T15 - L’angosciosa notte dell’Innominato

T15

L’angosciosa notte dell’Innominato

I promessi sposi, cap. 21

Lucia, rapita dal monastero di Monza, è condotta prigioniera nel castello dell’Innominato, il potente bandito al quale don Rodrigo si è rivolto. Rinchiusa in una cella con una vecchia incaricata di confortarla, all’improvviso riceve la visita del temuto signore, incuriosito dalle parole di un suo sgherro, il Nibbio, che gli ha confessato di aver provato compassione per la giovane sequestrata. Lucia dimostra fermezza e pudore con l’Innominato, che da qualche tempo ha cominciato a sentire dentro di sé il disagio per le proprie azioni scellerate, disagio che aumenta quando lei lo supplica di liberarla, ricordandogli che «Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia». Inizia così per l’Innominato una notte di tormenti, dalla quale uscirà radicalmente trasformato.

Partito, o quasi scappato da Lucia, dato l’ordine per la cena di lei, fatta una consueta
visita a certi posti del castello,1 sempre con quell’immagine viva nella mente,
e con quelle parole risonanti all’orecchio, il signore s’era andato a cacciare in
camera, s’era chiuso dentro in fretta e in furia, come se avesse avuto a trincerarsi
5      contro una squadra di nemici; e spogliatosi, pure in furia, era andato a letto. Ma
quell’immagine, più che mai presente, parve che in quel momento gli dicesse: tu
non dormirai. «Che sciocca curiosità da donnicciola», pensava, «m’è venuta di vederla?
Ha ragione quel bestione del Nibbio;2 uno non è più uomo; è vero, non è
più uomo!… Io?… io non son più uomo, io? Cos’è stato? Che diavolo m’è venuto
10    addosso? Che c’è di nuovo? Non lo sapevo io prima d’ora, che le donne strillano?
Strillano anche gli uomini alle volte, quando non si possono rivoltare. Che diavolo!
non ho mai sentito belar donne?».
E qui, senza che s’affaticasse molto a rintracciare nella memoria, la memoria da
sé gli rappresentò più d’un caso in cui né preghi né lamenti non l’avevano punto
15    smosso dal compire le sue risoluzioni.3 Ma la rimembranza di tali imprese, non
che gli ridonasse la fermezza, che già gli mancava, di compir questa; non che spegnesse
nell’animo quella molesta pietà;4 vi destava in vece una specie di terrore,
una non so qual rabbia di pentimento. Di maniera che gli parve un sollievo il
tornare a quella prima immagine di Lucia, contro la quale aveva cercato di rinfrancare
20    il suo coraggio. «È viva costei», pensava, «è qui; sono a tempo; le posso dire:
andate, rallegratevi; posso veder quel viso cambiarsi,5 le posso anche dire: perdonatemi…
Perdonatemi? Io domandar perdono? A una donna? Io…! Ah, eppure!
Se una parola, una parola tale mi potesse far bene, levarmi d’addosso un po’ di
questa diavoleria,6 la direi; eh! Sento che la direi. A che cosa son ridotto! Non son
25    più uomo, non son più uomo!… Via!», disse, poi, rivoltandosi arrabbiatamente
nel letto divenuto duro duro, sotto le coperte divenute pesanti pesanti: «Via! Sono
sciocchezze che mi son passate per la testa altre volte. Passerà anche questa».
E per farla passare, andò cercando col pensiero qualche cosa importante, qualcheduna
di quelle che solevano occuparlo fortemente, onde applicarvelo tutto;
30    ma non ne trovò nessuna. Tutto gli appariva cambiato: ciò che altre volte stimolava
più fortemente i suoi desidèri, ora non aveva più nulla di desiderabile: la passione, come un cavallo divenuto tutt’a un tratto restìo per un’ombra, non voleva
più andare avanti. Pensando all’imprese avviate e non finite, in vece d’animarsi
al compimento,7 in vece d’irritarsi degli ostacoli (ché l’ira in quel momento gli
35    sarebbe parsa soave), sentiva una tristezza, quasi uno spavento de’ passi già fatti.
Il tempo gli s’affacciò davanti voto8 d’ogni intento, d’ogni occupazione, d’ogni
volere, pieno soltanto di memorie intollerabili; tutte l’ore somiglianti a quella che
gli passava così lenta, così pesante sul capo. Si schierava9 nella fantasia tutti i suoi
▶ malandrini, e non trovava da comandare a nessuno di loro una cosa che gl’importasse;
40    anzi l’idea di rivederli, di trovarsi tra loro, era un nuovo peso, un’idea di
schifo e d’impiccio. E se volle trovare un’occupazione per l’indomani, un’opera
fattibile, dovette pensare che all’indomani poteva lasciare in libertà quella 
poverina.
«La libererò, sì; appena spunta il giorno, correrò da lei, e le dirò: andate, andate.
45    La farò accompagnare… E la promessa? E l’impegno? E don Rodrigo?… Chi è
don Rodrigo?».
A guisa di10 chi è colto da una interrogazione inaspettata e imbarazzante d’un
superiore, l’innominato pensò subito a rispondere a questa che s’era fatta lui stesso,
o piuttosto quel nuovo lui, che cresciuto terribilmente a un tratto, sorgeva
50    come a giudicare l’antico. Andava dunque cercando le ragioni per cui, prima quasi
d’esser pregato, s’era potuto risolvere a prender l’impegno di far tanto patire,
senz’odio, senza timore, un’infelice sconosciuta, per servire colui;11 ma, non che
riuscisse12 a trovar ragioni che in quel momento gli paressero buone a scusare il
fatto, non sapeva quasi spiegare a se stesso come ci si fosse indotto. Quel volere,
55    piuttosto che una deliberazione, era stato un movimento istantaneo dell’animo
ubbidiente a sentimenti antichi, abituali, una conseguenza di mille fatti antecedenti;
e il tormentato esaminator di se stesso, per rendersi ragione d’un sol fatto,
si trovò ingolfato13 nell’esame di tutta la sua vita. Indietro, indietro, d’anno in
anno, d’impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza:
60    ognuna ricompariva all’animo consapevole e nuovo, separata da’ sentimenti
che l’avevan fatta volere e commettere; ricompariva con una mostruosità che que’
sentimenti non avevano allora lasciato scorgere in essa. Eran tutte sue, eran lui:14
l’orrore di questo pensiero, rinascente a ognuna di quell’immagini, attaccato a
tutte, crebbe fino alla disperazione. S’alzò in furia a sedere, gettò in furia le mani
65    alla parete accanto al letto, afferrò una pistola, la staccò, e… al momento di finire
una vita divenuta insopportabile, il suo pensiero sorpreso da un terrore, da un’inquietudine,
per dir così, superstite, si slanciò nel tempo che pure continuerebbe a
scorrere dopo la sua fine. S’immaginava con raccapriccio il suo cadavere sformato,
immobile, in balìa del più vile sopravvissuto; la sorpresa, la confusione nel castello,
70    il giorno dopo: ogni cosa sottosopra; lui, senza forza, senza voce, buttato chi sa
dove. Immaginava i discorsi che se ne sarebber fatti lì, d’intorno, lontano; la gioia
de’ suoi nemici. Anche le tenebre, anche il silenzio, gli facevan veder nella morte
qualcosa di più tristo, di spaventevole; gli pareva che non avrebbe esitato, se fosse
stato di giorno, all’aperto, in faccia alla gente: buttarsi in un fiume e sparire. E
75    assorto in queste contemplazioni15 tormentose, andava alzando e riabbassando,
con una forza convulsiva del pollice, il cane16 della pistola; quando gli balenò in
mente un altro pensiero. «Se quell’altra vita di cui m’hanno parlato quand’ero
ragazzo, di cui parlano sempre, come se fosse cosa sicura; se quella vita non c’è, se
è un’invenzione de’ preti; che fo io?17 Perché morire? Cos’importa quello che ho
80    fatto? Cos’importa? È una pazzia la mia… E se c’è quest’altra vita…!».
A un tal dubbio, a un tal rischio, gli venne addosso una disperazione più nera,
più grave, dalla quale non si poteva fuggire, neppur con la morte. Lasciò cader
l’arme, e stava con le mani ne’ capelli, battendo i denti, tremando. Tutt’a un tratto,
gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite, poche ore prima:
85    «Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!». E non gli tornavan già
con quell’accento d’umile preghiera, con cui erano state proferite; ma con un suono
pieno d’autorità, e che insieme induceva una lontana speranza. Fu quello un
momento di sollievo: levò le mani dalle tempie, e, in un’attitudine più composta,
fissò gli occhi della mente18 in colei da cui aveva sentite quelle parole; e la vedeva,
90    non come la sua prigioniera, non come una supplichevole, ma in atto di chi
dispensa grazie e consolazioni. Aspettava ansiosamente il giorno, per correre a liberarla,
a sentire dalla bocca di lei altre parole di refrigerio e di vita; s’immaginava
di condurla lui stesso alla madre. «E poi? Che farò domani, il resto della giornata?
Che farò doman l’altro? Che farò dopo doman l’altro? E la notte? La notte, che
95    tornerà tra dodici ore! Oh la notte! No, no, la notte!». E ricaduto nel voto19 penoso
dell’avvenire, cercava indarno20 un impiego del tempo, una maniera di passare
i giorni, le notti. Ora si proponeva d’abbandonare il castello, e d’andarsene in
paesi lontani, dove nessun lo conoscesse, neppur di nome; ma sentiva che lui, lui
sarebbe sempre con sé: ora gli rinasceva una fosca speranza di ripigliar l’animo
100  antico, le antiche voglie; e che quello fosse come un delirio passeggiero; ora temeva
il giorno, che doveva farlo vedere a’ suoi21 così miserabilmente mutato; ora lo
sospirava,22 come se dovesse portar la luce anche ne’ suoi pensieri.

 >> pagina 360 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Nelle pagine precedenti a quelle riportate si è consumato un momento cruciale della vicenda: il drammatico faccia a faccia tra Lucia, prigioniera dell’Innominato, e il suo rapitore. È una situazione tipica nei romanzi settecenteschi, destinata quasi sempre a evolvere verso terribili scoppi di violenza o momenti di commozione patetica. Manzoni sceglie una strada diversa, al termine della quale la donna oppressa trionfa sull’oppressore, con la sola forza delle parole. Del resto, nella circostanza si instaurano numerose analogie fra i due personaggi: entrambi sono sconvolti dalla sofferenza, che li divora al punto che restano digiuni e passano lunghe ore di tormento, l’una nella cella, l’altro nella propria stanza. Il parallelismo è sottolineato dal narratore, che osserva come – nel momento in cui Lucia, pronunciato il voto di castità, scivola in un «sonno perfetto e continuo», fiduciosa nell’aiuto di Dio – l’Innominato senta un allegro scampanare, che annunzia la visita in paese del cardinale Borromeo. Qualche ora più tardi, ammesso al suo cospetto, scoppierà in un pianto dirotto, che ne suggellerà l’avvenuta conversione.

Le parole di Lucia fanno emergere un disagio già presente nell’Innominato, che da tempo prova una certa insofferenza al ricordo delle sue pessime azioni. Toccato il culmine della potenza, egli ha sentito sprigionarsi in sé un’inquietudine che gli fa apparire insensato il percorso compiuto. Ciò che un tempo lo eccitava, ora lo lascia indifferente, e di lì a poco gli susciterà orrore. Incontentabile, deluso dalla vita, ansioso di trovare una diversa dimensione nella sua esistenza, l’Innominato è la figura dei Promessi sposi più vicina al profilo dell’eroe romantico. Ora il passato prende ai suoi occhi nuove tinte: si sorprende (Non son più uomo!, rr. 24-25) nell’accorgersi di come il suo disprezzo verso la femminilità si tramuti in rispetto dinanzi alla malcapitata Lucia, che diviene una messaggera della retta via. È Lucia, infatti, a pronunciare la frase di speranza che lo ossessiona e determina la svolta del suo modo di sentire: «Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!». All’inverso, egli non sa capacitarsi di come abbia potuto dare la sua parola a un personaggio disprezzabile come don Rodrigo.

Il percorso verso il bene non è tuttavia piano e rettilineo. Nell’ennesima notte drammatica del romanzo (dopo la “notte degli imbrogli”, con il tentato matrimonio e la fuga al chiaro di luna di Renzo verso l’Adda) l’Innominato conosce momenti di disperazione. A tratti si riaffaccia in lui la fosca speranza di ripigliar l’animo antico (rr. 99-100); la tentazione di rivolgere verso sé stesso la remota consuetudine con la violenza, di uccidersi cioè con un colpo di pistola, è sventata dall’orgoglio, che trabocca al pensiero del proprio cadavere umiliato, e della gioia che i nemici avrebbero provato alla notizia della sua morte. A ciò si aggiunge il timore del castigo eterno, che in precedenza non l’aveva mai sfiorato. Si scatena così quella «bufera» divina che Manzoni aveva invocato nella Pentecoste, perché inducesse nell’animo dei violenti uno «sgomento» tale da insegnare loro «la pietà».

Le scelte stilistiche

L’esame di coscienza dell’Innominato ricorda da vicino i lunghi “a solo” del teatro shake­speariano, che Manzoni aveva ben presenti. Possiamo pensare per esempio al monologo angosciato di Riccardo III, che esamina le sue colpe nella tragedia omonima, o ai dubbi di Amleto sulla condotta da tenere. La metamorfosi del personaggio manzoniano, attentamente preparata, si svolge rapidamente. In breve tempo la decisione di liberare Lucia diviene, da eventualità (le posso dire: andate, rallegratevi; posso vedere quel viso cambiarsi, le posso anche dire: perdonatemi, rr. 20-22), certezza (La libererò, sì, r. 44). L’evoluzione del suo atteggiamento spirituale accelera sino a farsi riconoscibile in poche righe, come avviene nel passaggio su quellaltra vita (r. 77) prospettata dai preti dopo la morte, che diviene subito dopo quest’altra vita (r. 80).

Nel monologo dell’Innominato il narratore spinge la sua onniscienza più a fondo che mai, scavando nelle pieghe di una mente turbata. Il succedersi nervoso dei moti psicologici è illuminato con minuziosa precisione, ora accompagnato da commenti articolati, ora mostrato nei suoi nudi soprassalti. Al culmine della tensione, il processo con cui l’Innominato acquista consapevolezza dell’irrimediabilità dei propri misfatti – arrivando a un passo dal suicidio – è costruito attraverso un magistrale crescendo, per coppie binarie (Indietro, indietro, d’anno in anno, d’impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza, rr. 58-60) che culminano nella sovrapposizione della propria stessa esistenza al male: le scelleratezze eran tutte sue, eran lui (r. 62).

 >> pagina 361 

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

Perché l’Innominato quasi scappa dalla vista di Lucia?


Che cosa intende quando sostiene di non essere più uomo (r. 25)?

Analizzare

Rintraccia le frasi da cui emerge la misoginia dell’Innominato.


4 E don Rodrigo?… Chi è don Rodrigo? (rr. 45-46): quali sentimenti nutre l’Innominato nei suoi confronti?


a Simpatia.


b Indifferenza.


c Disprezzo.


d Compiacimento.


Individua i termini a tuo giudizio più significativi che si riferiscono agli stati d’animo dell’Innominato.

Interpretare

Lucia, da essere debole e indifeso in quanto prigioniero, diventa potente e piena d’au­torità. Confronta questo episodio con il brano dell’incontro tra fra Cri­stoforo e don Rodrigo ( T10, p. 332) dove avviene un ribaltamento analogo. Quali analogie e quali differenze cogli?

scrivere per...

raccontare

Ti è mai capitato di passare una notte inquieta e insonne? Per quali motivi? Raccontala in un testo di circa 15 righe.

Il magnifico viaggio - volume 4
Il magnifico viaggio - volume 4
Il primo Ottocento