Classe di letteratura - volume 3B

Deportati al campo di concentramento dopo la liberazione, 1945. Una sofferenza incancellabile L asciuttezza del dettato russa che avanza circospetta lungo la strada che costeggia la recinzione del campo di concentramento. Sono quattro giovani soldati a cavallo dai visi rozzi e puerili (r. 34), sono i liberatori, i messaggeri della fine dell incubo, eppure non un sorriso li accoglie, non un grido di gioia, non un applauso: i superstiti di Auschwitz non sono più in grado di sorridere, neppure a chi viene a ridare loro la dignità di persone (Così per noi anche l ora della libertà suonò grave e chiusa, r. 43). I prigionieri si fermano a contemplare i soldati come inebetiti e, al di là dei reticolati, gli stessi russi rimangono esitanti e indecisi, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi (rr. 25-27). l imbarazzo, la pietà (r. 35), il ritegno (r. 36) di chi constata che il male si è introdotto irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono (r. 41) e che si trova a testimoniare una tragedia ai limiti dell umano. la vergogna di appartenere a un umanità che ha potuto macchiarsi di crimini così atroci senza riuscire a impedirli, l oscuro senso di colpa di chi ha avuto in sorte di sopravvivere, non per i propri meriti ma apparentemente per caso, a tanti altri che invece sono caduti (quelli che Levi chiama appunto i sommersi, r. 53). Più tardi, diffusasi la notizia dell arrivo dei russi, qualcuno muove incontro ai liberatori, qualcun altro cade in preghiera; comincia a farsi strada la certezza di una liberazione a cui ormai non si credeva più. Ma tali sentimenti positivi restano inevitabilmente intrecciati, in coloro che hanno vissuto la tragica esperienza della deportazione, con la consapevolezza che la memoria dell orrore sofferto non sarà mai più cancellabile e che i segni dell offesa rimarranno per sempre nel loro animo. Levi lo afferma con un passo lapidario: sentivamo [ ] che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti (rr. 46-49). Lo scrittore descrive così il permanere di un ombra indelebile, destinata a persistere, nella memoria e nelle emozioni di chi ne era stato vittima, anche molti anni dopo quei tragici eventi. Le scelte stilistiche La narrazione è condotta in prima persona, ma ciò non determina la messa in primo piano dell io narrante con il carico di sofferenza psicologica e di intensità emotiva legato ai fatti descritti. Tutto è riferito, al contrario, in maniera sobria ed essenziale, come se si trattasse di un racconto storico o cronachistico, rispetto al quale il narratore si pone quasi esternamente. Ciò si vede, sul piano sintattico, nel periodare secco e caratterizzato dal netto prevalere della paratassi sull ipotassi, e, al livello dei contenuti informativi, nella precisione dei dati che vengono riportati: Nei primi giorni del gennaio 1945, sotto la spinta dell Armata Rossa ormai vicina, i tedeschi avevano evacuato in tutta fretta il bacino minerario slesiano (rr. 1-2); Nell infermeria del Lager di Buna-Monowitz eravamo rimasti in ottocento (r. 13); La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945 (rr. 17-18) ecc. Eppure sembra quasi come accade solitamente nei libri di Levi che proprio da tale asciuttezza del dettato la denuncia degli orrori subiti acquisti una forza ancora maggiore: la forza che possiedono le parole di chi non urla e non piange, ma sottovoce pronuncia terribili verità. 470 / IL SECONDO NOVECENTO E GLI ANNI DUEMILA

Classe di letteratura - volume 3B
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Dalla Prima guerra mondiale a oggi