Storie della Storia dell’arte - volume B

IL RINASCIMENTO MATURO – MICHELANGELO

quelle statue “non finite”

Poco dopo la realizzazione del David, Michelangelo viene chiamato a Roma da papa Giulio II che gli commissiona la sua tomba. Dal primo colossale progetto, del 1505, dovranno passare quattro decenni perché la “tragedia della sepoltura”, come la chiama l’artista stesso, si concluda.

Nel lungo tempo che vede la realizzazione della Tomba di Giulio II, Michelangelo scolpisce numerose figure che poi restano escluse dal progetto finale. Tra queste vi sono i quattro  Prigioni, ovvero figure di prigionieri o, secondo altre ipotesi, personificazioni delle province controllate dal papa.

Nel Prigione noto come lo  Schiavo barbuto la forza del personaggio, a stento trattenuta, è messa in evidenza dalle gambe possenti e dal torace muscoloso. Alla forte torsione del corpo si unisce una lavorazione diversa delle superfici: alcune parti, infatti, sono ben levigate, altre sembrano non finite e appena abbozzate, come il volto.

Questi dettagli raccontano bene la maniera di lavorare di Michelangelo. Vedi come la figura assomiglia a un gigante che, con grande sforzo, cerca di uscire dal blocco di pietra?

Questo effetto è voluto dallo scultore, il quale ritiene che scolpire significhi liberare dal marmo l’idea che in esso è racchiusa. Come se la forma dell’opera fosse già presente all’interno del blocco grezzo della pietra e l’artista avesse solo il compito di portarla alla luce.

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MOVIMENTO SERPENTINATO E COLORI BRILLANTI

Mentre si dedica alla tomba del papa, Michelangelo viene ingaggiato per altre commissioni.

Per il mercante fiorentino Agnolo Doni, realizza una  Sacra Famiglia, cioè una composizione con la Vergine, Gesù bambino e Giuseppe.

Siamo intorno al 1505. Michelangelo si mette al lavoro e, nel giro di poco tempo, consegna alla Storia un’opera davvero nuovissima.

Entro una cornice rotonda sono collocati i tre protagonisti, disposti a piramide: in primissimo piano è la Vergine che, seduta su un bel prato, si volta a prendere il figlio dalle braccia di Giuseppe.

Alle loro spalle, si intravede un gran numero di “ignudi” colti in svariate posizioni. Queste figure, ispirate all’arte classica, rappresentano l’umanità pagana, separata dalla Sacra Famiglia da un basso muretto, oltre il quale è presente anche un giovane san Giovanni, l’ultimo profeta prima della venuta del Salvatore.

Colpiscono la monumentalità dei personaggi, rappresentati come fossero sculture, e la scelta di colori brillanti, resi quasi “metallici” da una luce chiarissima.

Un elemento innovativo è la torsione del busto di Maria, da cui si origina un movimento serpentinato che coinvolge tutte le figure. Una sorta di spirale che dona al gruppo un fortissimo dinamismo. Sembra scontato, ma all’epoca non lo era affatto. Ecco perché l’opera diventa, fin da subito, il modello di un nuovo modo di fare arte.

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un TRIONFO PITTORICO

Conclusa la Sacra Famiglia, Michelangelo parte nuovamente per Roma, chiamato da papa Giulio II a lavorare alla  Volta della Cappella Sistina.

L’ambiente deve il suo nome a un precedente pontefice, Sisto IV, che intorno al 1480 aveva avviato il restauro della vecchia cappella del palazzo papale, incaricando per gli affreschi i migliori artisti del tempo. La volta in quegli anni viene dipinta con un bel cielo stellato, ma nel 1508 questo cielo non piace più e il nuovo pontefice affida a Michelangelo il rifacimento della decorazione. L’impresa è davvero titanica, sia per l’estensione della superficie sia per la sua altezza! Senza contare che è la prima volta in cui Michelangelo si cimenta nell’affresco.

Dopo aver attentamente studiato l’ambiente, l’artista trova una soluzione ottimale per dare uniformità a tutto il ciclo pittorico. Decide infatti di suddividere la struttura della volta con finte arcate marmoree, pensate come il prolungamento dei pilastri delle pareti.

La fascia centrale viene ripartita in nove riquadri che raccontano la Genesi, ovvero la storia della creazione del mondo e dell’essere umano secondo la Bibbia.

Le due fasce laterali della volta alternano riquadri a triangoli: nei primi sono ritratte le colossali figure di Profeti e Sibille, mentre nei secondi sono presenti gli Antenati di Cristo. I quattro triangoli più ampi che si formano agli angoli, infine, ospitano le storie degli eroi che hanno salvato il popolo di Israele.

La griglia entro cui Michelangelo mette in scena il racconto viene “abitata” e quasi soverchiata dalle poderose figure, abbigliate con colori brillanti e illuminate da una luce chiara.

Episodio centrale della volta è quello della  Creazione di Adamo: Dio, sospeso in una nuvola e circondato da angeli e cherubini, allunga il braccio a sfiorare la mano del primo uomo per infondergli la vita.

Adamo è giovane e atletico e il suo corpo rievoca la statuaria antica. È disteso su un pendio erboso e ha una posa naturale: con il braccio destro poggiato a terra solleva il busto, mentre con l’altro si protende verso la mano divina.

Questo “contatto” sfiorato tra le due mani è il momento cruciale della composizione: l’indice del Padre è puntato verso l’uomo con fare autorevole, mentre la mano di Adamo appare ancora debole, animata appena dall’energia che Dio gli sta trasmettendo.

La monumentalità delle figure è sottolineata dal colore chiaro, luminoso e freddo della veste di Dio Padre, ritratto in movimento.

Troviamo questi stessi elementi stilistici nella  Sibilla delfica, una dei Veggenti biblici dei riquadri laterali. Ritratta in una posa estremamente dinamica, la donna alza lo sguardo dal codice che sta leggendo, forse richiamata da qualcosa di esterno o da una visione improvvisa. Le sue labbra si schiudono per la sorpresa e il suo sguardo si tinge quasi di timore. La forza, l’intensa luminosità che colpisce il volto della donna e le pieghe del suo abito rendono questa figura una delle più note della Cappella Sistina.

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UNA CUPOLA PER SAN PIETRO

Dalla metà degli anni Trenta del Cinquecento, Michelangelo risiede stabilmente a Roma, dove elabora uno dei suoi più illustri lavori, la  Cupola della Basilica di San Pietro. È papa Paolo III che gli commissiona questa grande impresa nel 1546: Michelangelo ha ormai più di settant’anni, ma, a dispetto dell’età, accetta il prestigioso incarico.

L’antica basilica paleocristiana di San Pietro viene demolita nel 1505 per iniziativa di papa Giulio II, che vuole far ricostruire la chiesa in forme più grandi. Dagli anni immediatamente successivi, si avvicendano alla sua ricostruzione svariati architetti.

Tuttavia, alla metà del Cinquecento il cantiere è ancora aperto. Ed è appunto in questi anni che entra in gioco il Buonarroti, il quale non solo modifica la pianta della chiesa, ma risolve anche il problema della costruzione della sua immensa cupola emisferica. E a chi ispirarsi se non a Filippo Brunelleschi?

Come la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze (p. 224), anche la copertura romana presenta una doppia calotta, una esterna e una interna. Però, a differenza di quella fiorentina, la cupola di San Pietro non solo è costruita su pianta circolare e non ottagonale, ma è anche pensata in maniera più “mossa”, come si nota nel tamburo, che è lavorato come una grande scultura, giocata tra pieni e vuoti e tra luce e ombra: lo evidenzia bene il gioco delle doppie colonne che si trovano avanzate rispetto alle finestre timpanate. Proprio il tamburo è l’ultima parte realizzata da Michelangelo. Poi la morte lo coglie nel 1564 e la cupola verrà completata sotto la direzione di Guglielmo della Porta (Porlezza, Como, 1515 ca. - Roma, 1577).

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Dalle origini a oggi