INTRECCI LETTERATURA - Tìdeo e Capàneo nella Divina Commedia

L autore Stazio letteratura Tìdeo e Capàneo nella Divina Commedia Nell Inferno, canto XXXII, vv. 124-132, Dante vede nel girone dei traditori due dannati imprigionati nel ghiaccio. Uno dei due ha la bocca conficcata nella testa del vicino e gli rode il cranio: 126 129 132 Noi eravam partiti già da ello, ch io vidi due ghiacciati in una buca, sì che l un capo a l altro era cappello; e come l pan per fame si manduca, così l sovran li denti a l altro pose là ve l cervel s aggiugne con la nuca: non altrimenti Tid o si rose le tempie a Menalippo per disdegno, che quei faceva il teschio e l altre cose. Nel canto XXXIII, ai vv. 1-90, sarà svelata l identità dei due dannati. Uno è il conte Ugolino della Gherardesca, morto di fame con i figli perché imprigionato nella torre dei Gualandi a Pisa per colpa del tradimento del vescovo Ruggieri. Questi è l altro personaggio qui presentato da Dante e subisce la punizione per contrappasso (segnalata al v. 127) di avere per l eternità Ugolino che gli rode il capo, dal momento che a causa sua, in vita, Ugolino è stato ridotto alla fame e all esecrabile atto di cannibalismo dei figli. Questi versi mostrano un consistente riecheggiamento del passo staziano dell VIII libro della Tebaide, relativo al cannibalismo di Tìdeo che si ciba del capo di Melanippo. Il confronto è esplicitato da Dante ai vv. 130-131; non si tratta solo di un richiamo al mito o di una suggestione limitata all immagine, ma di una sorta di traduzione del testo staziano. E tale traduzione emerge con chiarezza ancora maggiore nel successivo canto, dedicato proprio a Ugolino (XXXIII, vv. 1-3): La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a capelli 3 del capo ch elli avea di retro guasto. Nota in particolare come il gesto di Ugolino («forbendola , cioè pulendola ) richiami la descrizione di Tìdeo: illum effracti perfusum tabe cerebri / asp cit et vivo scelerantem sanguine fauces (Tebaide VIII, 760-761 à T3). Non solo: Dante al v. 89 definisce Pisa città che si è macchiata dell orribile delitto tramite l azione vergognosa di Ruggieri una «novella Tebe , alludendo proprio all episodio raccontato da Stazio. Tìdeo non è l unico personaggio staziano menzionato dall Alighieri, il quale nel XIV canto dell Inferno, riferendosi ai bestemmiatori, ricorda Capàneo ai vv. 43-72. Dante vede un personaggio che sembra sprezzante del supplizio infernale e domanda a Virgilio chi sia. Interviene così Capàneo, arrogantemente affermando che, anche se Giove gli scagliasse contro tutti i fulmini che gli forgiano Vulcano e i Ciclopi, non potrebbe avere la meglio su di lui, né batterlo (vv. 52-60): 54 57 60 Se Giove stanchi l suo fabbro da cui crucciato prese la folgore aguta onde l ultimo dì percosso fui; o s elli stanchi li altri a muta a muta in Mongibello a la focina negra, chiamando Buon Vulcano, aiuta, aiuta! , sì com el fece a la pugna di Flegra, e me saetti con tutta sua forza: non ne potrebbe aver vendetta allegra. La superbia e la blasfemia di Capàneo non trovano misura né fine nemmeno all Inferno: secondo Ettore Paratore, tuttavia, «Dante ha svuotato il personaggio di Capàneo della pomposa, retorica velleità di eroismo e di titanismo di cui Stazio lo aveva circonfuso, e ha ribadito la sua empietà, trasformando l imperturbabile e trascendente maestà del Giove staziano. Virgilio da parte sua controbatte con forza, dicendo a Capàneo che la sua condanna eterna è proprio nella sua impotente tracotanza (XIV, vv. 63-66). Dante raccoglie così fedelmente gli spunti che derivano dal testo staziano, rielaborando anche i dettagli; Capàneo, per esempio, nel suo discorso blasfemo ricorda persino l azione di Giove durante la gigantomachia a Flegra, dettaglio che Stazio introduce nel decimo libro, all interno del discorso di Giove stesso che si appresta a punire il personaggio (à T4). 357

Tua vivit imago - volume 3
Tua vivit imago - volume 3
Età imperiale