2 - L’autobiografia di un uomo comune
Tale volontà di conoscere si accompagna al rifiuto di ogni ipotesi precostituita e di ogni approccio tradizionale. Svevo infatti respinge l’ottimismo e la fiducia nel progresso di stampo positivistico e non crede nella scienza come base oggettiva per comprendere il reale, che si presenta ai suoi occhi frammentario, ingannevole, depistante.
Per questa ragione, se la sua opera costituisce uno dei punti più alti di quella condizione antropologica e culturale primonovecentesca che chiamiamo “coscienza della crisi”, essa tuttavia non indica alcuna soluzione: per Svevo non esistono alternative concrete alla malattia, al disordine e alle contraddizioni della vita moderna.
L’indifferenza ideologica dell’autore gli impedisce di coltivare utopie: il socialismo, a cui pure in gioventù aveva guardato con simpatia, lo spaventa; il nazionalismo – che a Trieste, patria dell’irredentismo italiano, trova terreno fertile – è del tutto estraneo al suo temperamento; il fascismo, di cui farà in tempo a vedere gli albori, disturba con il suo sfoggio di saluti romani e retoriche parole d’ordine la sua indole di moderato liberale, ma non incrina la sua silenziosa acquiescenza.
Immune da ogni inclinazione politica, Svevo è piuttosto uno scettico che fa fatica a nascondere la propria misantropia e la cronica difficoltà a entrare in comunicazione con il prossimo. Il compito che si assegna è esclusivamente quello di rappresentare il disfacimento di un sistema a cui pure appartiene e di cui accetta, senza velleità titaniche o proteste romantiche, assurdità e mancanze, riconoscendo però a sé stesso la capacità di guardarlo senza infingimenti, con la consapevolezza che il male di vivere è una condizione che tocca l’intera umanità. Non a caso l’esistenza è per l’autore «una malattia che, a differenza delle altre, non sopporta cure: è sempre mortale».
Perché combattere dunque? In nome di quali princìpi lottare contro la società se tutti gli ideali sembrano ormai irrigiditi, inservibili, sterili? Svevo archivia il conflitto tra l’individuo e la società; al suo posto presenta il dualismo tra vita e coscienza, da cui nascono a cascata tutti gli altri contrasti: tra forma e sostanza, tra ipocrisia e verità, tra onestà e malafede.
Ciò spiega perché il suo universo di uomini e ambienti sia, in fondo, piuttosto uniforme: popolani, sottoproletari (si pensi all’Angiolina di Senilità) e borghesi soffrono della stessa crisi che corrompe ogni aspetto della società, senza alcuna differenza di classe. E su questi individui, così come sulle vicende di cui sono protagonisti, l’autore non intende pronunciare alcun giudizio: a lui interessa esprimere l’ambiguità dei personaggi, facendone affiorare le ipocrisie e le menzogne.
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento