Tua vivit imago - volume 3

L autore Seneca 45 Ducunt volentem fata, nolentem trahunt. 12. Sic vivamus, sic loquamur; paratos nos inveniat atque inp gros fatum. Hic est magnus animus qui se ei tradidit: at contra ille pusillus et dege ner qui obluctatur et de ordine mundi male existimat et emendare mavult deos quam se. Vale. bono: e sopporterò con sofferenza quello che si potrebbe fare con piacere . Ducunt... trahunt: immagine famosissima, che rimanda al carceriere che porta un prigioniero in catene: i fati conducono chi li segue volentieri, trascinano chi li segue controvoglia . La costruzione a chiasmo* (verbo/accusativo/accusativo/verbo) e l an titesi volentem/nolentem ne fanno un verso stilisticamente impeccabile. 12. Sic vivamus... quam se La conclusione ricapitola l idea centrale della lettera: l animo grande non è quello che combatte il destino, ma quello che si affida a esso. Sic... loquamur: vivamus e loquamur sono ancora congiuntivi esortativi, legati dall anafora sic... sic. paratos... fatum: fatum è il soggetto del congiuntivo inveniat; gli aggettivi paratos e inp gros riprendono la coppia inp gri e ala cres del par. 10. Hic... tradidit: è un animo grande quello che si affida a lui ; ei si riferisce a fatum. pusillus et dege ner: in antitesi con paratos e inp gros. Qui... mavult: la relativa ha tre verbi al presente indicativo: obluctatur, existimat, mavult. quam se: secondo termine di paragone richiesto dal verbo malo, preferire ; il primo termine è deos. Analisi del testo L incipit e la citazione virgiliana In questa lettera famosissima troviamo una delle espressioni più celebri dell accettazione del destino, affidata, come si è detto, alla traduzione dell inno dedicato a Zeus da Cleante. La lettera è tripartita in modo tradizionale tra introduzione, argomentazione e conclusione: un cenno aneddotico (la fuga dei servi di Lucilio, par. 1), la generalizzazione filosofica (le disgrazie sono parte integrante della vita, parr. 2-4, e capitano a tutti, parr. 5-7, secondo la legge di natura, par. 8), l esortazione ad accettare il fato (parr. 9-12). Lucilio si era lamentato con Seneca, evidentemente in una lettera precedente, della fuga dei suoi servi. Si tratta di una disgrazia non infrequente e non terribile, che capita spesso nella vita: Seneca lo chiarisce con il riferimento agli inconvenienti di situazioni quotidiane come le terme o la via fangosa, e in particolare con l immagine del cammino, lungo il quale si perdono molti compagni (par. 2). Poi il tono si fa più drammatico, e a questo è funzionale la citazione di Virgilio, tratta dal passo in cui Enea, giunto agli Inferi, vede le personificazioni dei mali (par. 3). Seneca commenta che essi sono molto più presenti nella vita che dopo la morte, e per questo è necessario prepararsi a essi, cioè adattarsi all idea che queste cose capitino, secondo un esercizio spirituale stoico chiamato praemeditatio futurorum malorum. In questo modo, le disgrazie non giungono inaspettate, ed è più semplice farvi fronte (par. 4). L esortazione ad accettare il proprio destino Il par. 5 si apre con la ripetizione del lamento di Lucilio, e una sorta di ripetizione-rafforzamento dell argomentazione senecana, solo in tono più drammatico: il filosofo rinfaccia all amico che avrebbe potuto capitargli di molto peggio. Per dimostrare l assunto secondo cui queste cose rientrano nella legge di natura, egli fa riferimento alle conseguenze spiacevoli dell avvicendarsi delle stagioni e degli imprevisti vari, ancora una volta rappresentati come incidenti lungo un percorso (par. 7): la natura regola l universo avvicendando fenomeni opposti in equilibrio (par. 8). Il discorso, in questo modo, è passato da un livello squisitamente antropologico a uno più generale, cosmico. Anche questo è in accordo con la filosofia stoica, secondo cui l universo intero, a tutti i livelli, è governato da un unico principio razionale, che si può chiamare natura, Dio, provvidenza o anche Giove, come alla fine di questa lettera. Segue la parte finale, esortativa, in cui Seneca spinge il lettore ad accettare il destino, che comunque non possiamo cambiare, senza lamentarsi. Il modello di comportamento è ancora una volta quello militare: i soldati non devono obbedire al generale lamentandosi o criticando la sua decisione. L esortazione viene motivata con un ragionamento opportunistico: poiché non possiamo cambiare il fato, ci conviene accettarlo volentieri, perché altrimenti saremmo comunque costretti a seguirlo, ma con sofferenza. I versi di Cleante che Seneca traduce dal 145

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Età imperiale