Tua vivit imago - volume 3

L ET IMPERIALE «Nullane pro trepidis , clamabat, «numina Thebis 900 statis? Ubi infandae segnes telluris alumni, Bacchus et Alcides? Piget instigare minores: tu potius venias quis enim concurrere nobis dignior? En cineres Semelaeaque busta tenentur , nunc age, nunc totis in me conite re flammis, 905 Iuppiter! An pavidas tonitru turbare puellas fortior et soceri turres excindere Cadmi? . Ingemuit dictis superum dolor; ipse furentem risit et incussa sanctarum mole comarum: «Quaenam spes hominum tumidae post proelia Phlegrae? 910 Tune etiam feriendus? ait. Premit undique lentum turba deum frendens et tela ultricia poscit, nec iam audet fatis turbata obsistere coniunx. Ipsa dato nondum caelestis regia signo sponte tonat, co unt ipsae sine flamine nubes 915 accurruntque imbres: Stygias rupisse catenas Iapetum aut victam supera ad convexa levari Nullane instigare minores: il breve intervento del protagonista è denso di ira e di blasfema irriverenza, e inizia con una provocazione perché nessuno dei numi sembra intervenire in difesa della terrorizzata città di Tebe (pro trepidis Thebis). Segue quindi un attacco diretto a Bacco e a Ercole, definiti segnes alumni, deboli (o inerti) figli della nefanda terra, con un allusione alle origini delle due divinità. Bacco è infatti figlio di Tebe per parte della madre Sèmele, figlia del fondatore della città Cadmo, fulminata da Giove perché gli aveva chiesto di rivelarsi in tutta la sua potenza. Ercole invece è nipote di lceo, il padre di Anfitrione, e perciò per parte del padre mortale è anch egli di origine tebana. I due sono considerati e apostrofati da Capàneo come divinità da poco, troppo modeste per opporglisi (piget instigare minores). tu potius nobis dignior?: a questo punto Capàneo invita Giove in persona: Piuttosto vieni tu chi infatti [potrebbe essere] più degno di affrontarmi? . En cineres Iuppiter!: per istigare l intervento del padre degli dèi, Capàneo dichiara di avere pieno possesso della città, tomba di Sèmele amata dal dio (si allude al mito tramite l immagine di Sème le polverizzata dalla forza del fulmine e ricaduta nella terra natale sotto forma di cenere). En è interiezione; tenentur significa letteralmente sono tenute (soggetto 354 sono le ceneri e il sepolcro di Sèmele ), ma puoi tradurre ho in mio possesso . Conite re è imperativo presente del verbo deponente con tor ( sforzarsi, fare ogni sforzo ); puoi tradurre così la frase: ora scagliati contro di me con tutte le [tue] fiamme , cioè i fulmini. An pavidas Cadmi?: forse [saresti] più forte a intimidire con il tuono le fanciulle impaurite e a far precipitare le torri del tuo suocero Cadmo? ; da ultimo Capàneo provoca apertamente il dio alludendo alle scappatelle di Giove, seduttore di fanciulle indifese, e alla rovina della casa di Cadmo a seguito della morte di Sèmele (a questo si riferisce il richiamo alla distruzione delle torri del suocero Cadmo). 907-910. Ingemuit dictis ait Le parole di Capàneo addolorano i celesti, che gemono, e suscitano la reazione di Giove. Ingemuit dolor: lett. gemette il dolore degli dèi celesti ; nota l utilizzo dell astratto per il concreto (l espressione equivale infatti a dolentes superi). ipse coma rum: il padre degli dèi (ipse) ride della follia di Capàneo (furentem risit), scuote la testa (incussa mole, ablativo assoluto con valore temporale) e interviene (ait) ricordando Flegra (antica denominazione dell odierna Pallene nella Penisola Calcidica), ridotta in fiamme per punire i giganti che avevano dato l assalto all Olimpo. Quaenam spes Phlegrae?: Giove chiede quali speranze pensino di avere i mortali dopo quanto successo a Flegra e se sia dunque necessario intervenire ancora. Tune feriendus?: anche tu devi essere colpito? ; l ultima domanda è rivolta direttamente a Capàneo; la riluttanza di Giove costretto all azione dall insolenza del personaggio è tutta concentrata nella scelta del gerundivo e nella brevità dell interrogativa. 910-917. Premit undique Aetnamve putes Premit undique poscit: da ogni parte la schiera degli dèi lo pressa lento e reclama i dardi punitori (tela ultricia, cioè i fulmini di Giove, scagliati come vendetta e castigo) ; dopo la prima rea zione di sdegno di Giove, la lente del poeta ritorna sull assemblea divina per cogliere le reazioni emotive degli dèi, i quali rimproverano il signore dell Olimpo di essere lento nella punizione. nec iam audet coniunx: la stessa Giunone (coniunx), turbata, non osa opporsi ai fati (fatis obsistere). Ipsa dato im bres: all immagine dell assemblea divina segue, senza alcuna esclamazione (dato nondum signo, ablativo assoluto con valore temporale-concessivo), l azione di Giove; dalla reggia celeste si ode un tuono (caelestis regia sponte tonat) mentre senza alito di vento (sine flamine) si addensano spontaneamente le nubi (co unt ipsae nubes) e incalzano le nuvole di

Tua vivit imago - volume 3
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Età imperiale