Storia e cultura dell’alimentazione

ALIMENTAZIONE, GASTRONOMIA E SENSORIALITÀ

Fin dalla nascita, la nostra vita si sviluppa ed evolve grazie a relazioni sensibili con l’ambiente. La luce, i suoni, il contatto con altri corpi costituiscono il modo in cui gli esseri viventi, e in particolare gli esseri umani, esperiscono il mondo. In questa densa realtà sensoriale, ci troviamo anche ad avere a che fare con odori e gusti, con profumi e sapori. Attraverso il nutrimento – specificamente, quello tipico dei mammiferi, l’assimilazione del latte materno – il neonato inizia a esplorare e conoscere l’esterno con regolarità. Il cibo, unica parte solida di mondo che introiettiamo volontariamente, è necessità vitale. Ma è anche, da subito, piacere. All’inizio, anzi, necessità, godimento, conoscenza e affettività sono tutt’uno. La gastronomia comincia qui: come giustamente osservò il gastronomo francese Brillat-Savarin nel XIX secolo, essa non riguarda solo particolari e sofisticati processi di elaborazione degli alimenti, non riguarda soltanto gli chef professionisti, ma abbraccia tutto ciò che concerne l’essere umano in quanto essere che si nutre.

Il cibo: necessità e piacere

La gastronomia viene solitamente intesa come arte del mangiar bene, arte della buona tavola o anche come scienza della cucina. Questo modello, tuttavia, propone spesso una netta distinzione tra la sfera del bisogno e del sostentamento, quella della nutrizione pura e semplice, e la sfera del piacere, del desiderio, dell’apprezzamento e della creatività.

Si pensa spesso che per molto tempo, specialmente tra gli strati più poveri della società, gli uomini abbiano cercato di nutrirsi accaparrandosi quello che trovavano senza possibilità di curare le loro preparazioni, di gustare e di apprezzare il cibo. È una concezione ristretta, poco cor­retta ed elitaria della gastronomia.

Intanto, questa distinzione tra sfera della necessità e sfera del piacere, tra il mero bisogno da un lato e i desideri e le scelte dall’altro, appare problematica. Ogni atto alimentare, anche il più semplice e basilare, presuppone scelte e opzioni. A partire dall’atto nutritivo originario, quello dell’infante che si nutre dal seno, il cui latte risente del tipo di alimentazione della madre. Piacere e necessità, nel cibo, si toccano; la necessità diviene subito ingegno e cultura. Così, ogni società e ogni cultura, a ogni livello, sono portatrici di gastronomia: la gastronomia, come diceva Brillat-Savarin, uno dei padri della gastronomia moderna, è la sfera di tutto ciò che riguarda l’essere umano in quanto essere che, per vivere, ha bisogno di mangiare.

 >> pagina 125 

La gastronomia è antica quanto l’uomo

Dunque la gastronomia non riguarda esclusivamente certi paesi, certe realtà sociali, certe forme sofisticate di elaborazione del cibo. Essa si può far risalire addirittura alla preistorica addomesticazione del fuoco: fin dagli albori gli uomini hanno effettuato scelte tra i prodotti che la natura offriva sulla base delle diversità delle loro culture, in un complesso intreccio di necessità e bisogni da un lato, riti e valori simbolici, sociali e religiosi dall’altro. Tutto ciò ci porta molto indietro nel tempo. Le prime ricette di cucina a oggi conosciute ci conducono in Mesopotamia, probabilmente circa duemila anni prima di Cristo: trentacinque ricette codificate secondo modelli precisi. Ciò non significa, tuttavia, che prima di allora non si cucinasse: per milioni di anni gli ominidi si nutrirono di mammiferi, rettili e insetti crudi, ma è attestato che già l’Uomo di Pechino (600 000 anni fa) conosceva l’uso del fuoco, e Homo sapiens (100 000 anni fa) le tecniche di cottura dell’abbrustolimento e dell’arrostimento. Prima della scrittura trasmessa, dei documenti, non vi è storia raccontabile: per questo lo stato della cucina delle società primitive e molto antiche è difficilissimo da ricostruire, potendo dare adito solo a congetture e ipotesi effettuate sulla base di costruzioni retrospettive. È certo però che alcune pratiche, non solo culinarie ma anche conviviali, come i banchetti, affondano le loro radici nei millenni lontani.

