Zibaldone

Zibaldone

Con il titolo di Zibaldone di pensieri Leopardi riunisce l’enorme mole delle sue annotazioni scritte dal 1817 al 1832: ben 4 526 facciate, oggi conservate presso la Biblioteca Nazionale di Napoli e pubblicate postume tra il 1898 e il 1900 a cura di una commissione presieduta da Giosuè Carducci.

Il termine “zibaldone” è un alterato di “zabaione” e indica una vivanda composta da una mescolanza di ingredienti diversi. Tale significato ci fa capire la natura apparentemente confusa di questo libro unico nel suo genere, una specie di immenso scartafaccio in cui Leopardi annota, senza ordine e in uno stile vario e immediato, notizie, riflessioni, estratti di letture, schemi, abbozzi. Come in un diario personale, nello Zibaldone il poeta riversa e condensa i segmenti del suo pensiero, mai cristallizzato ma rivelato in un continuo, spesso contraddittorio, divenire. Gli appunti che vi possiamo leggere spaziano attraverso tutto l’universo leopardiano: note di grammatica, critica letteraria, filologia, politica, filosofia e riflessione autobiografica vengono accolte in questi fogli, che ospitano tutta l’enorme e variegata officina dell’intellettuale e uomo Leopardi.

Al di là della presenza delle date e dei continui rimandi interni che associano i diversi pensieri per argomento, l’opera non ha una precisa struttura organizzativa: l’autore butta già le proprie intuizioni e le proprie idee a seconda delle circostanze o delle occasioni di lettura che le hanno stimolate. Il carattere frammentario dello Zibaldone, del resto, sottolinea anche l’asistematicità di tutto il suo pensiero: è come se il poeta, nel rifiutare ogni schema fisso e ordinato, avesse scelto di presentare proprio in questa forma singolarissima la molteplicità delle sue esperienze e la natura aperta e problematica del suo universo intellettuale.

Pensieri

Oltre allo Zibaldone, Leopardi scrive anche – soprattutto negli ultimi anni della sua vita, tra il 1831 e il 1835 – un cospicuo gruppo di pensieri, incentrati su temi filosofici e politici. In tutto si tratta di 111 brevi prose, pubblicate postume da Antonio Ranieri nel 1845.

T2

L’indefinito e la rimembranza

Zibaldone, [1744-1747]; [1987-1988]; [4426]

Leopardi ritiene che le suggestioni più belle ed evocative siano alimentate da percezioni rese vaghe e indefinite dalla lontananza nello spazio (che suggerisce l’idea dell’infinito) e nel tempo (che alimenta il ricordo) o anche dalla scarsa possibilità di vedere (come accade nell’intrecciarsi di luci e ombre) le cose nella loro amara realtà.

