Tua vivit imago - volume 2

L ET DI AUGUSTO Si non audires, ut saltem cernere posses, 40 iactatae late signa dede re manus; candidaque imposui longae velamina virgae, scilicet oblitos admonitura mei. Iamque oculis ereptus eras. Tum denique flevi: torpuerant molles ante dolore genae. 45 Quid potius facerent, quam me mea lumina flerent, postquam desierant vela videre tua? Aut ego diffusis erravi sola capillis, qualis ab Ogygio concita Baccha deo; aut mare prospiciens in saxo frigida sedi, 50 quamque lapis sedes, tam lapis ipsa fui. Perché tu potessi almeno vedermi, se non udirmi, ti feci larghi gesti agitando le braccia, e misi un velo bianco sulla cima di un lungo ramo, certo per richiamare chi mi aveva scordata. Ma ormai eri stato sottratto ai miei occhi, e allora alfine piansi: le mie tenere guance fin allora le aveva intorpidite l angoscia. Che altro dovevano fare i miei occhi, se non piangere sulla mia sorte, dopo aver cessato di vedere le tue vele? Nella mia solitudine andai errando, con i capelli sciolti, come una menade agitata dal dio Ogigio, oppure, lo sguardo perduto sul mare, sedetti agghiacciata sopra uno scoglio, e come sedevo sopra una pietra, anch io divenni di pietra. (trad. G. Rosati, con adattamenti) ut saltem: affinché almeno . dede re: equivale a dede runt (il soggetto è iactatae manus, le mani agitate ). scilicet: naturalmente . Può essere riferito sia a oblitos, a esprimere una rassegnata constatazione dell abbandono, sia, con sfumatura più neutra, al participio futuro admonitura (lett. con l intenzione di richiamare , riferito ai candida velamina, i teli bianchi ; questa è l esegesi seguita nella traduzione qui proposta). oblitos mei: lett. coloro che si sono dimenticati di me , ma il riferimento è naturalmente al solo Tèseo; il plurale è dovuto al fatto che Arianna ancora non può credere che Tèseo si sia dimenticato di lei, e pensa dunque a una dimenticanza collettiva . 43-46. Iamque oculis videre tua? Questi due distici sono interamente dedicati al pianto di Arianna, che soltanto ora erompe: fino a questo momento, infatti, l eroina era come paralizzata dal dolore. Tum denique: ha valore pregnante: allora infine . mea lumina: gli occhi della fanciulla sono quasi personificati e sono essi stessi, paradossalmente, a piangere/compiangere Arianna (me flerent): che cos altro avrebbero potuto fare (Quid potius facerent), dopo che avevano ces- 496 sato (postquam desierant, da des no) di vedere le vele di Tèseo (vela videre tua)? me mea lumina: allitterazione, come anche vela videre al verso successivo. Nota inoltre, il contrasto fra queste due espressioni, mea lumina e vela tua: da un lato le vele di Tèseo, emblema del suo allontanarsi indifferente; dall altro gli occhi inondati dal pianto di Arianna, emblema della sua disperazione di fanciulla abbandonata. flerent: nota la ripresa a distanza, ma sempre in clausola, del verbo fleo, già presente al v. 43 (flevi). 47-50. Aut ego ipsa fui Ogygio deo: il dio Ogigio, cioè tebano (da gige, fondatore o mitico re di Tebe in Beozia), è Bacco, che a Tebe era infatti particolarmente venerato. Anche Catullo aveva paragonato Arianna a una baccante (carme 64, 61): saxea ut effigies bacchantis, «come la statua di marmo di una baccante . La rappresentazione catulliana di Arianna è sviluppata da Ovidio in due immagini diverse, quella della baccante che va errando (vv. 47-48) e quella della statua seduta (vv. 49-50): sia saxum (da cui l aggettivo saxeus) sia lapis significano letteralmente pietra . quamque fui: lett. e come il sedile era pietra, così io stesso fui pietra . Nota il parallelismo quam lapis tam lapis e la ripresa di sedi in sedes, in clausola rispettivamente di verso e di emistichio. Tèseo e Arianna, affresco della casa di Cecilio Giocondo a Pompei, 35-45 d.C.

Tua vivit imago - volume 2
Tua vivit imago - volume 2
Età augustea