6. Un anno decisivo: il 1917

6 Un anno decisivo: il 1917

Ribellioni fra i soldati

Dopo tre lunghi anni di guerra, stanchezza e sfiducia si diffusero fra gli eserciti. Il contatto quotidiano con la morte, i rumori assordanti delle bombe, gli orrori della vita di trincea produssero fra i soldati crolli nervosi e disturbi mentali. Vi furono episodi di ribellione e ammutinamento: molti soldati, cioè, si rifiutarono di combattere. Alcuni arrivavano addirittura a infliggersi da soli delle ferite, sparandosi a una gamba o a un piede, per essere allontanati dal fronte, oppure disertavano consegnandosi al nemico ( Le storie di Galatea, p. 116).

Di fronte a questi episodi, per mantenere la disciplina, i comandanti inasprirono le pene e ricorsero alla decimazione: nei reparti dove si erano verificati disordini, veniva fucilato un soldato scelto a caso ogni dieci.

LEGGERE LA STORIA ATTRAVERSO LE IMMAGINI: L’IPRITE E LE MASCHERE ANTIGAS

I gas asfissianti vennero utilizzati per la prima volta nel 1915 dai tedeschi contro gli anglo-francesi nella zona intorno alla città belga di Ypres. Le maschere antigas impedirono che la nuova arma – chiamata iprite dal nome della città – facesse un elevato numero di vittime, ma l’immagine dei soldati con il volto completamente nascosto dalle maschere, come nella fotografia qui sopra, è diventata il simbolo di un uso “distruttivo” del progresso scientifico e tecnologico.



Osserva l’immagine e rispondi alle domande sul quaderno.

1. Secondo te, come poteva sentirsi un soldato con indosso la maschera antigas?

2. «La scienza appartiene all’umanità in tempo di pace e alla patria in tempo di guerra»: prova a spiegare questa frase del chimico Fritz Haber (1868-1934), vincitore del premio Nobel, riflettendo sull’uso dei gas asfissianti.

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Scioperi e proteste sul fronte interno

Anche sul fronte interno cresceva il malcontento. Lo stato di abbandono delle campagne, la difficoltà delle comunicazioni, un inverno molto freddo provocarono scarsità di cibo e un aumento dei prezzi; in diverse città, soprattutto a Berlino e a Vienna, ci furono proteste, scioperi, manifestazioni per chiedere l’uscita dal conflitto, che videro una forte partecipazione femminile.

L’uscita della Russia dal conflitto

La situazione precipitò sul fronte orientale: davanti all’avanzata dell’esercito tedesco, un numero crescente di soldati russi disertò o venne preso prigioniero, mentre lo zar Nicola II appariva ormai incapace di riorganizzare l’esercito.

La sua abdicazione nel febbraio 1917 portò alla fine del regime zarista e all’instaurazione di un nuovo governo rivoluzionario ( capitolo 8, p. 202), che decise di porre fine alla guerra. Nel marzo 1918 la Russia firmò la Pace di Brest-Litovsk con gli Imperi centrali, a condizioni durissime, che imponevano la rinuncia a una parte significativa del territorio russo.

L’intervento degli Stati Uniti

L’uscita della Russia dal conflitto fu controbilanciata dall’intervento degli Stati Uniti, che il 6 aprile 1917 dichiararono guerra alla Germania. Gli Stati Uniti avevano già sostenuto l’Intesa in modo indiretto, fornendo prestiti di denaro, prodotti industriali e materie prime. Il presidente americano Woodrow Wilson decise di entrare direttamente nel conflitto per contrastare la guerra sottomarina attuata dalla Germania, che metteva in pericolo la navigazione nell’Atlantico.

Gli Stati Uniti misero subito a disposizione dell’Intesa la propria forza produttiva e industriale; i tempi della mobilitazione dell’esercito furono invece lunghi, e i soldati inviati in Europa, circa due milioni, ebbero un ruolo decisivo solo nelle ultime fasi del conflitto.

Il fronte italiano: da Caporetto al Piave

L’uscita della Russia dalla guerra consentì ad Austria-Ungheria e Germania di concentrare le proprie forze sul fronte italo-austriaco. Il 24 ottobre 1917 il fronte italiano fu rotto a Caporetto, in Slovenia. Da lì gli eserciti nemici avanzarono in Friuli ed entrarono in Veneto, mentre colonne di soldati disarmati fuggivano disordinatamente verso il fiume Piave. Le cifre parlano di una sconfitta disastrosa: 300 000 prigionieri, 350 000 soldati allo sbando, 400 000 civili costretti ad abbandonare le proprie case.

Le ragioni del disastro vanno cercate in una nuova tattica di attacco degli austro-tedeschi e in errori militari dei comandi italiani, in particolare del generale Cadorna. Già criticato per i suoi metodi autoritari, Cadorna gettò tutta la colpa sui soldati, sostenendo che avevano tradito la patria rifiutandosi di combattere. Per ristabilire il morale di esercito e ufficiali, il governo sostituì Cadorna con il generale Armando Diaz, che concesse periodi più lunghi di lontananza dalle trincee e migliorò i rifornimenti alimentari. Da allora la propaganda fu rivolta in modo specifico ai soldati, con la promessa che, nel dopoguerra, agli ex combattenti sarebbero state concesse delle terre. L’esercito fu riorganizzato, vennero chiamati alla leva anche i giovani nati nel 1899 e fu costituita una linea difensiva lungo la riva del fiume Piave e il monte Grappa.

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Ti racconto la Storia - volume 3
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Dal Novecento a oggi