Le sensazioni visive (20 settembre 1821)
Da quella parte della mia teoria del piacere dove si mostra come degli oggetti
veduti per metà, o con certi impedimenti ec. ci destino idee indefinite, si spiega
perché piaccia la luce del sole o della luna, veduta in luogo dov’essi non si vedano
e non si scopra la sorgente della luce; un luogo solamente in parte illuminato
5      da essa luce; il riflesso di detta luce, e i vari effetti materiali che ne derivano; il
penetrare di detta luce in luoghi dov’ella divenga incerta e impedita, e non bene
si distingua, come attraverso un canneto, in una selva, per li balconi socchiusi
ec. ec.; la detta luce veduta in luogo, oggetto ec. dov’ella non entri e non percota1
dirittamente, ma vi sia ribattuta e diffusa da qualche altro luogo od oggetto ec.
10    dov’ella venga a battere; in un andito2 veduto al di dentro o al di fuori, e in una
loggia parimente3 ec. quei luoghi dove la luce si confonde ec. ec. colle ombre,
come sotto un portico, in una loggia elevata e pensile, fra le rupi e i burroni, in
una valle, sui colli veduti dalla parte dell’ombra, in modo che ne sieno indorate
le cime; il riflesso che produce, per esempio, un vetro colorato su quegli oggetti su
15    cui si riflettono i raggi che passano per detto vetro; tutti quegli oggetti insomma
che per diverse materiali e menome4 circostanze giungono alla nostra vista, udito
ec. in modo incerto, mal distinto, imperfetto, incompleto, o fuor dell’ordinario
ec. Per lo contrario5 la vista del sole o della luna in una campagna vasta ed aprica,6
e in un cielo aperto ec. è piacevole per la vastità della sensazione. Ed è pur piacevole
20    per la ragione assegnata di sopra, la vista di un cielo diversamente sparso di
nuvoletti, dove la luce del sole o della luna produca effetti variati, e indistinti, e
non ordinari ec. È piacevolissima e sentimentalissima la stessa luce veduta nelle
città, dov’ella è frastagliata dalle ombre, dove lo scuro contrasta in molti luoghi
col chiaro, dove la luce in molte parti degrada7 appoco appoco, come sui tetti,
25    dove alcuni luoghi riposti nascondono la vista dell’astro luminoso ec. ec. A questo
piacere contribuisce la varietà, l’incertezza, il non veder tutto, e il potersi perciò
spaziare coll’immaginazione, riguardo a ciò che non si vede. Similmente dico dei
simili effetti, che producono gli alberi, i filari, i colli, i pergolati, i casolari, i pagliai,
le ineguaglianze del suolo ec. nelle campagne. Per lo contrario una vasta e
30    tutta uguale pianura, dove la luce si spazi e diffonda senza diversità, né ostacolo;
dove l’occhio si perda ec. è pure piacevolissima, per l’idea indefinita in estensione,
che deriva da tal veduta. Così un cielo senza nuvolo. Nel qual proposito osservo
che il piacere della varietà e dell’incertezza prevale a quello dell’apparente infinità,
e dell’immensa uniformità. E quindi un cielo variamente sparso di nuvoletti, è
35    forse più piacevole di un cielo affatto puro; e la vista del cielo è forse meno piacevole
di quella della terra, e delle campagne ec. perché meno varia (ed anche meno
simile a noi, meno propria di noi, meno appartenente alle cose nostre ec.). Infatti,
ponetevi  supino in modo che voi non vediate se non il cielo, separato dalla terra,
voi proverete una sensazione molto meno piacevole che considerando una campagna,
40    o considerando il cielo nella sua corrispondenza e relazione colla terra, ed
unitamente ad essa in un medesimo punto di vista. È piacevolissima ancora, per le
sopraddette cagioni,8 la vista di una moltitudine innumerabile, come delle stelle,
o di persone ec. un moto moltiplice, incerto, confuso, irregolare, disordinato, un
ondeggiamento vago ec., che l’animo non possa determinare, né concepire definitamente
45    e distintamente ec., come quello di una folla, o di un gran numero di formiche
o del mare agitato ec. Similmente una moltitudine di suoni irregolarmente
mescolati, e non distinguibili l’uno dall’altro ec. ec. ec.
I ricordi della fanciullezza (25 ottobre 1821)
Per la copia9 e la vivezza ec. delle rimembranze sono piacevolissime e poeticissime
tutte le imagini che tengono del fanciullesco,10 e tutto ciò che ce le desta (parole,
50    frasi, poesie, pitture, imitazioni o realtà ec.). Nel che tengono il primo luogo gli
antichi poeti,11 e fra questi Omero. Siccome12 le impressioni, così le ricordanze
della fanciullezza in qualunque età, sono più vive che quelle di qualunque altra
età. E son piacevoli per la loro vivezza, anche le ricordanze d’immagini e di cose
che nella fanciullezza ci erano dolorose, o spaventose ec. E per la stessa ragione ci
55    è piacevole nella vita anche la ricordanza dolorosa, e quando bene la cagion13 del
dolore non sia passata, e quando pure la ricordanza lo cagioni o l’accresca, come
nella morte de’ nostri cari, il ricordarsi del passato ec.

La poeticità della rimembranza (14 dicembre 1828)
Un oggetto qualunque, per esempio un luogo, un sito, una campagna, per bella
che sia, se non desta alcuna rimembranza, non è poetica punto14 a vederla. La
60    medesima, ed anche un sito, un oggetto qualunque, affatto impoetico in sé, sarà
poetichissimo a rimembrarlo. La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento
poetico, non per altro, se non perché il presente, qual ch’egli sia, non può
esser poetico; e il poetico, in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel
lontano, nell’indefinito, nel vago.

 >> pagina 38 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Nel primo passo Leopardi spiega come si producano le idee indefinite (r. 2) capaci di dare piacere. Egli inizia con l’osservare come la luce del sole e quella della luna piacciano di più quando sono contrastate e incerte, quando se ne vede l’effetto ma non la fonte, che resta nascosta; elenca luoghi dove la luce si mescola con l’ombra, in bilico tra il dentro e il fuori (logge, portici, valli ecc.); collega il modo di diffondersi della luce agli “esiti materiali” che ne derivano, cioè alle percezioni che creano e che la poesia può riprodurre. Come vedremo, nei Canti Leopardi offre numerose applicazioni pratiche di tale teoria nei suoi componimenti, tutte le volte in cui il suo sguardo spazia sul cielo notturno o contempla l’orizzonte che sfuma in lontananza.

Leopardi si sofferma qui principalmente sugli effetti prodotti dalla vista, ma in altri passi dello Zibaldone parla anche di quelli determinati dall’udito: i suoni che si espandono o che si allontanano suggeriscono anch’essi una sensazione di indefinito o di infinito.

Oltre all’indefinito, infatti, anche l’infinito desta piacere: altrove nello Zibaldone il poeta stesso cita la sua poesia L’infinito ( T9, p. 68) a titolo di esempio. I due termini – indefinito e infinito – esprimono concetti contigui ma distinti: indefinito è ciò che non si vede distintamente, anche se vicino o di dimensioni limitate (come accade quando i contorni di un oggetto o di un paesaggio sono poco netti oppure svaniscono nel buio o nel ricordo); infinito è invece ciò che è creato dall’immaginazione e dal desiderio in quanto puro prodotto della mente: esso esprime uno slancio o una tensione illimitata verso un orizzonte ideale collocato in una estrema lontananza (spaziale o anche temporale) e che perciò si può solo sognare poiché sovrasta i limiti fisici della natura umana, caratterizzata da una insuperabile finitezza.

 >> pagina 39 

Nella ricerca di tutto ciò che esprime appieno la bellezza dell’arte, Leopardi si sofferma – nel secondo e nel terzo passo – su come agiscono le rimembranze e riconosce come molto poetiche quelle parole, frasi, poesie, pitture, imitazioni o realtà (rr. 49-50) che riportano ai ricordi della fanciullezza, quell’età che ci rende simili agli antichi, poiché i fanciulli, come i poeti di un tempo (non a caso è citato Omero), aderiscono pienamente ai sentimenti, non avendo ancora vissuto l’esperienza della disillusione, non avendo cioè ancora conosciuto l’«arido vero».

Se «tutto il vero è brutto», come è detto in un altro passo dello Zibaldone (1521-1522), il ricordo è sempre migliore, più bello di ciò che si è vissuto: tutto ciò che è sfuggente e non concretamente presente risulta affascinante. Paradossalmente, è piacevole anche ricordare ciò che ha causato dolore, poiché la memoria ci riporta al passato, ma rendendolo vago, indefinito, in una parola “poetico”, in quanto esso viene depurato degli aspetti negativi, ormai distanziati e così resi innocui. In tal modo «all’uomo sensibile e immaginoso… il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi» (Zibaldone 4418), ovvero hanno due facce: quella arida impoetica del vero e quella dell’immaginazione poetica, che aggiunge alla nuda realtà significati ulteriori, abbellendola e determinando piacere. Leo­pardi giunge così ad affermare che una cosa pure in sé bella (per esempio un luogo, un sito, una campagna, r. 58) non è affatto poetica se non viene filtrata dalla memoria: solo allora lo diventa, in quanto attraverso il ricordo essa sfuma nel lontano, nell’indefinito, nel vago (rr. 63-64): che sono – appunto – le caratteristiche della poesia.

Le scelte stilistiche

Spesso le pagine dello Zibaldone hanno l’andamento frammentario di appunti, abbozzi, note, pensieri incompleti fissati sulla carta in attesa di essere successivamente ripresi (significativo, in questo senso, è il ricorso agli ec.). Talvolta, tuttavia, esse contengono anche esempi e argomentazioni sviluppati più a fondo. Nei passi che abbiamo qui riportato (in particolare nel primo, più articolato) troviamo un ampio respiro argomentativo, caratterizzato dalla chiarezza delle tesi proposte e improntato a rigore di ragionamento. Le osservazioni via via si accumulano confermandosi a vicenda, anche a distanza di anni, come si vede nella conclusione del terzo passo (del 1828) che richiama il nucleo tematico fondamentale del primo (datato 1821).

