Italo Svevo
I GRANDI TEMI
La scrittura è chiamata dunque a svolgere un’azione chiarificatrice: l’esistenza può essere svelata solo se fissata sulla pagina scritta, tanto più se ad adempiere questo scopo vi è un intellettuale “inetto”, estraneo ai trucchi e alle finzioni dei letterati di mestiere e sensibile alle assurdità e alle incoerenze della vita.
Come una forma di terapia, la penna, fuori della quale «non c’è salvezza», diviene così uno strumento di igiene interiore e di conoscenza di sé. Se la vita degli uomini sarà «letteraturizzata» (come scrive lo stesso Svevo), ciascuno potrà capire meglio sé stesso: il presente infatti non è conoscibile, perché manchiamo della distanza necessaria per scorgerne i dettagli, interpretarne le situazioni, intuirne la logica e le relazioni. Per questo a chi vuole comprendere non resta che fissare sulla carta ciò che è già accaduto: così potrà spiegare il «passato che ancora non svanì».
Non appare quindi casuale che tutti i personaggi sveviani siano scrittori: Alfonso Nitti scrive poesie, oltre alle lettere private e alla corrispondenza commerciale; Emilio Brentani è autore di romanzi, non solo di polizze d’assicurazione; Zeno Cosini, il protagonista del romanzo La coscienza di Zeno, scrive la propria autobiografia su indicazione dello psicanalista, tra una nota contabile e l’altra.
Si potrebbe pensare che quest’attività determini una condizione di superiorità, se non sociale, almeno culturale e intellettuale. Ma non è così, anzi, per Svevo è esattamente il contrario: la scrittura è posta sempre in relazione con uno stato di inferiorità, di disorientamento, di impotenza. Chi scrive lo fa perché è malato, ma almeno ha il vantaggio di essere cosciente della propria situazione.
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento