IL SECONDO NOVECENTO

LA POP ART

l’arte della società dei consumi

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta si sviluppa, prevalentemente negli Stati Uniti, un movimento che si ispira alle immagini della cultura popolare e commerciale.

SOGGETTI “PRESI” DALLA VITA QUOTIDIANA

Lasciate alle spalle le difficoltà del Dopoguerra, si guarda con ottimismo a un futuro di ricchezza e progresso. I giovani artisti non sono più interessati a un’arte difficile da comprendere e riservata a pochi, come l’Espressionismo astratto: ora si cerca un’arte capace di parlare un linguaggio semplice e comprensibile a tutti.

Le immagini della società dei consumi e le tecniche impiegate nel cinema e nella pubblicità ispirano un nuovo linguaggio figurativo, la Pop Art, che con ironia mette in evidenza la crescita del consumismo e, al tempo stesso, ne denuncia i rischi.

L’ARTE A FUMETTI DI LICHTENSTEIN

L’artista pop Roy Lichtenstein (New York, 1923-1997) lavora principalmente su uno dei simboli della nuova cultura popolare: il fumetto.

Per realizzare i suoi dipinti sceglie il dettaglio di una vignetta e trasferisce il disegno ingrandito sulla tela, con l’aiuto di un proiettore.

In  Ragazza che annega seleziona solo la scena con la ragazza che sta annegando e le fa dire: «Non mi interessa! Preferirei affogare piuttosto che chiamare Brad per chiedere aiuto!». Osservandola, siamo portati a immaginare la sua storia: che cosa le è successo? Che cosa accadrà dopo?

L’opera è dipinta a mano, eppure sembra una riproduzione meccanica per i contorni marcati, i colori piatti e i piccoli punti nelle campiture dell’acqua e del viso, che riproducono i punti Ben Day tipici dei fumetti e delle immagini stampate in serie.

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WARHOL: IL LINGUAGGIO DELLA COMUNICAZIONE

Andy Warhol, pseudonimo di Andrew Warhola Jr. (Pittsburgh, Stati Uniti, 1928 - New York, 1987), è senza dubbio il più celebre fra gli artisti pop.

Nato in Pennsylvania, in una famiglia originaria dell’attuale Slovacchia, nel 1949 si trasferisce a New York dove lavora come grafico pubblicitario.

All’inizio degli anni Sessanta comincia a realizzare le sue prime opere: ispirandosi al linguaggio della pubblicità, sceglie come soggetti manifesti, fotografie tratte dai giornali o prodotti acquistati al supermercato.

Nel 1962 dipinge  Campbell’s Soup Cans, un’opera composta da 32 tele, ognuna delle quali rappresenta una diversa varietà delle zuppe in scatola Campbell.

La ripetizione della lattina ha la funzione di imprimere l’immagine dell’oggetto nella mente dell’osservatore, esattamente come fa la pubblicità. Le tele, inoltre, vengono presentate in maniera ordinata, come le confezioni di zuppa sullo scaffale di un grande magazzino.

Nonostante ogni tela sia dipinta a mano, le immagini sono tutte identiche tra loro, perché ottenute proiettando lo stesso disegno, ma se le si osserva con attenzione, si può notare che le etichette sono diverse perché identificano tutte le varianti di gusto.

Warhol vuole ottenere uno stile impersonale, che annulli l’originalità dell’artista e allo stesso tempo rappresenti i desideri collettivi degli statunitensi e il loro stile di vita: lui stesso confessa di aver mangiato la zuppa di pomodoro Campbell ogni giorno a pranzo per vent’anni!

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IL MITO DI MARILYN SECONDO WARHOL

Warhol raffigura nelle sue opere anche personaggi celebri, come cantanti, attori e leader politici: nel 1962 elabora una fotografia della star del cinema Marilyn Monroe, appena scomparsa, e crea un ritratto che riproduce in molte versioni.

Come nella serie delle zuppe Campbell, in  Marilyn Monroe (Twenty Times) l’immagine è ripetuta più volte. Qui però la figura è alterata da colori innaturali, che evidenziano le caratteristiche del volto della diva: il verde sottolinea le palpebre socchiuse, il rosso le labbra carnose e il giallo i capelli biondi, mentre la pelle è di un rosa brillante.

Con quest’opera l’artista trasforma Marilyn da persona a “oggetto” riproducibile in serie, proprio come un qualunque bene di consumo.

Warhol non dipinge i ritratti a mano, ma li riproduce meccanicamente attraverso la serigrafia. Questo processo di stampa lascia dei segni neri che fanno apparire le immagini simili a quelle dei cartelloni pubblicitari sbiaditi dal tempo.

Storie della Storia dell’arte - volume B
Storie della Storia dell’arte - volume B
Dalle origini a oggi