Insieme alla Divina Commedia, il capolavoro più parodiato dell’intera letteratura italiana è senz’altro I promessi sposi. Destino inevitabile per un romanzo tanto studiato a scuola, e che a sua volta prende avvio da una sorta di parodia, ovvero dalla finzione del manoscritto secentesco ritrovato e riscritto.
Il primo rifacimento farsesco significativo risale all’ultimo Ottocento, quando l’autore scapigliato Cletto Arrighi (1828-1906) pubblica Gli sposi non promessi, dove dà alla storia un taglio fortemente anticlericale. Accanto a don Abbondio, alias don Mansueto, appassionato di vino, caccia e donne, troviamo un Renzo terribilmente rozzo e una Lucia piuttosto disinibita.
Ricette simili compaiono nelle migliori parodie del Novecento. Per esempio, in quella firmata da Guido Da Verona (1881-1939) nel 1930 e subito messa al bando dal regime fascista (che non gradiva simili dissacrazioni), Lucia è un «bel tocco» di brianzola che fuma, parla francese, sogna una carriera nel mondo dello spettacolo e si lascia volentieri scarrozzare in automobile da don Rodrigo.
L’eros è una componente essenziale anche nei Promessi sposi di Piero Chiara (1913-1986), sceneggiatura scritta intorno al 1970 per un film che non verrà mai girato. In questo caso l’unico a non godere delle generose grazie di Lucia è il povero Renzo, che si riduce a farle da cocchiere.
Riportiamo qui di seguito un brano dal rifacimento parodico di Guido Da Verona, in cui si può apprezzare anche l’imitazione stilistica (ovviamente in chiave comica) del romanzo originale. Rapita dall’Innominato, Lucia si dispera al pensiero di dover tornare dal suo insulso fidanzato...