ISLANDESE Tu dei sapere che io fino nella prima gioventù, a poche esperienze,14 fui
persuaso e chiaro15 della vanità della vita, e della stoltezza degli uomini; i quali
combattendo continuamente gli uni cogli altri per l’acquisto di piaceri che non
dilettano, e di beni che non giovano; sopportando e cagionandosi scambievolmente
30 infinite sollecitudini,16 e infiniti mali, che affannano e nocciono in effetto,17
tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano. Per queste
considerazioni, deposto ogni altro desiderio, deliberai, non dando molestia a
chicchessia, non procurando in modo alcuno di avanzare il mio stato, non contendendo18
con altri per nessun bene del mondo, vivere una vita oscura e tranquilla;
35 e disperato dei piaceri,19 come di cosa negata alla nostra specie, non mi
proposi altra cura che di tenermi lontano dai patimenti. Con che non intendo
dire che io pensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche corporali; che
ben sai che differenza è dalla fatica al disagio, e dal viver quieto al vivere ozioso.
E già nel primo mettere in opera questa risoluzione,20 conobbi per prova come
40 egli è vano a pensare, se tu vivi tra gli uomini, di potere, non offendendo alcuno,
fuggire21 che gli altri non ti offendano; e cedendo sempre spontaneamente, e
contentandosi del menomo22 in ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia
luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato.23 Ma dalla molestia
degli uomini mi liberai facilmente, separandomi dalla loro società, e riducendomi
45 in solitudine: cosa che nell’isola mia nativa si può recare ad effetto senza
difficoltà. Fatto questo, e vivendo senza quasi verun’immagine24 di piacere, io
non poteva mantenermi però senza patimento: perché la lunghezza del verno,25
l’intensità del freddo, e l’ardore estremo della state,26 che sono qualità di quel
luogo, mi travagliavano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi conveniva
50 passare una gran parte del tempo, m’inaridiva le carni, e straziava gli occhi col
fumo; di modo che, né in casa né a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo
disagio. Né anche potea conservare quella tranquillità della vita, alla quale
principalmente erano rivolti i miei pensieri: perché le tempeste spaventevoli
di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla,27 il sospetto degl’incendi,
55 frequentissimi negli alberghi,28 come sono i nostri, fatti di legno, non intermettevano29
mai di turbarmi. Tutte le quali incomodità in una vita sempre conforme
a se medesima, e spogliata di qualunque altro desiderio e speranza, e
quasi di ogni altra cura, che d’esser quieta; riescono di non poco momento,30 e
molto più gravi che elle non sogliono apparire quando la maggior parte dell’animo
60 nostro è occupata dai pensieri della vita civile, e dalle avversità che provengono
dagli uomini. Per tanto veduto che più che io mi ristringeva e quasi mi
contraeva in me stesso,31 a fine d’impedire che l’esser mio non desse noia né
danno a cosa alcuna del mondo; meno mi veniva fatto che le altre cose non
m’inquietassero e ▶ tribolassero; mi posi a cangiar luoghi e climi, per vedere se in
65 alcuna parte della terra potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo
non patire. E a questa deliberazione fui mosso anche da un pensiero che mi
nacque,32 che forse tu non avessi destinato al genere umano se non solo un clima
della terra (come tu hai fatto a ciascuno degli altri generi degli animali, e di
quei delle piante), e certi tali luoghi; fuori dei quali gli uomini non potessero
70 prosperare né vivere senza difficoltà e miseria; da dover essere imputate, non a
te, ma solo a essi medesimi, quando eglino avessero disprezzati e trapassati i
termini33 che fossero prescritti per le tue leggi alle abitazioni umane. Quasi tutto
il mondo ho cercato, e fatta esperienza di quasi tutti i paesi; sempre osservando
il mio proposito, di non dar molestia alle altre creature, se non il meno che io
75 potessi, e di procurare la sola tranquillità della vita. Ma io sono stato arso dal
caldo fra i tropici, rappreso34 dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati
dall’incostanza dell’aria, infestato dalle commozioni degli elementi35 in ogni
dove. Più luoghi ho veduto, nei quali non passa un dì senza temporale: che è
quanto dire che tu dai ciascun giorno un assalto e una battaglia formata36 a quegli
80 abitanti, non rei37 verso te di nessun’ingiuria. In altri luoghi la serenità ordinaria
del cielo è compensata dalla frequenza dei terremoti, dalla moltitudine e
dalla furia dei vulcani, dal ribollimento sotterraneo di tutto il paese. Venti e
turbini smoderati regnano nelle parti e nelle stagioni tranquille dagli altri furori
dell’aria. Tal volta io mi ho sentito crollare il tetto in sul capo pel gran carico
85 della neve, tal altra, per l’abbondanza delle piogge la stessa terra, fendendosi, mi
si è dileguata di sotto ai piedi; alcune volte mi è bisognato fuggire a tutta lena38
dai fiumi, che m’inseguivano, come fossi colpevole verso loro di qualche ingiuria.
Molte bestie salvatiche, non provocate da me con una menoma offesa, mi
hanno voluto divorare; molti serpenti avvelenarmi; in diversi luoghi è mancato
90 poco che gl’insetti volanti non mi abbiano consumato infino alle ossa. Lascio i
pericoli giornalieri, sempre imminenti all’uomo, e infiniti di numero; tanto che
un filosofo antico39 non trova contro al timore, altro rimedio più valevole della
considerazione che ogni cosa è da temere. Né le infermità mi hanno perdonato;
con tutto che io fossi, come sono ancora, non dico temperante, ma continente40
95 dei piaceri del corpo. Io soglio prendere non piccola ammirazione41 considerando
come tu ci abbi infuso tanta e sì ferma e insaziabile avidità del piacere; disgiunta
dal quale la nostra vita, come priva di ciò che ella desidera naturalmente,
è cosa imperfetta: e da altra parte abbi ordinato che l’uso di esso piacere sia
quasi di tutte le cose umane la più nociva alle forze e alla sanità del corpo, la più
100 calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna persona, e la più contraria alla
durabilità della stessa vita. Ma in qualunque modo, astenendomi quasi sempre
e totalmente da ogni diletto, io non ho potuto fare di non incorrere in molte e
diverse malattie: delle quali alcune mi hanno posto in pericolo della morte; altre
di perdere l’uso di qualche membro, o di condurre perpetuamente una vita più
105 misera che la passata; e tutte per più giorni o mesi mi hanno oppresso il corpo
e l’animo con mille stenti e mille dolori. E certo, benché ciascuno di noi sperimenti
nel tempo delle infermità, mali per lui nuovi o disusati, e infelicità maggiore
che egli non suole (come se la vita umana non fosse bastevolmente misera
per l’ordinario);42 tu non hai dato all’uomo, per compensarnelo, alcuni
110 tempi di sanità soprabbondante e inusitata, la quale gli sia cagione di qualche
diletto straordinario per qualità e per grandezza. Ne’ paesi coperti per lo più di
nevi, io sono stato per accecare: come interviene ordinariamente ai Lapponi43
nella loro patria. Dal sole e dall’aria, cose vitali, anzi necessarie alla nostra vita,
e però da non potersi fuggire, siamo ingiuriati di continuo: da questa colla umidità,
115 colla rigidezza,44 e con altre disposizioni; da quello col calore, e colla stessa
luce: tanto che l’uomo non può mai senza qualche maggiore o minore incomodità
o danno, starsene esposto all’una o all’altro di loro. In fine, io non mi ricordo
aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena; laddove45 io non
posso numerare quelli che ho consumati senza pure un’ombra di godimento:
120 mi avveggo che tanto ci è destinato e necessario il patire, quanto il non godere;
tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo, quanto il vivere inquieto
senza miseria: e mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini,
e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora
ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti;
125 e che, per costume e per instituto,46 sei carnefice della tua propria famiglia,
de’ tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto
rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono47 di
perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o di occultarsi;
ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d’incalzarci, finché ci opprimi.
130 E già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubre della vecchiezza; vero e
manifesto male, anzi cumulo di mali e di miserie gravissime; e questo tuttavia
non accidentale, ma destinato da te per legge a tutti i generi de’ viventi, preveduto
da ciascuno di noi fino nella fanciullezza, e preparato in lui di continuo, dal
quinto suo lustro in là,48 con un tristissimo declinare e perdere senza sua colpa:
135 in modo che appena un terzo della vita degli uomini è assegnato al fiorire, pochi
istanti alla maturità e perfezione, tutto il rimanente allo scadere, e agl’incomodi
che ne seguono.