APPROFONDIMENTO: D’Annunzio e l’impresa fiumana

D’Annunzio e l’impresa fiumana

Alla Conferenza per la pace di Parigi i rappresentanti del governo italiano avevano avanzato pretese sulla città di Fiume in base al principio di autodeterminazione dei popoli, poiché gli abitanti si erano pronunciati in favore dell’annessione all’Italia.

Le richieste italiane non vennero però accolte e nel settembre 1919 il poeta Gabriele D’Annunzio (a cavallo nella foto), già protagonista della campagna interventista e poi combattente nella Prima guerra mondiale, attuò un colpo di mano militare: entrò a Fiume alla testa di alcune migliaia di “legionari”, ex soldati ed ex ufficiali, e proclamò l’annessione della città all’Italia.

Nel breve arco di tempo dell’impresa, D’Annunzio sperimentò un nuovo atteggiamento politico, basato sul rapporto diretto ed “emotivo” fra il capo e le masse: nei suoi discorsi infuocati egli dialogava con la folla, gesticolava in modo teatrale, celebrava come “martiri” i combattenti caduti per Fiume. Molte di queste tecniche saranno riprese e perfezionate dal regime fascista di Benito Mussolini ( capitolo 7).

Novembre 1919: un terremoto elettorale

Nel novembre 1919 si tennero in Italia le prime elezioni a suffragio universale maschile, in cui votarono tutti i cittadini maschi sopra i 21 anni di età.

Il risultato, anche per l’adozione del sistema proporzionale, favorì i partiti che avevano l’appoggio dei ceti contadini e operai. Il Partito socialista divenne il primo partito in Parlamento, con 156 deputati, e il Partito popolare, fondato nel gennaio 1919 da Luigi Sturzo per rappresentare le forze cattoliche, ottenne 100 deputati. Essi non riuscirono però né ad allearsi fra loro né ad accordarsi con lo schieramento liberale.

sistema elettorale proporzionale: con questo sistema elettorale ogni partito ottiene in Parlamento un numero di seggi proporzionale ai voti ricevuti alle elezioni.

La mancata formazione di una maggioranza parlamentare portò a una forte instabilità politica: fra il 1920 e il 1921 si susseguirono diversi governi.

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Gli anni 1919-20 furono caratterizzati da un’ondata di proteste popolari. Scioperi e cortei, in cui venivano agitate le bandiere rosse del socialismo, divennero così frequenti da far definire questo periodo “biennio rosso”.

Nelle città si tennero numerose manifestazioni contro l’aumento dei prezzi. Nelle campagne della pianura padana, del Lazio, dell’Italia meridionale, i contadini occuparono le terre incolte promesse loro durante il conflitto.

Nelle grandi fabbriche del Nord gli operai, in seguito alle lotte, ottennero nel 1919 il riconoscimento della giornata lavorativa di otto ore. Il culmine delle proteste si ebbe nel settembre 1920 a Torino, Milano, Genova. Gli industriali, nel tentativo di porre fine alle agitazioni, decisero la serrata, cioè la chiusura delle fabbriche; gli operai risposero occupando gli stabilimenti, a partire dalla Fiat di Torino, e formando, sull’esempio dei soviet russi ( capitolo 8, p. 201), dei consigli di fabbrica. Di fronte a quello che sembrava l’inizio di una rivoluzione, gli industriali chiesero un intervento repressivo del governo, ma il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti preferì non inasprire lo scontro e favorì le trattative fra industriali e sindacati. Dopo poche settimane si giunse a un accordo: gli operai sgombrarono pacificamente le fabbriche e ottennero degli aumenti salariali.

Completa la mappa sul biennio rosso con i termini elencati.

occupazione - prezzi - terre incolte - proteste

studio con metodo

manifestazioni

contro l’aumento

dei _____________

prezzi

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delle fabbriche

biennio rosso (1919-20)

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Operai armati occupano una fabbrica nel 1920. La falce e il martello erano il simbolo del movimento proletario, che appoggiava sia le proteste contadine sia quelle operaie.

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Ti racconto la Storia - volume 3
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