Tua vivit imago - volume 3

L autore Giovenale 30 35 dossa la toga se non da morto. Se talvolta la solennità dei giorni di festa viene onorata in un teatro in mezzo al verde, e alla fine torna sulla scena la nota farsa, quando il piccolo contadinello in braccio alla madre si spaventa per la boccaccia della pallida maschera, vedrai lì abiti tutti uguali senza differenze tra l orchestra e il resto del popolo; tuniche bianche che bastano ai sommi edili come velo dell insigne loro onore. Qui invece l eleganza delle vesti va oltre le possibilità, qui quel qualcosa più del necessario vien preso a suon di debiti. Ed è un vizio comune: qui tutti viviamo in una povertà piena di pretese. Perché fartela lunga? A Roma tutto ha un prezzo . (trad. B. Santorelli) di una parte che caratterizzava il cucullus, una sorta di mantellina introdotta a Roma in tempi antichi e caratteristica per la sua rozzezza e fattura povera: un abito che ai tempi di Giovenale nessuno indossa più e che qui è richiamato come termine di ri- scontro positivo dei costumi di vita e delle usanze contadine mantenute nelle località fuori Roma. Analisi del testo Caos materiale e caos morale Nel brano proposto emergono temi cari a Giovenale, la condanna dell immoralità e della corruzione di Roma e la descrizione del caos materiale e strutturale della città pericolante moralmente e materialmente: motivi ai quali si combina l atteggiamento sdegnato del provinciale benestante che vede in Roma ormai una madre di vizi senza fondo, che non offre prospettive di integrazione. La polemica è condotta attraverso il discorso di Umbricio stesso, che nella finzione letteraria diventa una sorta di doppio dell autore, suo alter ego e portavoce del suo stesso punto di vista. Uno dei primi attacchi è rivolto alle costruzioni che hanno trasformato i luoghi più antichi e sacri (il termine mitico di riferimento è il luogo degli incontri di re Numa e della ninfa Egeria ai primordi della storia di Roma, vv. 12-13). Segue quindi l argomento decisivo: la perdita di qualsiasi forma di sostentamento per chi vuole vivere in città con il proprio lavoro onesto, senza ricchezze. Roma si nutre infatti solo di queste e della corruzione che esse generano. A Roma possono resistere solo accaparratori sociali venuti dal nulla e arricchitisi grazie a ricatti e truffe, solo chi compra con denaro e lusinghe il favore dei potenti sperando nella loro considerazione. La vita impossibile dei clientes I toni si fanno più accorati a partire dalla r. 14 (vv. 41 ss. nel testo latino), dove la domanda «Che ci faccio io a Roma? dà inizio a una nuova sequenza narrativa nella quale il poeta sempre per mezzo del filtro del discorso di Umbricio oppone la propria visione di vita onesta, senza menzogne, né compromessi. In particolare egli insiste sui seguenti ambiti: quello culturale (cui allude con l affermazione di non saper mentire sulla qualità di un libro, rr. 14-15), quello religioso (con la stoccata polemica contro le forme di divinazione che vanno dall interpretazione degli astri alle viscere delle rane, rr. 16-17), quello amoroso-morale (Umbricio vi allude affermando di non saper far doni a donne sposate, r. 17) e quello sociale, relativo soprattutto alla condizione dei clientes come lui. L alternativa della campagna Alle rr. 23-25 (vv. 164-202 nel testo latino) l attenzione si sposta sulla questione della ricchezza, la sola risorsa richiesta per vivere bene a Roma. Ricchezza, lusso e quindi eleganza smisurata, anche se non sono alla portata di tutti, garantiscono ogni cosa e chi vive in città deve adeguarsi e persino andare oltre le proprie possibilità. Da questa considerazione si apre l elogio della condizione opposta: quella di chi vive in campagna, lontano da tutti gli agi, e si accontenta del poco. All indignazione subentrano così una riflessione di carattere oraziano e l ottica distaccata del benestante e onesto provinciale che desidera il ritorno alla propria terra, alle origini semplici. Su questo punto si sovrappongono la voce narrante, cioè quella di Umbricio che è nato a Roma ma anela a una vita diversa andando via, e la voce di Giovenale, che proviene esattamente dalla realtà positiva, quella campagna alla quale medita di tornare. Mettiti alla prova Laboratorio sul testo ONLINE 469

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Età imperiale