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Nei testi sono presenti espressioni particolarmente dense di significato. Spiega le seguenti, cercando di esplicitarne tutti gli aspetti.

• È piacevolissima e sentimentalissima la stessa luce veduta nelle città (rr. 22-23).

• spaziare coll’immaginazione, riguardo a ciò che non si vede (r. 27).

• tutte le imagini che tengono del fanciullesco (r. 49).

• La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico (rr. 61-62).

Analizzare

2 Individua e sottolinea i verbi e i connettivi logici che segnano il procedere del ragionamento, completando la seguente tabella.


Verbi

Connettivi logici

mostra

per lo contrario

spiega

siccome

derivano

e per la stessa ragione

   
   
   
   
   
   


3 Analizza la sintassi dei brani, evidenziando le strutture scelte da Leopardi e spiegandone le ragioni espressive.

 >> pagina 40 

Interpretare

4 Il piacere della varietà e dell’incertezza prevale a quello dell’apparente infinità, e dell’immensa uniformità (rr. 33-34). In questa frase si condensa il significato dell’insieme dei passi proposti: spiegala e commentala.

sviluppare il lessico

5 Quali registri linguistici utilizza Leopardi? Di ciascun registro indica qualche parola o espressione che ritieni particolarmente significativa.


Registro linguistico

Parole o espressioni

   
   
   
   

scrivere per...

argomentARE

6 Leopardi sostiene che il poetico, in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago (rr. 63-64). Sei d’accordo? Rifletti sull’argomento con un testo argomentativo di circa 30 righe, portando a esempio poesie o canzoni che conosci.

T3

La felicità non esiste

Zibaldone, [165-167]

Secondo Leopardi, il desiderio del piacere è connaturato all’esistenza; tuttavia, essendo illimitato, è destinato a non trovare mai soddisfazione: prima o poi tutti i piaceri reali, anche se realizzati, finiscono per essere deludenti.

(12-23 luglio 1820)
Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci
l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse
proviene da una cagione1 semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima
umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente,
5      benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola
bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti,
perch’è ingenita o congenita2 coll’esistenza, e perciò non può aver fine in questo o
quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha
limiti 1. né per durata, 2. né per estensione. Quindi non ci può essere nessun piacere
10    che uguagli 1. né la sua durata, perché nessun piacere è eterno, 2. né la sua estensione,
perché nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta3 che tutto esista
limitatamente, e tutto abbia confini, e sia circoscritto. Il detto desiderio del piacere
non ha limiti per durata, perché, come ho detto, non finisce se non coll’esistenza,
e quindi l’uomo non esisterebbe se non provasse questo desiderio. Non ha limiti
15    per estensione perch’è sostanziale in noi, non come desiderio di uno o più piaceri,
ma come desiderio del piacere. Ora una tal natura porta con se materialmente
l’infinità, perché ogni piacere è circoscritto, ma non il piacere la cui estensione è indeterminata,
e l’anima amando4 sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l’estensione
immaginabile di questo sentimento, senza poterla neppur concepire, perché
20    non si può formare idea chiara di una cosa ch’ella desidera illimitata. Veniamo alle
conseguenze. Se tu desideri un cavallo, ti pare di desiderarlo come cavallo, e come
un tal piacere, ma in fatti5 lo desideri come piacere astratto e illimitato. Quando
giungi a possedere il cavallo, trovi un piacere necessariamente circoscritto, e senti
un vuoto nell’anima, perché quel desiderio che tu avevi effettivamente, non resta
25    pago.6 Se anche fosse possibile che restasse pago per estensione, non potrebbe per
durata, perché la natura delle cose porta ancora che niente sia eterno. E posto che
quella material cagione che ti ha dato un tal piacere una volta, ti resti sempre (per
esempio tu hai desiderato la ricchezza, l’hai ottenuta, e per sempre), resterebbe materialmente,
ma non più come cagione neppure di un tal piacere, perché questa è
30    un’altra proprietà delle cose, che tutto si  logori, e tutte le impressioni appoco a poco
svaniscano, e che l’assuefazione, come toglie il dolore, così spenga il piacere. […] E
perciò tutti i piaceri debbono esser misti di dispiacere, come proviamo, perché l’anima
nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di
35    piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato.

 >> pagina 41 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Dalla cultura illuministica e dai filosofi sensisti Leopardi ha ereditato la concezione della vita come ricerca della felicità, raggiungibile attraverso il piacere materiale, legato cioè alla percezione dei sensi. Purtroppo tale ricerca si rivela poi frustrata, irrisolta, negata: il piacere infatti rimane un’aspirazione, una chimera irraggiungibile e non diventa mai realtà. Quando sembra che esso sia realizzabile (come nel caso dell’agognato possesso di un cavallo, rr. 21-25), l’uomo va incontro presto all’assuefazione (r. 31) e alla delusione, poiché sperimenta il contrasto insuperabile tra l’infinità del desiderio e la finitezza del mondo.

Nell’aspirazione a una felicità infinita, che non si appaga della soddisfazione concreta e materiale ma anela a una tensione sconfinata, è possibile cogliere invece un’influenza del pensiero romantico. Quest’aspirazione, che non può essere né eliminata né gratificata, si tramuta così in frustrazione e in un vuoto nell’anima (r. 24), destinato a non essere colmato mai.

Le scelte stilistiche

Il brano presenta una forma argomentativa che evita inutili ornamenti retorici o abbellimenti letterari: del resto, al pari di tutte le altre note dello Zibaldone, anche questa non nasce per essere pubblicata, ma come spunto personale di riflessione. Nella logica del ragionamento filosofico rientra, oltre a una certa tendenza schematica (si veda il ricorso, per due volte, all’enumerazione, rr. 9-11), la presenza costante dei connettivi logici e sintattici (Quindi, Ora, Se anche, E perciò).

 >> pagina 42 

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Perché il desiderio di felicità dell’uomo non può essere mai del tutto soddisfatto?


Spiega il significato dell’esempio del cavallo.

Analizzare

Il ragionamento filosofico si avvale di un lessico e una sintassi appropriati per tale funzione espressiva: trova qualche esempio nel testo.

Interpretare

4 Nel testo prevalgono i termini astratti o quelli concreti? perché?

SVILUPPARE IL LESSICO

5 Nel passo che hai letto, numerosissimi termini afferiscono al campo semantico della misura e della misurazione: individuali e dividili per categorie grammaticali, poi indica quali di essi hanno una morfologia differente da quella odierna.

scrivere per...

RACCONTARE

6 Rileggi attentamente le righe 31-34. Il piacere di cui parla Leopardi sembrerebbe essere il motore anche della nostra moderna società dei consumi, una società “desiderante” in cui tutto va ricercato e ottenuto subito, e la sensazione di inappagamento va colmata con un nuovo desiderio da soddisfare, procedendo così di piacere effimero in piacere effimero. Alla luce della riflessione di Leopardi, basandoti sulle tue esperienze personali e sulle tue conoscenze, come giudichi tutto ciò? Rifletti in un testo argomentativo di circa 40 righe.

T4

Il giardino del dolore

Zibaldone, [4174-4175]

Il brano appartiene alla fase più acuta del “pessimismo cosmico” leopardiano: tutti gli esseri viventi, senza eccezioni, sono condannati al dolore e all’infelicità, condizione permanente che lega l’uomo a qualsiasi altro essere vivente.

(19 aprile 1826)
Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male;
ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine
dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo
non sono altro che male, né diretti ad altro che al male. Non v’è altro bene
5      che il non essere; non v’ha altro di buono che quel che non è; le cose che non son
cose: tutte le cose sono cattive. […]
Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di
necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali
soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl’individui, ma le specie, i generi,
10    i regni, i globi, i sistemi, i mondi.
Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente.1
Sia nella più mite stagione dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna
parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali
è in istato di souffrance,2 qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa3
15    dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga,4  langue, appassisce. Là quel giglio è
succhiato crudelmente da un’ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce
mele5 non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili
tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini.
Quell’albero è infestato da un formicaio, quell’altro da bruchi, da mosche, da lumache,
20    da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato6 dall’aria o dal sole che
penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco, o nelle radici; quell’altro ha più
foglie secche; quest’altro è roso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato
nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa
ombra; troppo umido, troppo secco. L’una patisce incomodo e trova ostacolo
25    e ingombro7 nel crescere, nello stendersi; l’altra non trova dove appoggiarsi, o
si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella
sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo
proprio peso; là un zeffiretto8 va stracciando un fiore, vola con un brano,9 un filamento,
una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata
30    via. Intanto tu strazi le erbe co’ tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il
sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta10 sensibile e gentile, va dolcemente
sterpando11 e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando
membra sensibili, colle unghie, col ferro.12

 >> pagina 43 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il brano è scritto nel 1826, in uno dei momenti più cupi della vita e della riflessione del poeta, quando il suo pessimismo ha assunto dimensioni “cosmiche” e la natura gli si è rivelata come un freddo sistema regolato da leggi meccaniche del tutto disinteressate al dolore degli esseri viventi.

Per dimostrare la vera realtà dell’esistenza umana (tutto ciò che esiste è male e l’unico bene è il non essere, rr. 1-5) e condensarla in un’immagine chiara ed esemplificativa, Leopardi ricorre alla descrizione di un giardino. Il tema sembra abusato: quello della natura come locus amoenus è infatti tra i più ricorrenti motivi letterari. Ma in questo caso l’autore ne rovescia del tutto il significato. Se a prima vista si manifesta come un «soggiorno di gioia», pieno di piante rigogliose e fiori bellissimi, il giardino, visto da dentro, rivela la sofferenza di ogni essere che lo popola. Come ha scritto il critico Walter Binni, il male insito nella condizione umana viene colto e rappresentato proprio nell’«immagine più tradizionalmente emblematica […] della vitalità lieta e rassicurante: quella di un giardino primaverile con tutte le sue presenze più idilliche e distensive, rievocate e capovolte in operazioni e condizioni di ferocia inconsapevole e di patimento totale».

Le scelte stilistiche

Una serie di frasi taglienti e lapidarie, brevi e categoriche inaugura il brano, riassumendo con efficace stringatezza i princìpi della visione del mondo leopardiana. Il ritmo è martellante: la parola male è ripetuta ben nove volte, a significare la sua assillante presenza nella vita umana. Successivamente, a fronte della drammaticità del discorso, Leo­pardi introduce una nota lirica, che tuttavia accentua il contrasto tra la bellezza delle immagini e l’esistenza cosmica del dolore. Il poeta ricorre all’enumerazione dei fiori e delle piante, per dimostrare la comune sorte dei vegetali in quel regno di sofferenza. Infine, un climax angosciante prova come tutti gli esseri siano sottoposti, impietosamente, alla violenza della vita (Intanto tu strazi le erbe co’ tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi, rr. 30-31).

 >> pagina 44 

Verso le COMPETENZE

Comprendere

Da quali dettagli si può cogliere la sofferenza del giardino?


In che cosa consiste la contraddizione della natura?

Analizzare

Nel testo l’aggettivazione svolge una funzione stilistica fondamentale: descrivila fornendo opportuni esempi.


Individua i nomi alterati e spiegane lo scopo espressivo.


Leopardi rappresenta le piante come esseri sensibili, capaci di provare sofferenza. Ricerca nel testo le espressioni con cui egli le descrive: che cosa noti nella scelta lessicale?

Interpretare

6 Molte parole ed espressioni vengono ripetute più volte: per quale motivo, secondo te?


Perché, a tuo giudizio, Leopardi ricorre al termine francese souffrance (r. 14) anziché al corrispondente italiano “sofferenza”?

scrivere per...

CONFRONTARE

Hai conosciuto altri giardini letterari, per esempio quello ariostesco di Alcina e quello tassiano di Armida. Confrontali con quello leopardiano, evidenziando analogie e differenze sul piano tematico e stilistico in un testo argomentativo di circa 40 righe.

Il magnifico viaggio - Giacomo Leopardi
Il magnifico viaggio - Giacomo Leopardi