattori perpetuanti.

Malgrado le differenze riscontrabili tra le varie patologie, i DCA sono caratterizzati da alcuni comportamenti tipici:

  • digiuno o alimentazione restrittiva;
  • crisi bulimiche, ovvero abbondanti pasti compulsivi in cui il soggetto ingerisce una grande quantità di cibo in breve tempo, senza badare a cosa e a quanto stia mangiando;
  • vomito autoindotto;
  • assunzione di lassativi e/o diuretici;
  • intensa attività fisica mirata alla perdita di peso.
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I rischi delle diete “fai da te”

Il sovrappeso e l’obesità rappresentano veri e propri problemi di salute. Come tali dovrebbero essere affrontati con l’aiuto di un medico specialista in grado di valutarne le cause, definire gli obiettivi da raggiungere, elaborare un regime alimentare idoneo ed effettuare una costante supervisione. Le diete “fai da te”, invece, possono arrecare seri danni alla salute. È sufficiente avere nozioni basilari di Scienze dell’alimentazione per rendersi conto di come la maggior parte delle diete improvvisate non preveda un apporto equilibrato di nutrienti, determinando disturbi anche a livello di umore e comportamento. Spesso poi, tali diete “fai da te” a lungo termine si rivelano inefficaci, poiché non tengono conto del cosiddetto “effetto yo-yo”, ossia della grande capacità di compensazione dell’organismo che, a seguito di veloci e drastiche diminuzioni di peso, reagisce con un repentino recupero dei chili persi.

LA BULIMIA NERVOSA

Il termine bulimia deriva dal greco boulimía che significa letteralmente “fame da bue”. Questo disturbo, più comune tra gli adolescenti, può manifestarsi anche in età adulta ed è caratterizzato da episodi in cui si consumano con voracità grandi quantità di cibo. A queste crisi bulimiche segue un senso di colpa che spinge a condotte compensatorie mirate a evitare l’aumento di peso, come il vomito autoindotto e l’assunzione di lassativi (bulimia definita purgativa) o digiuni e sessioni compulsive di attività fisica (bulimia non purgativa).

L’alternanza di questi comportamenti estremi fa sì che le persone affette da bulimia nervosa mantengano in genere un peso normale. In alcuni casi, alla crisi bulimica non seguono diete ma scompensi psicologici, come senso di solitudine, noia, rabbia e tensione.

L’ANORESSIA NERVOSA

Anche il termine anoressia deriva dal greco: anorexía significa “mancanza d’appetito”. Per il 95% dei casi questo disturbo interessa ragazze in età adolescenziale che spesso non riconoscono di esserne affette. La persona anoressica in realtà percepisce chiaramente lo stimolo della fame, ma lo reprime per soddisfare un desiderio ossessivo di magrezza.

L’anoressia viene diagnosticata quando la persona perde oltre il 15% del suo peso corporeo, ha una paura maniacale di ingrassare, non ha oggettività nella valutazione del proprio corpo, soffre di amenorrea (assenza di tre cicli mestruali consecutivi), ha un indice di massa corporea inferiore a 17,7.

Schema delle conseguenze di anoressia e bulimia.
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IL DISTURBO DA ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA (BED)

Il disturbo da alimentazione incontrollata – o Binge Eating Disorder (BED) – si manifesta con episodi di assunzioni compulsive di cibo, senza i comportamenti compensativi tipici della bulimia nervosa. Tale disordine alimentare, in passato classificato tra quelli “non altrimenti specificati”, colpisce individui in età più avanzata rispetto a bulimici e anoressici.

Le persone affette da BED si abbandonano a crisi bulimiche in media due volte a settimana e ciò conduce progressivamente a una condizione di obesità.

I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE NON ALTRIMENTI SPECIFICATI (NAS)

Rientrano nel gruppo dei disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati (NAS) quei disordini alimentari che differiscono dai precedenti per alcuni aspetti. Si tratta in particolare di:

  • anoressia nervosa in cui il ciclo mestruale rimane regolare;
  • anoressia nervosa in cui il peso rimane normale;
  • bulimia nervosa con frequenza di crisi bulimiche inferiori a due episodi a settimana;
  • tendenza a indursi il vomito anche a seguito dell’ingestione di quantità minime di cibo;
  • tendenza a indursi il vomito anche a seguito dell’ingestione di quantità minime di cibo;
  • masticazione di grandi quantità di cibo che viene sputato per evitare di ingerirlo.

Percorsi di scienza degli alimenti
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