Tua vivit imago - volume 2

L ET DI AUGUSTO Cur ego plectar amans, si vir tibi marcet ab annis? Num me nupsisti conciliante seni? Adsp ce quot somnos iuveni donarit amato Luna neque illius forma secunda tuae. 45 Ipse deum genitor, ne te tam saepe videret, commisit noctes in sua vota duas. Iurgia finieram; scires audisse: rubebat, nec tamen adsueto tardius orta dies! 41-42. Cur ego seni? Dopo alcuni distici di pura invettiva (vv. 31-40), nel finale il poeta sembra abbozzare un tentativo di convincere l Aurora ad assecondare il suo desiderio: a questo mirano infatti, apparentemente, le due domande retoriche ai vv. 41-42 e, soprattutto, i due exem pla mitici che occupano gli ultimi due distici del discorso diretto (vv. 43-46). Cur ego seni: Perché devo essere punito (plectar) io, che amo (amans), se a te il marito è disfatto (marcet, lett. marcisce ) dagli anni? Forse (Num) ti sei sposata con un vecchio (nupsisti seni) avendo me come intermediario (me concilian te, ablativo assoluto)? . Ovidio vuole dire, cioè, che non è stato lui a far sposare Aurora e Titono e non è, quindi, colpa sua se la dea è sposata a un vecchio: perché, allora, lo punisce costringendolo, con il suo arrivo, a separarsi dalla fanciulla amata? 43-44. Adsp ce secunda tuae Il poeta invita l Aurora a guardare quanti sonni (quot somnos) abbia donato (donarit) la Luna al giovane [da lei] amato (iuveni amato) ; eppure continua Ovidio la sua bellezza (illius forma, cioè della Luna) non era inferiore (secunda) alla tua . Ad sp ce: imperativo. donarit: è perfetto sincopato, equivale a donaverit. iuveni amato Luna: è Endimione, il pastore che la Luna, innamorata, aveva fatto addormentare in eterno per poterlo contemplare e baciare a suo piacimento. 45-46. Ipse deum vota duas Lo stesso padre degli dèi (deum genitor), cioè Giove, per non vedere l Aurora così spesso (tam saepe), mise insieme (commisit) due notti per i suoi desideri (in sua vota). deum: forma arcaica per deorum. ne te tam videret: proposizione finale; nota come in entrambi gli esempi il poeta inserisca, per così dire, una cattiveria gratuita nei confronti della dea: nel primo caso, al v. 44, rimarcando che la Luna non era meno bella di lei, e ora presentando, almeno inizialmente, in negativo l azione di Giove, con questa proposizione finale, come se lo scopo del dio fosse esclusivamente quello di non vedere l Aurora. commisit duas: l allusione è al mito di Alcmena, moglie di Anfitrione: Giove ave- va preso le sembianze di quest ultimo per poter giacere con lei e, per prolungare il tempo da trascorrere insieme, aveva raddoppiato la durata della notte. 47-48. Iurgia orta dies! Terminato il discorso diretto (Iurgia finieram, avevo terminato le ingiurie ), l elegia si chiude con uno dei distici più memorabili nella produzione ovidiana. In esso si sovrappongono il piano dei fenomeni atmosferici e quello delle loro personificazioni mitologiche: il cielo si tinge di rosso (rubebat, rosseggiava ), perché sta effettivamente sorgendo l aurora, ma il poeta interpreta quel colore come se fosse la dea Aurora che arrossisce di vergogna (appunto, ru bebat) dopo aver ascoltato le sue accuse. scires audisse: lett. avresti saputo che aveva udito ; noi diremmo: avresti detto che mi aveva sentito . nec tamen dies: lett. e tuttavia il giorno non sorse (orta, sott. est) più tardi del solito (adsueto tar dius) ; a dispetto di questa reazione, l alba arriva comunque puntuale, come tutti gli altri giorni. Analisi del testo Un inno al contrario Se uno degli assunti degli Amores è il sistematico rovesciamento delle aspettative del lettore, questa elegia dedicata all Aurora ne è un esempio particolarmente evidente: l intero componimento è strutturato, infatti, come un inno rivolto a una divinità, ma rovesciato in ogni suo aspetto. Il genere letterario dell inno prevedeva infatti, innanzitutto, la richiesta al dio o alla dea di accorrere o di essere presente: viceversa, Ovidio esordisce pregando l Aurora di non arrivare (vv. 3-10). Nell inno tradizionale l invito al dio era in genere seguito dall elogio dei suoi effetti benefici della divinità sulla vita degli uomini, mentre qui il poeta descrive gli effetti negativi 476 dell arrivo della dea (vv. 11-26). L inno, inoltre, comprendeva solitamente una sezione di augurio, qui volta in negativo, con il poeta che augura all Aurora di incorrere in una serie di incidenti (vv. 27-30). Infine, la struttura innologica prevedeva la menzione o il racconto per esteso, a fini celebrativi, di vicende della vita della divinità invocata, ma in questo caso l accenno ai rapporti dell Aurora con il marito Titono e l amante Cèfalo (vv. 35-42) ha lo scopo non di elogiare, bensì di offendere la dea. Come nell elegia I, 9 (à T2), siamo di fronte anche qui a un vero e proprio pezzo di bravura, nel quale Ovidio mette in mostra la propria abilità nel-

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Età augustea