T5 ITA - La vita dissipata nella capitale

DAL TARDOANTICO AL MEDIOEVO T5 La vita dissipata nella capitale tratto da Confessiones III, 1, 1 italiano Nel 371 Agostino giunge finalmente a Cartagine, la città dove deve portare a termine gli studi, e immediatamente si trova immerso nell atmosfera peccaminosa della città. 1.1. Giunsi a Cartagine, e dovunque intorno a me rombava la voragine degli amori 5 10 15 peccaminosi. Non amavo ancora, ma amavo di amare e con più profonda miseria mi odiavo perché non ero abbastanza misero. Amoroso d amore, cercavo un oggetto da amare e odiavo la sicurezza, la strada esente da tranelli. Avevo dentro di me un appetito insensibile al cibo interiore, a te stesso, Dio mio, e quell appetito non mi affamava, bensì ero senza desiderio di cibi incorruttibili,1 né già per esserne pieno; anzi, quanto più ne ero digiuno, tanto più ne ero nauseato. Malattia della mia anima: coperta di piaghe, si gettava all esterno con la bramosia di sfregarsi miserabilmente a contatto delle cose sensibili, che pure nessuno amerebbe, se non avessero un anima. Amare ed essere amato mi riusciva più dolce se anche del corpo della persona amata potevo godere. Così inquinavo la polla dell amicizia con le immondizie della concupiscenza, ne offuscavo il chiarore con il Tartaro della libidine.2 Sgraziato, volgare, smaniavo tuttavia, nella mia straripante vanità, di essere elegante e raffinato. Quindi mi gettai nelle reti dell amore, bramoso di esservi preso. Dio mio, misericordia mia,3 nella tua infinita bontà di quanto fiele non ne aspergesti la dolcezza! Fui amato, raggiunsi di soppiatto il nodo del piacere e mi avvinsi giocondamente con i suoi dolorosi legami, ma per subire i colpi dei flagelli arroventati della gelosia, dei sospetti, dei timori, dei furori, dei litigi. (trad. C. Carena) 1. di cibi incorruttibili: cioè di nutrimento spirituale. 2. Tartaro della libidine: il Tartaro è l inferno dei pagani: si tratta qui, naturalmente, di una metafora*. 3. Dio mio... mia: è una citazione del Salmo 59 (58), 18: Deus meus misericordia mea. Analisi del testo La città della corruzione Le parole con cui si apre il terzo libro delle Confessiones, Veni Carthaginem, segnano l inizio di una nuova e determinante fase dell esperienza esistenziale di Agostino. La città portuale con i suoi teatri, i suoi divertimenti e i lupanari attrae irresistibilmente l adolescente desideroso d amore e finalmente libero dal controllo materno. Agostino si getta allora nei piaceri disonesti offerti da Cartagine con un colpevole slancio: il suo insaziabile appetito non è rivolto a ciò che è incorruttibile, ma indulge in ciò che è peccaminoso. L animo è, sì, pronto all amore, ma è deviato dal suo vero fine verso 778 la sensualità e la concupiscenza: ritorna così, implicitamente, il tema di derivazione neoplatonica della dispersione rispetto all unità di Dio (à T3). Nella città corrotta anche l amicizia è macchiata dal peccato: Agostino utilizza l immagine forte del «Tartaro della libidine per suggerire indirettamente l idea che la concupiscenza conduce alla morte e alla dannazione, laddove l amore vero porta verso la luce. L introspezione psicologica, come sempre nelle Confessiones, è anche in questo caso molto profonda e l autore descrive la malattia dell anima con immagini estremamente incisive: la fascinazione dei

Tua vivit imago - volume 3
Tua vivit imago - volume 3
Età imperiale