 >> pagina 126 

Dal crudo al cotto...

In un’opera divenuta uno dei fondamenti del pensiero alimentare, Il crudo e il cotto, il grande antropologo francese Claude Lévi-Strauss individuò nella scoperta del fuoco e nella cottura del cibo il passaggio dall’animalità all’umanità, dalla natura alla cultura. Effettivamente la cottura rappresenta l’aspetto centrale dell’elaborazione millenaria della materia prima alimentare. Esistono tre tipi di cottura, per concentrazione (l’alimento è sottomesso a calore intenso), per espansione (l’alimento è immerso in un liquido) e per mescolanza dei due modi suddetti. Il fuoco e l’acqua modellano diversamente il prodotto alimentare, definendone rappresentazioni sociali e culturali sia dal punto di vista della natura che del gusto. Arrostire, stufare, saltare, grigliare, friggere, bollire, cuocere a vapore, brasare rimandano a scelte di tipo fisico, economico, sociale e rituale effettuate sui prodotti, con differenti ricadute non solo sul gusto degli stessi e sui modelli conviviali, ma anche sull’esperienza dello stesso fare e produrre: sono in gioco differenti gestualità, corporeità educate a diversi savoir faire.

... e di nuovo al crudo

Tuttavia, identificare l’universo della cucina con la cottura e con il fuoco, in ogni possibile variante, appare riduttivo e addirittura fuorviante: il tema del crudo, del non cucinato, emerge in tutta la sua complessità se lo si considera non solo in quanto segno di una natura pura ma quale sintomo di scelte culturali anche molto evolute, come avviene sia in alcune tradizioni culinarie asiatiche sia, recentemente, da noi. In alcuni movimenti ascetici del passato il rifiuto del cotto era una scelta culturale precisa; numerosi esempi si trovano citati nelle Vite dei Padri, un testo del IV secolo che raccoglie biografie di eremiti: nei boschi dell’Appennino italiano, un eremita per quattro anni «visse solo di frutti, erbe e radici, e non gustò nulla di cotto» per perseguire un progetto di vita che lo distogliesse dai peccati umani e carnali.

 >> pagina 127 

La gastronomia come sapere multidisciplinare

Alimentazione e gastronomia sono due facce della stessa medaglia. Ancora Brillat-Savarin, nella Fisiologia del gusto, sottolinea come il significato di “gastronomia” vada ben oltre l’azione pur necessaria e nobile di cucinare: esso attiene anche alla storia naturale (per la classificazione che fa delle sostanze alimentari), alla fisica (per le loro diverse analisi e scomposizioni), al commercio, all’economia politica (per le risorse che essa procura e per i mezzi di scambio che istituisce tra le nazioni): la gastronomia, da questo punto di vista, secondo Brillat-Savarin «governa la vita intera», ed è un sapere costitutivamente multidisciplinare.

Le varie declinazioni del gusto

Il gusto è il senso gastronomico per eccellenza. Se poniamo attenzione a che cosa intendiamo con la parola “gusto”, però, è facile verificare che essa può riguardare ambiti differenti.

