3 - Le influenze culturali
La “scoperta” della grandezza di Svevo, avvenuta in Francia, difficilmente avrebbe potuto verificarsi in Italia. Inserire la sua opera entro gli schemi della nostra tradizione letteraria, nonché apprezzare i temi e le forme del suo impegno creativo non era semplice per i lettori italiani a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Come abbiamo osservato, lo scrittore triestino rappresenta, sia culturalmente sia antropologicamente, una figura di intellettuale piuttosto sui generis: privo di una formazione umanistica, non proviene da un ambiente votato alla pratica letteraria (al contrario, questa viene svilita come un’attività ininfluente e improduttiva), si forma da autodidatta, scegliendo di leggere opere e autori che suscitano il suo interesse personale, svolge una professione che non ha nulla a che vedere con l’arte e scrive di nascosto, come per compensare in segreto e privatamente il grigiore e il conformismo del contesto familiare e professionale di cui fa parte.
I dati costitutivi dell’esperienza intellettuale sveviana sembrano essere dunque la marginalità, l’estraneità e la contraddizione: marginalità rispetto agli ambienti culturali italiani; estraneità alla formazione tipica del letterato, in particolare di quello italiano; contraddizione per il combinarsi in lui di aspetti, tendenze e correnti di pensiero diversi e talvolta persino opposti tra loro. Si può dire, considerando i dati biografici e culturali, che Svevo rappresenta un caso eccezionale di scrittore di confine: tra Ottocento e Novecento (i secoli a cavallo dei quali vive), tra Italia e Impero austro-ungarico, tra dialetto triestino, lingua tedesca e lingua italiana, tra ebraismo e laicità, tra letteratura e dilettantismo, tra filosofia e arte, tra autobiografia e finzione letteraria. È una condizione, questa, che lo pseudonimo scelto dall’autore sintetizza efficacemente: Italo perché irredentista, sia pure moderato, e perché scrive in italiano; Svevo, cioè tedesco, per cultura, filosofia e mentalità.
La realtà storica, sociale e politica di Trieste determina a sua volta un intreccio di incontri, conoscenze e sollecitazioni provenienti da ambiti e culture differenti, con cui Svevo entra in contatto e da cui trae ispirazione per elaborare una riflessione originale sulla condizione esistenziale dell’uomo.
La lettura di Arthur Schopenhauer (1788-1860) si coglie soprattutto nei primi due romanzi. Il filosofo tedesco affermava che non sono gli uomini a volere, ma una Volontà superiore, cieca e irrazionale, che agisce sui bisogni, sugli impulsi e sui motivi che spingono all’azione, la quale pertanto non è mai libera. Ci sono uomini che seguono questa volontà e si gettano nella lotta per la vita (i «lottatori») e altri che restano ai margini, privilegiando l’attività di riflessione (i «contemplatori»).
Svevo riprende questa visione filosofica dividendo l’umanità in due schiere: da una parte ci sono i «sani», coloro che godono dei doni della vita e sono integrati nell’ordine naturale e sociale; dall’altra si trovano i «malati», gli “inetti” che si sottraggono alla vita e sono infelici, deboli e rinunciatari e per questo destinati all’insuccesso. Questi ultimi appaiono goffi e ridicoli anche nei rapporti interpersonali, mentre i lottatori risultano brillanti nella vita sociale, ma per puro istinto, senza l’apporto della ragione o di particolari doti intellettuali.
A differenza che nel filosofo, però, in Svevo manca qualsiasi spirito eroico: il suicidio di Alfonso, in Una vita, non solo contraddice la tenace resistenza morale predicata da Schopenhauer, ma riafferma la debolezza umana.
A incidere maggiormente sulla sua visione dell’esistenza è però la conoscenza della psicanalisi. Le teorie di Sigmund Freud (▶ p. 673), apprese nel 1908 e approfondite a partire dal 1911, si riverberano nel romanzo La coscienza di Zeno, ma l’indagine dell’interiorità è un tratto che caratterizza anche la fase precedente della produzione sveviana. Il medico viennese fornisce all’autore una serie di tecniche utili per rivelare le ambiguità e le tortuosità della psiche umana, per studiare l’inconscio ed esplorare in profondità i processi mentali attraverso i quali ogni persona maschera, mistifica e giustifica i propri comportamenti.
La psicanalisi costituisce dunque uno straordinario strumento di conoscenza per scandagliare le stratificazioni della coscienza e le ingannevoli costruzioni della memoria, ma ciò non significa che essa si riveli un valido sistema terapeutico. In fondo, Svevo è convinto che Freud e i suoi metodi curino i “malati” sbagliati: coloro che sanno di esserlo, ma non coloro che pensano di essere sani ma non lo sono, ottusi e normalizzati senza nemmeno rendersene conto.

Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento