Tua vivit imago - volume 3

L ET IMPERIALE che si è stancata di essere tale non posso chiamarla clemenza; la vera clemenza, di cui tu dai prova, Cesare, e che non nasce dal ravvedimento per le efferatezze compiute, è questa: non avere nessuna macchia, non aver mai sparso il sangue dei cittadini. (trad. E. Malaspina) Analisi del testo I limiti del princeps Nella prima parte Seneca si sofferma sulla difficoltà che l essere sovrano comporta: il privato cittadino può permettersi molte cose, anche molti piccoli vizi a cui nessuno darà peso, ma il principe non possiede una sfera privata: ogni suo atto viene analizzato e giudicato da tutti i sudditi, ha conseguenze su di loro, oppure costituisce un esempio per tutti. Il principe è inchiodato al suo ruolo, e non può distaccarsene: è condannato alla luce, perché è come il sole per l impero (parr. 1-4). L importanza politica della clemenza Dopo questa sezione focalizzata sulla figura dell imperatore e sui suoi problemi, Seneca passa a descrivere gli effetti delle sue azioni, e in particolare delle sue punizioni, sui sudditi. Dall imperatore-sole si passa dunque all imperatore-Giove, che lancia le sue implacabili folgori (parr. 5-6). Questo passaggio è motivato dalla focalizzazione sulla clemenza: mentre tutti gli altri scrittori di manuali elencavano diverse virtù necessarie ai governanti, Seneca si concentra unicamente sulla clemenza. La volontà di punire deve essere ridotta al minimo, se non altro perché procura molti nemici, a cominciare da tutti i familiari e compagni di chi è stato ucciso (par. 7). Questo ragionamento torna anche nel Principe di Niccolò Machiavelli (1513), che infatti consiglierà di sterminare non solo i nemici, ma anche le loro famiglie al completo. L esempio di Augusto A questo punto Seneca si volge agli esempi storici, focalizzandosi su quello che doveva essere il modello principale per un imperatore della dinastia Giulio-Claudia: Augusto. Anziché presentarci un principe emblema di virtù, Seneca sottolinea come egli, da giovane (dunque prima di diventare imperatore), fosse stato estremamente crudele e sanguinario, anche nei confronti dei suoi amici, tanto da suscitare una serie di terribili guerre civili (parr. 9, 1; 11, 1). A prima vista, l esempio non sembra molto pertinente; d altra parte, il ragionamento implicito è: anche se Ottaviano non era naturalmente mite, una volta divenuto Augusto (27 a.C.) assunse questo atteggiamento, perché sapeva che la sua innata crudeltà sarebbe stata fatale al suo nuovo ruolo. Dunque, non solo Augusto viene tacciato di empietà, ma anche di ipocrisia: la sua mitezza sarebbe stata solo una scelta opportunistica. Questo consente a Seneca di adulare Nerone, che al contrario del suo predecessore non si è macchiato di alcuna crudeltà (par. 11, 2). Questa è la vera clemenza: una virtù innata, non un atteggiamento imposto dalle circostanze. Un confronto tra Ottaviano e Nerone Il filosofo approfitta della coincidenza fra l età di Ottaviano all inizio della sua sanguinaria vicenda politica e quella di Nerone al momento della presa del potere: sedici anni. Nello stesso periodo della vita in cui il futuro Augusto uccideva i nemici politici, Nerone era ancora innocente. Ovviamente, questo si deve in effetti alle circostanze diversissime che hanno portato i due al potere: Augusto in conseguenza di un avventura politica spregiudicata, fondata sulla creazione di un esercito personale, in un momento di vuoto di potere e gravissima crisi delle istituzioni repubblicane; Nerone a seguito delle trame, anch esse sanguinarie (si pensi all uccisione di Claudio), della madre Agrippina. Nerone dunque non aveva motivo di essere crudele. Ma Seneca fa di questa coincidenza il perno di un adulazione sfacciata, che a prezzo di una critica pesantissima al primo imperatore di Roma rende il giovane neoeletto un modello della virtù più importante per i sovrani: la clemenza, appunto. Mettiti alla prova Laboratorio sul testo ONLINE 112

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Età imperiale