Prova A - Quante parole, quali parole

prova A Quante parole, quali parole PROVA A Gianrico Caro glio, La manomissione delle parole, Rizzoli, Milano 2010 Gianrico Carofiglio (n. 1961), scrittore ed ex magistrato italiano, sottolinea in questo testo l importanza delle parole traendo spunto da un brano del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky il quale sostiene che una società democratica ha cura delle parole perché attraverso di esse realizza la circolazione delle opinioni e delle convinzioni . Le parole sono inoltre strumento indispensabile per gestire la realtà e le proprie emozioni: la povertà del linguaggio, intesa in termini sia quantitativi sia qualitativi (in relazione alla sua capacità di indicare con precisione cose e idee), si può tradurre in comportamenti violenti contro se stessi e contro gli altri. 5 10 15 20 25 30 35 Gustavo Zagrebelsky ha detto: Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica . Nel suo ideale decalogo dell etica democratica egli ha incluso la fede in qualcosa, la cura delle personalità individuali, lo spirito del dialogo, il senso dell uguaglianza, l apertura verso la diversità, la diffidenza verso le decisioni irrevocabili, l atteggiamento sperimentale, la responsabilità dell essere maggioranza e minoranza, l atteggiamento altruistico; e, a concludere il decalogo, la cura delle parole. In nessun altro sistema di governo le parole sono importanti come in democrazia: la democrazia è discussione, è ragionamento comune, si fonda sulla circolazione delle opinioni e delle convinzioni. E osserva Zagrebelsky lo strumento privilegiato di questa circolazione sono le parole. Il rapporto fra ricchezza delle parole e ricchezza di possibilità (e dunque di democrazia) è dimostrato anche dalla ricerca scientifica, medica e criminologica: i ragazzi più violenti possiedono strumenti linguistici scarsi e inefficaci, sul piano del lessico, della grammatica e della sintassi. Non sono capaci di gestire una conversazione, non riescono a modulare lo stile della comunicazione il tono, il lessico, l andamento in base agli interlocutori e al contesto, non fanno uso dell ironia e della metafora. Non sanno sentire, non sanno nominare le proprie emozioni. Spesso, non sanno raccontare storie. Mancano della necessaria coerenza logica, non hanno abilità narrativa: una carenza che può produrre conseguenze tragiche nel rapporto con l autorità, quando è indispensabile raccontare, descrivere, dare conto delle ragioni, della successione, della dinamica di un evento. La povertà della comunicazione, insomma, si traduce in povertà dell intelligenza, in doloroso soffocamento delle emozioni. Questo vale a tutti i livelli della gerarchia sociale, ma soprattutto ai gradi più bassi. Quando, per ragioni sociali, economiche, familiari, non si dispone di adeguati strumenti linguistici; quando le parole fanno paura, e più di tutte proprio le parole che dicono la paura, la fragilità, la differenza, la tristezza; quando manca la capacità di nominare le cose e le emozioni, manca un meccanismo fondamentale di controllo sulla realtà e su se stessi. La violenza incontrollata è uno degli esiti possibili, se non probabili, di questa carenza. I ragazzi sprovvisti delle parole per dire i loro sentimenti di tristezza, di rabbia, di frustrazione hanno un solo modo per liberarli e liberarsi di sofferenze a volte insopportabili: la violenza fisica. Chi non ha i nomi per la sofferenza la agisce, la esprime volgendola in violenza, con conseguenze spesso tragiche. 367

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