DE PROVIDENTIA – LIBRO I

L autore Seneca in breve male. Mentre i dialoghi platonici si presentano effettivamente come uno scambio di battute tra due o più interlocutori, in Seneca invece com era già avvenuto, parzialmente, con Cicerone (si pensi alle Tusculanae disputationes o al De finibus) i testi sono perlopiù monologhi in prima persona dell autore, con sporadici interventi attribuiti al destinatario o a interlocutori fittizi, che esprimono possibili obiezioni al ragionamento. L unica parziale eccezione è il De tranquillitate animi (à p. 64). Una struttura simile all orazione La struttura di ciascun testo, come sempre in Seneca, è magmatica e sfugge alle classificazioni, ma si può a grandi linee ricondurre a quella tipica della discussione filosofica, a sua volta debitrice della struttura dell orazione: invocazione al destinatario e posizione del problema; divisio, cioè distribuzione degli argomenti, e loro sviluppo; conclusione. Di fatto, ogni dialogo risponde criticamente a una questione filosofica: nella rassegna che segue, il titolo di ciascun testo è accompagnato dalla domanda alla quale esso risponde, con l eccezione delle Consolazioni, che hanno struttura e caratteristiche peculiari. di struttura complessa, si può individuare la scansione classica: invocazione al destinatario ed esposizione del problema, argomenti e sviluppo, conclusione. Ogni dialogo risponde a una domanda filosofica. DE PROVIDENTIA LIBRO I Perché ai buoni capita il male? Nel De providentia il più breve dei Dialoghi, ma anche uno dei più famosi Seneca si rivolge a Lucilio, suo carissimo amico di qualche anno più giovane, per affrontare una questione capitale: Cur malum? Perché esiste il male? E perché colpisce i buoni? La risposta di Seneca recupera modelli e costumi della cultura romana, radicata in un educazione di tipo militare: come i padri più seri, come i generali, così il dio si compiace di assegnare ai migliori compiti più difficili, per far emergere il loro valore. Sempre nell ambito della metaforica militare, l autore rappresenta il dio proprio come lo spettatore compiaciuto di uno spettacolo gladiatorio, mentre contempla il suicidio di Catone a Utica. Il dialogo termina con un allocuzione* del dio stesso all uomo, in cui indica il suicidio come via d uscita estrema contro l avversa fortuna (à T2). Nei Dialoghi, benché Nel De providentia Seneca si chiede perché ai buoni capiti il male. Risposta: Dio sottopone i migliori a prove difficili, che mettono in evidenza il loro valore. DE CONSTANTIA SAPIENTIS LIBRO II Perché il saggio non può ricevere offese? Questo dialogo, dedicato ad Anneo Sereno caro amico di Seneca, che ne pianse disperatamente la morte nel 63 d.C. è un testo che intende dimostrare come nessuna offesa può ferire il saggio, perché egli subisce colpi che la sua forza d animo è tuttavia in grado di disinnescare. Le offese vengono presentate secondo la loro classificazione giuridica: iniuriae, offese che violano la legge e sono dunque perseguibili (per esempio, violenza fisica o furto), e contumeliae, offese meno gravi e non sanzionate (come l insulto verbale). L argomento principale esposto da Seneca è che per offendere qualcuno bisogna disprezzarlo, dunque essergli superiori; ma nessuno è moralmente superiore al saggio, il quale dunque non può essere colpito dalle offese, anche se non può evitare di riceverne. Il ragionamento è supportato da numerosi sillogismi, una modalità argomentativa raramente utilizzata da Seneca. In questo testo vengono citati non pochi esempi storici: alle figure positive di saggi (Stilpone di Megara e Catone Uticense à p. 65) si contrappone quella negativa di Caligola. Nel De constantia sapientis Seneca sostiene che il saggio può sopportare qualsiasi offesa senza soccombere, grazie alla sua superiorità morale. 61

Tua vivit imago - volume 3
Tua vivit imago - volume 3
Età imperiale