Tua vivit imago - volume 3

20 «Et nunc ille iacet pulchra o solacia leti! ore tenens hostile caput, dulcique nefandus immoritur tabo; nos ferrum inmite facesque: illis nuda odia, et feritas iam non eget armis . «E ora quello è a terra, e tiene tra i denti il capo del nemico (bella consolazione della morte!), e muore, il maledetto, gustando la dolcezza del sangue; noi combattiamo col ferro spietato e colle torce, essi col solo odio: alla loro bestialità non occorrono armi . (trad. A Traglia e G. Aricò) non preposizione, infatti non introduce complementi e ha valore assoluto di inoltre , in più . Quisquamne Pelasgis leones?: l intervento di Etèocle è costruito dal poeta attraverso tre interrogative retoriche: la prima, in enjambement, comprende la pericope Quisquamne Pelasgis gerit?; lett. forse qualcuno (quisquamne: l enclita -ne presuppone l attesa di una risposta positiva da parte degli interlocutori) è ancora mite (mitis adhuc, sott. est) e si comporta umanamente (hominemque gerit) con i Pelasgi? . La seconda è impostata a partire dalla constatazione delle azioni perverse dei nemici e il senso, paradossale, è: si sono così saziati di ucciderci con le armi da essere passati ora a dilaniarci a morsi (morsibus uncis, lett. con i morsi uncinati , cioè dati da denti a forma di uncino)? . Sulla base di questa constatazione, il poeta inserisce la domanda vera e propria: usque exatiavimus?. La terza interroga- FASCINO PER IL MOSTRUOSO Il poeta indugia con compiacimento nei dettagli più truculenti e raccapriccianti: l immagine della bocca insanguinata del nefandus Tìdeo, intento a divorare il capo mozzato del nemico, diviene così icastico simbolo dell orrore di una guerra assurda e del furor che imperversa e dilaga. ESASPERAZIONE Attraverso le parole di re Etèocle, Stazio porta all estremo la contrapposizione fra gli schieramenti nemici (nos illis) e l insensata brutalità dello scontro (ferrum inmite facesque; nuda odia), che genera una frattura insanabile persino fra consanguinei. tiva retorica (Nonne leones) comprende i due iperbati Hyrca nis tigribus (anche in enjambement) e saevos leones. Il nome Pelasgi ricorre spesso in poesia come sinonimo di Greci, nonostante indichi in realtà la popolazione che, secondo la tradizione, avrebbe abitato la Grecia settentrionale e altre regioni del Mediterraneo prima dell arrivo dei Greci. La definizione di Hyrca nis per le tigri è topica per indicare bestie particolarmente feroci (oppure luoghi impervi e ostili) e deriva della fama dell Ircania (Hyrcania), regione impervia dell Asia e per antonomasia* luogo ostile. 17-20. Et nunc ille eget armis I versi ripercorrono brevemente e con un nuovo inciso (pulchra o solacia leti, scopertamente sarcastico rispetto a quello presente al v. 14) l azione di Tìdeo, aggiungendo il dettaglio macabro della bocca sporca di sangue e quindi del gusto dolciastro di esso. dulci inmoritur tabo: maledetto (nefandus, con sottinte- so Tydeus) muore (immoritur) in un dolce lago di sangue (ossimoro*; tabum indica precisamente un liquido putrido e in particolare, come qui, il sangue imputridito) . Da un punto di vista lessicale occorre notare che nefandus ( esecrabile, empio, scellerato , da ne- e fandus, cioè che non deve essere detto ) si può interpretare sia come predicativo del soggetto, sia con valore attributivo, come avviene nella traduzione qui seguita. nos facesque: nel sintagma è da sottintendere tenemus (che si ricava dal precedente tenens). illis: dativo di possesso. feritas iam non eget armis: il senso complessivo è che i nemici argivi combattono con un odio tale che la loro bestialità (feritas) non ha neanche più bisogno (eget) di armi (armis). 345

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Età imperiale