L’ARTE BIZANTINA

L’EPOCA D’ORO DI RAVENNA

una città tra Oriente e Occidente

Divenuta capitale dell’Impero romano d’Occidente, Ravenna a partire dal V secolo conosce una straordinaria fioritura artistica che vede il rinnovarsi dell’arte del mosaico.

Galla Placidia e il suo Mausoleo

A favorire la fioritura dell’arte bizantina in Italia è soprattutto una donna, sorella dell’imperatore Onorio e reggente dell’Impero tra il 425 e il 450: Galla Placidia. È lei a volere la costruzione delle prime due basiliche a Ravenna: una dedicata a San Giovanni Evangelista e l’altra, poi distrutta, intitolata alla Santa Croce. A quest’ultima era collegato l’edificio ancora oggi più noto della città, che porta il suo nome, il  Mausoleo di Galla Placidia.

La costruzione presenta una pianta quasi a croce greca con copertura a cupola sopra l’incrocio dei bracci. Alla sobrietà del paramento esterno in mattoni, ritmato da semplici archi ciechi (cioè senza aperture), si contrappone l’estrema sontuosità dell’interno, interamente rivestito di mosaici.

Varcato l’ingresso, infatti, si rimane meravigliati dal gioco di stelle dorate sul fondo blu notte, dai festoni di fiori e di frutti che rivestono gli archi e i sottarchi e dalle figurazioni sacre nelle lunette.

La luce e il bagliore dei colori sembrano quasi annullare le poderose pareti, facendoci entrare in un mondo incantato. Quella luce e quei colori servono proprio a raccontarci, in chiave simbolica, lo splendore del regno dei cieli e la grandezza divina.

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Una chiesa per Sant’Apollinare

Se i simboli usati in alcuni mosaici sono semplici da comprendere, altri invece sono molto più complessi. È questo il caso della raffigurazione nel  Catino absidale della Basilica di Sant’Apollinare in Classe, cioè nella copertura semisferica dell’abside.

La scena è suddivisa in due parti ben distinte:

  • nella zona inferiore, occupata da un grande prato verde, in piedi, al centro, in abito color porpora, c’è sant’Apollinare, ben identificabile per la scritta SANCTUS APOLENARIS; intorno a lui, perfettamente simmetriche nel numero e nella posa, ci sono dodici candide pecore, che alludono ai dodici apostoli o, più in generale, al “gregge” dei fedeli;
  • nella zona superiore, esattamente sopra la figura del santo, c’è una croce gemmata su un cielo stellato, circondata da un anello. Al centro della croce è rappresentato il volto di Cristo. A destra e a sinistra del disco con la croce si trovano i profeti Elia e Mosè, mentre un po’ più in basso, proprio all’inizio della zona occupata dal prato, ci sono tre pecorelle che simboleggiano i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni: siamo di fronte a una rappresentazione allegorica della trasfigurazione sul Monte Tabor.

Il valore simbolico dell’immagine è evidenziato dallo stile scelto: infatti, benché vi siano nella scena molti elementi naturali (il prato, i fiori, i sassi, i cespugli e le pecore), la mancanza di movimento, di realismo e di volume suggeriscono che non ci troviamo di fronte a un vero paesaggio di campagna, ma davanti a qualcosa che ha un altro significato.

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La trasfigurazione sul Monte Tabor

L’episodio è narrato nei Vangeli. Si racconta che Cristo si fosse recato con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte Tabor. Qui cambiò aspetto, mostrandosi circondato di luce e con vesti bianchissime; mentre appaiono anche i profeti Mosè ed Elia e la voce di Dio indica in Gesù suo figlio.

Storie della Storia dell’arte - volume B
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Dalle origini a oggi