Tua vivit imago - volume 2

L ET DI AUGUSTO Analisi del testo I modelli greci e le molte riscritture ovidiane I modelli più importanti di questa epistola sono la Medea di Euripide e le Argonautiche di Apollonio Rodio (in particolare la seconda parte del poema, cioè i libri III e IV), opere dalle quali Ovidio ricava una serie di riprese puntuali, anche se spesso ricontestualizzate e rifunzionalizzate ai fini del tentativo di Medea di convincere Giàsone a tornare sui suoi passi. Per esempio, anche nella tragedia euripidea è presente il tema della vita che i figli trascorreranno dopo la partenza della madre, ma in quel caso Medea compatisce soprattutto sé stessa perché non potrà vederli crescere (ed è questo uno dei motivi che le farà decidere, alla fine, di ucciderli, vv. 1021-1039). Nella lettera ovidiana, lo scopo dell eroina è invece quello di indurre Giàsone a riprenderla con sé, e a questo serve la menzione dei figli: di conseguenza, Medea evoca, per questi ultimi, un futuro a tinte fosche dopo la propria partenza («la matrigna crudele infierirà sui frutti del mio ventre , r. 26). La storia di Medea, alla quale avevano dedicato delle tragedie (perdute) già Ennio e Accio, è ripresa da Ovidio in più occasioni: oltre che in questa epistola, in una tragedia andata perduta (Medea), ma all epoca di enorme successo, e in un brano delle Metamorfosi (VII, 1-424). Come abbiamo visto sia nel caso di Didone che in quello di Arianna, anche per Medea le varie riprese ovidiane si concentrano, ciascuna, su un episodio diverso della vicenda mitica (anche se non possiamo esserne del tutto sicuri per la Medea, che non possediamo): così, nel brano delle Metamorfosi vengono narrati gli eventi che si svolgono nella Còlchide, la patria di Medea, e che ruotano intorno alla conquista, da parte di Giàsone, del vello d oro, mentre qui nelle Heroides siamo naturalmente in un momento successivo, ambientato in Grecia molti anni dopo quegli avvenimenti. Anche in questo caso, dunque, si può parlare di continuità narrativa intertestuale. Il finale Il fatto che Medea scriva la lettera subito prima di decidere di vendicarsi, in coincidenza dunque con una svolta decisiva nello sviluppo della vicenda, fa sì che la caratterizzazione del personaggio si collochi a metà strada tra la ragazza innamorata e determinata a tutto per aiutare il suo eroe (protagonista della prima parte del mito: la conquista del vello d oro e la fuga dalla Colchide) e la donna vendicatrice e assassina che Medea sta per diventare. Tale passaggio è rispecchiato anche dallo sviluppo della stessa epistola, che in tutta la prima parte è dedicata a rievocare l aiuto prestato dall eroina a Giàsone: «Dà un qualche piacere rinfacciare un beneficio a un ingrato: di questo piacere io godrò, questa la sola gioia che trarrò da te (vv. 21-22). soltanto negli ultimi distici (a partire dal v. 179) che viene, infine, in primo piano il proposito di vendetta: espresso, sebbene in termini piuttosto generici, nei confronti di Creùsa («piangerà, e le fiamme che la bruceranno supereranno le mie! , r. 21; «A loro certamente quanto prima , rr. 38-39), appena accennato, come una vaga minaccia, nei confronti di Giàsone (per il tramite dei figli): «Sì, la mia mente sta meditando qualcosa di enorme (r. 42). Proprio questo verso finale (Nescio quid certe mens mea maius agit) è rimasto famoso per la potenza allusiva, per il dire senza dire , che i lettori colgono in esso, essendo a conoscenza a differenza di Giàsone, destinatario della lettera all interno della finzione poetica del terribile delitto che Medea si accingerà poi a compiere. Probabilmente quella espressa qui dall eroina è una sorta di reticenza, quasi di pudore, perché con ogni verosimiglianza sta già pensando all uccisione dei figli e non è vero, quindi, che non sa (nescio) ancora che cosa (quid) voglia fare di più grande (maius). Lo conferma il confronto con frasi simili che si leggono nel racconto di vicende che hanno in comune con quella di Medea l efferatezza dell uccisione di un congiunto: per esempio, nell episodio in assoluto più cruento delle Metamorfosi, Procne dirà «qualunque sia il fatto a cui sono pronta, è qualcosa di grande. Cosa, non lo so ancora (VI, 618-619, trad. G. Paduano T15); espressioni analoghe, sempre con la qualifica di grande o più grande per l azione che si intende compiere, si leggono nell treo di Accio (vv. 200-201 Ribbeck) e nel Tieste di Seneca (vv. 269-270), tragedie ispirate entrambe alla storia dei due fratelli treo e Tieste (dopo aver insidiato il trono di Argo al fratello, Tieste era vissuto a lungo in esilio: al suo ritorno, treo finse di perdonarlo, ma gli uccise segretamente tre figli e gliene servì a banchetto le carni). Mettiti alla prova Laboratorio sul testo ONLINE 500

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Età augustea