  • Lo specifico senso predisposto al riconoscimento dei sapori, il cui organo è la bocca.
  • La bocca è dotata di papille gustative che possiedono vari tipi di recettori dei sapori. Oggi la scienza chimica riconosce cinque sapori fondamentali (dolce, salato, acido, amaro, umami) ma il numero dei sapori è storicamente variato in base ai modelli scientifici e alle teorie filosofiche. Oggi tendiamo a non ricordarlo, ma il gusto come sapore ha avuto fondamentale importanza nell’evoluzione del genere umano, perché esso riguarda anche il saper evitare i cibi tossici e velenosi e, viceversa, la scelta di quelli salubri e nutrienti. Le prospettive genetico-evolutive del gusto ci dicono che l’amaro è avversato, mentre il dolce e il grasso sono apprezzati, dai neonati, proprio per la sua funzione innanzitutto nociceptiva. Un’educazione del gusto riguarda dunque in primo luogo l’educazione sensoriale così come avviene per gli altri sensi, e da questo punto di vista il gusto è forse un senso meno ricco e importante degli altri, maggiormente confinato a un ambito preciso e con un’articolazione relativamente semplice.

  • L’insieme dei sapori, degli aromi e delle altre caratteristiche di un alimento che si sentono nella bocca.
  • È quanto avviene nell’esperienza comune: quando gustiamo, non ci limitiamo ai sapori descritti precedentemente, ma attiviamo un sistema più complesso, dove più sensi sono coinvolti: l’olfatto, che opera anche senza inalazione diretta (cosa che avviene quando annusiamo un cibo) ma anche solo per via retronasale, indiretta, grazie all’ossigenazione che libera le molecole olfattive in bocca; il tatto, che ci fa sentire le consistenze, le fluidità, le viscosità, le texture di ciò che mangiamo. E poi anche l’udito e la vista: l’espressione “mangiare con gli occhi” non ha un significato meramente metaforico, perché è facilmente verificabile, oltre che dimostrato da esperimenti scientifici, che la vista condiziona fortemente il riconoscimento e l’apprezzamento gustativo. Con gusto intendiamo quindi un sistema multisensoriale complesso. Se a questo aggiungiamo che il riconoscimento sia dei sapori “in senso stretto” sia di tutto il gusto del cibo non avviene nella bocca né nel naso ma nel cervello, dove le sensazioni vengono processate e rielaborate in base al vissuto individuale, alla memoria, alla biografia, e alla cultura, ci accorgiamo dunque come il gusto non è affatto semplice e inferiore agli altri sensi. Ci accorgiamo che quando ci occupiamo di gastronomia e di gusto, in realtà ci occupiamo del nostro corpo senziente in generale. E allora un’educazione del gusto, non restando confinata al riconoscimento di sapori base, chiama in causa elementi più vasti, innanzitutto la cultura e la formazione di un individuo all’interno di una società. Il gusto non è solo sapore ma anche sapere.

  • L’essere considerato elegante, fine, colto all’interno di una certa cultura o di una certa comunità secondo un criterio di valori accettati dai più.
  • La parola “gusto”, a partire dall’età moderna, è stata in effetti molto utilizzata per identificare un campo attinente non tanto al cibo e alla gastronomia ma alla bellezza, all’arte, all’eleganza. Essere una persona di gusto, avere buon gusto ha significato questa capacità riconosciuta di sapersi orientare nella sfera dell’estetica come ambito del “non so che”, del giudizio sul bello e su ciò che sta bene. L’essere esperto di qualcosa, esercitare il mestiere di critico: questi ambiti del gusto nascono per sottolinea­re un tipo di educazione che non è né solo sensoriale né solo, in senso lato, culturale, ma più specificamente estetica. Con ciò si intende un tipo di sensibilità particolare, attenta alle sfumature e ai dettagli che sfuggono alla maggior parte delle persone, e che si sviluppa con esperienza, confronti e attenzione superiore. Anche la gastronomia ha avuto e ha molto a che fare con questo significato metaforico della parola gusto, basti pensare a quanto si sono sviluppate, specialmente negli ultimi decenni, le pratiche e i saperi relativi alla critica enogastronomica.

Percorsi di scienza degli alimenti
Percorsi di scienza degli alimenti
Per il primo biennio