Giosuè Carducci

I GRANDI TEMI

1 L’impegno civile

Il percorso intellettuale compiuto da Carducci rappresenta un documento assai importante per cogliere non solo l’evoluzione del suo pensiero, ma la mentalità e gli orientamenti del periodo storico in cui egli vive. Come ha scritto un autorevole critico, Luigi Baldacci, «forse non potremo dire di aver capito veramente che cosa sia stato l’Ottocento finché non avremo capito Carducci». La sua parabola esistenziale e ideologica offre infatti la possibilità di indagare lo sviluppo e le contraddizioni del primo periodo postunitario, poiché la tensione politica e morale che si avverte nei suoi versi è condivisa da una parte cospicua della sua generazione, quella che aveva combattuto durante il Risorgimento credendo negli ideali repubblicani e garibaldini.

Il giovane Carducci muove da convinzioni radicali e polemiche: disgustato dalla politica della Destra storica, che giudica debole nei confronti della Chiesa e incapace di rivendicare il possesso di Roma, il poeta, già all’indomani della proclamazione dell’Unità, si distingue per gli attacchi al ceto dirigente italiano e per un anticlericalismo di ascendenza giacobina, in cui si mescolano motivazioni religiose e politiche, legate all’irrisolta “questione romana”.

Di questa ansia ribelle è testimonianza l’Inno a Satana, composto nel 1863: in questo componimento Carducci identifica provocatoriamente Satana con il progresso che abbatte l’oscurantismo clericale e annuncia, per mezzo del simbolo positivista della locomotiva – «bello e orribile / mostro» di ferro e di fuoco –, l’imminente avvenire consacrato alla libertà di pensiero. Si tratta di un testo dallo scarso valore poetico e lo stesso autore lo definirà in seguito una «volgare chitarronata».

Tuttavia, l’esaltazione del progresso e la ribellione a ogni dogmatismo o dispotismo che limiti l’arbitrio individuale hanno un valore documentario innegabile, in una fase storica dominata da un montante spirito reazionario, come dimostra nel 1864 la pubblicazione del Sillabo di Pio IX, il documento in cui viene condannata la civiltà moderna.

Quelle del giovane Carducci non sono posizioni isolate; al contrario, in anni di grande fervore politico, al clericalismo benpensante si oppongono molti intellettuali laici e democratici, spesso votati come il battagliero poeta maremmano a celebrare i miti libertari della Rivoluzione, in contrasto con la realtà politica del paese, giudicata corrotta e mediocre.

Nell’opera di Carducci tali contrasti sono visibili soprattutto nelle raccolte Levia gravia e Giambi ed epodi, in cui il poeta esprime l’amarezza per il tradimento di quei valori, attinti dalla grande epopea della Rivoluzione francese, a cui vorrebbe si ispirasse la politica del nuovo Regno.

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Negli anni della maturità, le posizioni di Carducci cambiano sensibilmente. Egli continua a concepire la letteratura come uno strumento politico ed etico, capace di comunicare nobili ideali alla collettività nazionale. In quanto poeta, ritenendosi superiore al volgo per gusto e cultura, ribadisce il proprio dovere di guida morale e civile e di custode di valori assoluti.

Tuttavia, in virtù di questo ruolo, Carducci si convince che la polemica spregiudicata e lo spirito di opposizione non siano più utili a un paese ancora debole e diviso qual è l’Italia di fine Ottocento. La sua visione della politica nazionale si può riassumere così: è necessario accantonare astiosità e invettive e porsi al di sopra delle parti e delle diverse fazioni per il bene dell’Italia; dopo la breccia di Porta Pia (1870), annessa Roma al Regno d’Italia, è finalmente possibile riconciliarsi con il papa e soprattutto con la monarchia, l’unica istituzione in grado di costituire un elemento di stabilità per il paese. In tal modo, Carducci finisce per diventare il cantore ufficiale della nazione, il vate dell’Italia contemporanea, nell’auspicio che questa possa rinnovare le glorie dell’età romana e del Medioevo comunale.

Il suo patriottismo prende via via le tinte del nazionalismo, tanto che il sostegno alla politica autoritaria e coloniale di Crispi diviene quasi naturale. Anche il suo leggendario anticristianesimo, pur se mai sconfessato da una conversione pubblica, si annacqua di fronte alle necessità politiche. Così, il poeta scrive nel 1878 (in una poesia significativamente intitolata Canto dell’amore) «Oggi co ’l papa mi concilierei», invitando il prima detestato Pio IX (al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti) a bere insieme a lui un bicchiere alla salute della libertà («Vieni: a la libertà brindisi io faccio: / cittadino Mastai, bevi un bicchier!»).

Pur rimanendo laico fino al termine dei suoi giorni, per questa svolta Carducci viene accusato di aver tradito gli ideali della repubblica e di aver rinnegato la battaglia per la giustizia sociale. Alcuni letterati, che avevano visto in lui la bandiera della democrazia, non abbandoneranno invece la poesia di impegno civile, ancora animati dall’antico spirito rivoluzionario. Uno tra questi, lo scapigliato Ferdinando Fontana (1850-1919), risponderà all’invito all’amore indirizzandogli un messaggio poetico di tutt’altro tenore dal titolo emblematico: Canto dell’odio.

Il magnifico viaggio - volume 5
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento