Classe di letteratura - Giacomo Leopardi

210 215 220 225 230 235 ma di barbaro. Non far niuna stima di addolorare colla uccisione propria gli amici e i domestici; è di non curante d altrui, e di troppo curante di se medesimo. E in vero, colui che si uccide da se stesso, non ha cura né pensiero alcuno degli altri; non cerca se non la utilità propria; si gitta, per così dire, dietro alle spalle i suoi prossimi, e tutto il genere umano: tanto che in questa azione del privarsi di vita, apparisce il più schietto, il più sordido, o certo il men bello e men liberale amore di se medesimo, che si trovi al mondo. In ultimo, Porfirio mio, le molestie e i mali della vita, benché molti e continui, pur quando, come in te oggi si verifica, non hanno luogo infortuni e calamità straordinarie, o dolori acerbi del corpo; non sono malagevoli da tollerare; massime48 ad uomo saggio e forte, come tu sei. E la vita è cosa di tanto piccolo rilievo, che l uomo, in quanto a se, non dovrebbe esser molto sollecito né di ritenerla né di lasciarla. Perciò, senza voler ponderare la cosa troppo curiosamente;49 per ogni lieve causa che se gli offerisca di appigliarsi piuttosto a quella prima parte che a questa, non dovria ricusare di farlo.50 E pregatone da un amico, perché non avrebbe a compiacergliene?51 Ora io ti prego caramente, Porfirio mio, per la memoria degli anni che fin qui è durata l amicizia nostra, lascia cotesto pensiero; non volere esser cagione di questo gran dolore agli amici tuoi buoni, che ti amano con tutta l anima; a me, che non ho persona più cara, né compagnia più dolce. Vogli piuttosto aiutarci a sofferir52 la vita, che così, senza altro pensiero di noi, metterci in abbandono. Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l un l altro; andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci dorremo: e anche in quest ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà il pensiero che, poi che53 saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora. 48 massime: soprattutto. 49 curiosamente: pedantemente. 50 per ogni lieve causa ricusare di farlo: per ogni più piccolo motivo che gli si of fra, dovrebbe volgersi a quel primo appi glio (verso la vita) piuttosto che rifiutarlo. 51 E compiacergliene?: e se fosse un amico a pregarlo (di non rinunciare alla vita), perché non dovrebbe accontentarlo? 52 sofferir: sopportare. 53 poi che: dopo che. DENTRO IL TESTO La vittoria della pietà Il suicidio come risposta all infelicità I contenuti tematici Se il dolore è connaturato alla vita umana e se mistificare o edulcorare la condizione in cui versa l umanità è un atto di viltà, come si può provare quasi disperatamente il gusto alla vita (rr. 179180)? La risposta data da Leopardi si basa su uno dei cardini della sua filo sofia, pessimistica ma non nichilistica: la considerazione dell uomo come creatura infelice da confortare grazie alla pietà, alla solidarietà e a quell affettuoso legame che dovrebbe istituirsi tra il singolo individuo e la comunità umana di cui fa parte. A questo approdo Leopardi giunge dopo aver affrontato lo snodo decisivo del suicidio, tragica ma razionale soluzione per chi ha acquisito una coscienza definitiva della sorte sventurata che la natura ha destinato ai viventi. Nel trattare questo tema, egli sceglie un approccio problematico che si sviluppa in questa operetta attraverso il confronto tra due L AUTORE / 159

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