6. I grandi gruppi industriali, il ruolo dello Stato e le banche

la parola

Il liberismo è una dottrina economica che si è affermata nella prima metà dell’Ottocento in Inghilterra, dove era nata la Prima rivoluzione industriale. Si basa sulle teorie dell’economista britannico Adam Smith (1723-90), secondo il quale una delle condizioni irrinunciabili del progresso è la libertà. Egli era convinto che la singola impresa, cercando di realizzare il proprio profitto, realizzi indirettamente anche il bene della collettività; quindi deve essere lasciata libera di agire e gli interventi statali devono essere ridotti al minimo. I pilastri del liberismo sono la libera concorrenza fra gli imprenditori, l’abolizione dei dazi doganali e il libero scambio fra le nazioni.

Dagli anni Ottanta dell’Ottocento, molti Stati in via di industrializzazione abbandonarono il liberismo per adottare il protezionismo, che punta invece a “proteggere” la produzione nazionale dalla concorrenza attraverso un intervento dello Stato. Imponendo dazi doganali elevati sulle merci importate dalle altre nazioni, lo Stato fa sì che i prodotti importati abbiano un prezzo più alto dei prodotti nazionali, che dunque verranno preferiti dai consumatori.

6 I grandi gruppi industriali, il ruolo dello Stato e le banche

Nascono grandi gruppi economici

Le industrie trainanti della Seconda rivoluzione industriale, in particolare quelle chimiche, elettriche e dell’acciaio, richiedevano per essere avviate notevoli capitali, che i singoli imprenditori non possedevano. Molte imprese piccole e medie scomparvero così dal mercato.

In diversi casi le industrie che agivano nello stesso settore produttivo si fusero fra loro allo scopo di ridurre i costi, di battere la concorrenza e di stabilire i prezzi di vendita. Si formarono così grandi gruppi economici, i cosiddetti trust, che arrivarono a dominare interi settori, creando una situazione di monopolio. Negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, per esempio, la Standard Oil controllava la quasi totalità della produzione di petrolio. Nel 1890 il governo americano cercò di introdurre delle leggi antimonopolio, imitato anche da altri paesi, ma quasi sempre con scarsi risultati.

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La Seconda rivoluzione industriale portò gli Stati a cambiare le loro politiche economiche. Durante la Prima rivoluzione industriale la Gran Bretagna aveva adottato un atteggiamento liberista, basato cioè sulla libera circolazione delle merci fra le nazioni.

Nella seconda metà dell’Ottocento, invece, con la comparsa di nuove potenze industriali e un più ampio intervento dello Stato nell’economia, il liberismo fu progressivamente sostituito dal protezionismo. Fra il 1879 e il 1892 i governi di Germania, Russia, Italia, Stati Uniti e Francia introdussero dazi doganali sull’importazione di prodotti da altri paesi, allo scopo di proteggere la produzione nazionale. Questa politica economica veniva incontro sia agli interessi degli industriali sia a quelli degli agricoltori, che erano stati colpiti dalla concorrenza del grano estero durante la “Lunga depressione”.

In questa vignetta americana il monopolio dei grandi gruppi economici è raffigurato come una bestia con tante teste che mangia molto ma produce pochissimo latte, cioè non porta benefici all’economia degli Stati Uniti (qui rappresentati dalla figura dello zio Sam, a destra).

monopolio: situazione in cui una sola impresa produce e vende un determinato bene, senza altre imprese concorrenti; può perciò decidere sia il prezzo di vendita sia la quantità di beni offerta.

dazi doganali: tasse imposte dallo Stato sui beni e sui prodotti importati da altri Stati.

Il sostegno dello Stato all’industr

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Lo sviluppo industriale fu ovunque favorito dallo Stato, non solo con l’introduzione di tariffe protezionistiche, ma anche con aiuti economici diretti alla grande industria, soprattutto in quei settori considerati strategici per la nazione, come l’industria siderurgica. Grazie a questi sostegni, per esempio, negli Stati Uniti, in Germania e in Russia la produzione di acciaio aumentò di tre volte fra il 1890 e il 1910; da quel momento l’acciaio divenne il simbolo della potenza industriale di una nazione.

Lo Stato sostenne lo sviluppo industriale anche promuovendo, come vedremo nel capitolo 3, l’espansione coloniale: la conquista di nuovi territori, oltre ad aumentare il prestigio nazionale, forniva infatti materie prime e assicurava nuovi mercati.

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La necessità di avere a disposizione grossi capitali per creare imprese che avrebbero portato guadagni solo dopo molto tempo creò un legame sempre più stretto tra industria e banche, a cui gli imprenditori potevano rivolgersi per chiedere denaro in prestito.

Un altro modo con cui un’impresa poteva raccogliere il denaro necessario era trasformarsi in una società per azioni. Questo tipo di società è formato da più persone, che mettono insieme i propri capitali costituendo un capitale comune. Ogni socio, in cambio del capitale versato, riceve un certo numero di azioni, cioè diventa proprietario di una parte dell’azienda.

Una veduta delle acciaierie Krupp a Essen, in Germania, a fine Ottocento. I Krupp controllavano il settore siderurgico tedesco e possedevano anche fabbriche di armi.

studio con metodo

Colgo le relazioni

Rispondi.

- Perché molti Stati aumentarono la produzione di acciaio?

studio con metodo

Comprendo

Sottolinea nel testo con colori diversi i due modi con cui un’impresa poteva trovare il capitale che le serviva.

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Ti racconto la Storia - volume 3
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Dal Novecento a oggi