2 - Il classicismo malinconico

2 Il classicismo malinconico

Sulla fruizione odierna dell’opera letteraria di Carducci grava – per paradosso – il giudizio del critico a cui pure si deve la sua fortuna per una buona parte del Novecento: Benedetto Croce. Oltre alla passione etica e civile, Croce esaltava nel temperamento poetico di Carducci l’«integra umanità» e il rifiuto dei sentimenti cantati dai poeti decadenti, intrisi di ossessioni e voluttà. Nel poeta maremmano era possibile, secondo il critico, individuare gli antidoti alla «vaga fantasticheria» e alla morbosa ansia di trascendenza o di misticismo della poesia romantica: la sua tempra psicologica, robusta e immune da sterili abbandoni lacrimosi, doveva essere offerta alle giovani generazioni come un esempio carico di messaggi nobili e positivi.
Non c’è dubbio che Carducci rifiuti in linea teorica i motivi e le espressioni del nascente Decadentismo, a cui oppone la fedeltà ai dettami del classicismo, assunti sia sul piano dello stile (sempre di straordinaria perfezione formale; attento allo scrupoloso rispetto delle regole, delle tecniche e degli imprescindibili modelli proposti dalla tradizione letteraria; contrario alla soluzione della lingua manzoniana, giudicata bassa e plebea), sia su quello dei contenuti e, per così dire, dell’atteggiamento. Assumere il ruolo di «scudiero dei classici», come egli stesso ha voluto definirsi, non significa per lui limitarsi a una scolastica imitazione dei grandi autori del passato, né tanto meno scorgere in essi lo strumento di un’umanistica evasione dalla realtà: l’antico non è per Carducci «archeologia, ma energia vitale e spirituale che periodicamente rinasce, e grazie alla voce dell’arte rianima il corso della civiltà» (Finotti).
Lungi dall’essere un’operazione esclusivamente formale, il classicismo carducciano costituisce una strategia programmatica e ideologica, un’arma contro le forme più “sentimentali” del tardo Romanticismo e una vibrante aspirazione alla dignità, alla misura e al decoro. Egli individua nell’antichità greco-romana un’epoca di solidi valori morali, politici ed estetici, rimpianti con sconsolata nostalgia, in contrasto con la debolezza interiore e la vaga religiosità deprecate nello spirito romantico.
Tuttavia, proprio la consapevolezza della distanza di quel modello e dell’impossibilità di trapiantarlo in un mondo contemporaneo corrotto e privo di nobili ideali genera in Carducci e nella sua poesia un sentimento di malinconica inquietudine, uno stato d’animo improntato a tristezza, che potremmo definire (suo malgrado) decadente, una dolorosa meditazione sulla morte, resa in molti versi (specie quelli raccolti in Rime nuove) con toni e colori cupi che contrastano con la luminosa solarità delle sue più tipiche immagini poetiche.
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Proprio questa ambivalenza rappresenta, specie negli anni della maturità, una componente assai importante e moderna – messa in rilievo solo negli ultimi decenni dalla critica, per molto tempo appiattita sullo stereotipo crociano – della produzione di Carducci, che non rinuncia a far convivere la sua ispirazione civile con una precoce percezione della crisi epocale della Storia e della stessa poesia.

Da tale sensibilità, filtrata da suggestioni acutissime e da un turbamento quasi decadente, nascono le tipiche contrapposizioni presenti in molti suoi versi: tra la vita e la morte, tra la luce e il buio, tra il passato e il presente, tra una lucente e spesso ostentata compostezza e il freddo sgomento che lo attanaglia, non molto diverso dallo spleen di Baudelaire.

3 Il paesaggio e la memoria

L’immagine pubblica di Carducci – il “poeta professore”, l’interprete dei valori nazionali, l’autore di versi storico-celebrativi – convive con quella, più privata, desiderosa di esprimere tematiche intime e personali. In effetti, la componente autobiografica è centrale in buona parte della sua produzione, che oscilla tra immagini contrapposte dell’esistenza, in una continua alternanza di sentimenti: ora gioiosi e vitali, ora lugubri e angosciosi.

Fondamentali nel suscitare una tanto accentuata vocazione all’emotività sono soprattutto il rapporto con il passato, la nostalgia della giovinezza, il vagheggiamento malinconico del paesaggio maremmano. Sull’elemento paesistico, in particolare, il poeta indugia volentieri, rappresentando la natura in forme di grande ed efficace concretezza raffigurativa, piuttosto inusuale nella tradizione lirica italiana, spesso caratterizzata dalla stilizzazione tipica delle descrizioni petrarchesche.

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La natura viene vista da Carducci come un regno dell’armonia e dell’equilibrio, non toccato dalla corruzione e dalla malattia imperanti nella città moderna. Non a caso essa è osservata sempre a distanza temporale, proiettata in un passato che esiste solo nel ricordo, in un’adolescenza sana e vitale non ancora insidiata dal «malor civile» (Idillio maremmano) del presente. La felicità selvaggia, di cui è specchio la natura solare ed esuberante della Maremma toscana frequentata in gioventù, può rivivere solo come una dolce e felice memoria che invita il poeta (come fanno i cipressi di Davanti San Guido,  T6, p. 79) a riassaporare l’incanto di un tempo e a placare nelle gioie del sogno le «eterne risse» della quotidianità cittadina.
Tuttavia questo allettamento della natura alimenta in Carducci il paragone con la dura coscienza della realtà, cosicché l’immagine dei luoghi dell’infanzia si traduce nel doloroso confronto con ciò che è stata, veramente, la sua vita: di qui lo smarrimento per le speranze cadute, per la vecchiaia che avanza, per la tristezza che avviluppa ora la sua esistenza. In tal modo il paesaggio, luogo congeniale alla sua fanciullezza impetuosa e ribelle, mito sentimentale e fantastico della sua ispirazione poetica, finisce per rivelarsi un’illusione o uno scherzo dell’immaginazione, a poco a poco vanificato dalla realtà del presente e da un pessimismo crescente.
L’ambientazione non si risolve perciò in Carducci nella sola descrizione realistica o nel semplice dato estetico, ma allude sempre a una condizione dell’anima e a una rassegnata riflessione sulla Storia: le immagini ricorrenti dell’inverno e del tramonto trasmettono il senso cupo di un destino incombente e di una nuova e declinante stagione della vita, della poesia e della civiltà tutta. E allora ecco che la stessa natura in molte poesie carducciane (quali, per esempio, Nevicata o Presso una Certosa, rispettivamente nelle Odi barbare e nelle Rime e ritmi) si anima di simboli funerei e di malinconici silenzi, preannuncio commosso del nulla che incombe. Al paesaggio, in questi casi per lo più oscuro, nebbioso e autunnale, viene affidato il compito di incarnare lo stato d’animo del poeta, che sente avvicinarsi l’impietosa e ineluttabile legge della morte.

Il magnifico viaggio - volume 5
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento