Tua vivit imago - volume 3

L autore Seneca in breve la frequenza di motivi platonici nel gruppo 58-65; una sorta di graduale aumento della complessità e del tecnicismo di temi e argomentazioni, e anche, in certa misura, della lunghezza media delle lettere, da quelle iniziali a quelle finali. I temi sono vari e differenti, e spaziano dalla retorica (il modo giusto di esprimersi, la differenza fra stile oratorio greco e romano) ai temi filosofici specifici (la classificazione dei beni, l ontologia platonica); dalle vicende quotidiane (i rumori molesti, i segni esteriori della vecchiaia) a quelle relative all amicizia e al rapporto con Lucilio (il commento su un libro letto da entrambi, la nostalgia per l amico), ma sono unificati da un unico filo conduttore: le esortazioni a combattere la sorte e, soprattutto, la paura della morte (à pp. 74-76). Un manuale di filosofia Si può dunque affermare che le Epistole a Lucilio rappresentano un corso di filosofia pratica, inteso a liberare il lettore dall ancestrale terrore della morte, per consentirgli in tal modo di raggiungere la serenità assoluta. L insegnamento, però, non segue il modello tradizionale delle spiegazioni o illustrazioni di un problema, ma si affida soprattutto a quella che viene tecnicamente definita modalità parenetica, cioè esortativa. Seneca non vuole dimostrare (e dunque non si preoccupa di risultare talvolta incoerente), ma convincere, persuadere, a qualsiasi costo. Nel corpus non mancano discussioni sull anima, sull ontologia, sulla dottrina delle cause o simili, ma ogni questione è sempre ricondotta alla sua ricaduta etica , che mostra come certe conoscenze siano utili a migliorare sé stessi. A questo fine, Seneca ricorre a brillanti artifici retorici, come le sentenze, i paradossi, le metafore*, le personificazioni* (à pp. 7879): la sorte rappresentata come un guerriero feroce che bersaglia l uomo senza pietà, o come l imperatore che getta doni a caso tra la folla; il vizio come una donna seducente e pericolosa, che trova dimora nelle città di villeggiatura; la morte come un nemico che tende imboscate senza preavviso, oppure un mostro, un abisso, il nulla, ma anche un porto tranquillo o un luogo di pace. Tutte le lettere sono pervase da un afflato agonistico: l uomo (o il saggio) contro la sorte. La difficoltà del combattimento è resa con grande evidenza sia dalla violenza delle immagini, sia dalla sproporzione fra lo spazio amplissimo e le numerosissime immagini dedicate ai vizi e alla sorte da un lato, e il numero limitato di ricorrenze e metafore legate alla virtù dall altro. Di fronte a questo nemico impossibile da pacificare, le strategie di lotta del saggio sono sempre diverse, anzi antitetiche rispetto a quelle dell uomo comune, che si rivelano fallimentari: questo perché l uomo sbaglia a giudicare e valutare i fenomeni (per esempio, apprezza beni in realtà inutili o deleteri per la felicità) e dunque prende decisioni sbagliate (per esempio, dedica il suo tempo a conquistare la gloria, per poi verificare quanto sia inconsistente e anzi controproducente per la felicità). Il saggio, al contrario, grazie all uso perfetto della ragione, valuta correttamente cose, persone ed eventi, dunque mantiene il necessario distacco da tutto ciò che è esteriore, ossia che non riguarda direttamente la sua anima, e si dedica al perfezionamento di questa. Ciò gli consente di ridimensionare tutte le disgrazie, valutandole per quello che sono: piccolezze ininfluenti per la sua serenità. In tal modo il saggio affronta la sorte ad armi pari, consapevole di possedere, in caso estremo, un arma invincibile: il suicidio. La morte non potrà più nulla se le togliamo l unica cosa su cui ha potere, e cioè il corpo. Non poche lettere finiscono dunque con il tessere un apologia del suicidio, anche se Seneca pone molte limitazioni a questa scelta estrema: perché il saggio deve saper sopportare i mali eroicamente, perché la sua vita è sempre utile per l umanità, perché questa scelta va fatta solo in assenza di qualsiasi altra via d uscita, e non come fuga dettata dalla codardia o dal timore. Seneca non vuole dimostrare, ma convincere: il saggio, contrariamente all uomo comune, valuta correttamente le situazioni grazie alla ragione, sfuggendo così alla paura della morte. 69

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Età imperiale