T19 ANALISI ATTIVA - Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare

T19

Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare

Operette morali, 11

I personaggi di questa operetta – scritta tra il 1° e il 10 giugno 1824 – sono il poeta Torquato Tasso e il “Genio familiare”, quasi la voce della propria coscienza, con la quale l’autore della Gerusalemme liberata si pone a confronto. Leopardi immagina che il dialogo abbia avuto luogo a Ferrara, nell’ospedale di Sant’Anna, dove Tasso era stato rinchiuso nel marzo del 1579, dopo che, in un accesso di follia, aveva dato in escandescenze contro il duca Alfonso II d’Este (vi rimarrà recluso per sette lunghi anni).

GENIO Come stai, Torquato?
TASSO Ben sai come si può stare in una prigione, e dentro ai guai fino al collo.
GENIO Via, ma dopo cenato non è tempo da dolersene.1 Fa buon animo, e ridiamone
insieme.2
5      TASSO Ci son poco atto.3 Ma la tua presenza e le tue parole sempre mi consolano.
Siedimi qui accanto.
GENIO Che io segga? La non è già cosa facile a uno spirito. Ma ecco: fa conto ch’io
sto seduto.
TASSO Oh potess’io rivedere la mia Leonora.4 Ogni volta che ella mi torna alla
10    mente, mi nasce un brivido di gioia, che dalla cima del capo mi si stende fino
all’ultima punta de’ piedi; e non resta in me nervo né vena che non sia scossa.
Talora, pensando a lei, mi si ravvivano nell’animo certe immagini e certi
affetti,5 tali, che per quel poco tempo, mi pare di essere ancora quello stesso
Torquato che fui prima di aver fatto esperienza delle sciagure e degli uomini, e
15    che ora io piango tante volte per morto. In vero, io direi che l’uso del mondo,6
e l’esercizio de’ patimenti,7 sogliono come profondare e sopire dentro a ciascuno
di noi quel primo uomo che egli era:8 il quale di tratto in tratto si desta per
poco spazio, ma tanto più di rado quanto è il progresso9 degli anni; sempre più
poi si ritira verso il nostro intimo, e ricade in maggior sonno di prima; finché
20    durando ancora la nostra vita, esso muore. In fine, io mi maraviglio come il
pensiero di una donna abbia tanta forza, da rinnovarmi, per così dire, l’anima,
e farmi dimenticare tante calamità.10 E se non fosse che io non ho più speranza
di rivederla, crederei non avere ancora perduta la facoltà di essere felice.
GENIO Quale delle due cose stimi che sia più dolce: vedere la donna amata, o
25    pensarne?
TASSO Non so. Certo che quando mi era presente ella mi pareva una donna; lontana,
mi pareva e mi pare una dea.
GENIO Coteste dee sono così benigne, che quando alcuno vi si accosta, in un tratto
ripiegano la loro divinità, si spiccano11 i raggi d’attorno, e se li pongono in tasca,
30    per non abbagliare il mortale che si fa innanzi.
TASSO Tu dici il vero pur troppo. Ma non ti pare egli cotesto un gran peccato delle
donne; che alla prova,12 elle ci riescano13 così diverse da quelle che noi le 
immaginavamo?

GENIO Io non so vedere che colpa s’abbiano in questo, d’esser fatte di carne e
35    sangue, piuttosto che di ambrosia e nettare.14 Qual cosa del mondo ha pure
un’ombra o una millesima parte della perfezione che voi pensate che abbia
a essere15 nelle donne? E anche mi pare strano, che non facendovi maraviglia
che gli uomini sieno uomini, cioè creature poco lodevoli e poco amabili; non
sappiate poi comprendere come accada, che le donne in fatti non sieno angeli.
40    TASSO Con tutto questo, io mi muoio dal desiderio di rivederla, e di riparlarle.
GENIO Via, questa notte in sogno io te la condurrò davanti; bella come la gioventù;
e cortese in modo, che tu prenderai cuore di favellarle16 molto più franco e
spedito che non ti venne fatto mai per l’addietro:17 anzi all’ultimo le stringerai
la mano; ed ella guardandoti fiso,18 ti metterà nell’animo una dolcezza tale,
45    che tu ne sarai sopraffatto; e per tutto domani, qualunque volta ti sovverrà19 di
questo sogno, ti sentirai balzare il cuore dalla tenerezza.
TASSO Gran conforto: un sogno in cambio del vero.
GENIO Che cosa è il vero?20
TASSO Pilato non lo seppe meno di quello che lo so io.
50    GENIO Bene, io risponderò per te. Sappi che dal vero al sognato, non corre altra
differenza, se non che questo può qualche volta essere molto più bello e più
dolce, che quello non può mai.
Tasso Dunque tanto vale un diletto sognato, quanto un diletto vero?
GENIO Io credo. Anzi ho notizia di uno che quando la donna che egli ama, se gli
55    rappresenta dinanzi in alcun sogno gentile, esso per tutto il giorno seguente,
fugge di ritrovarsi con quella e di rivederla; sapendo che ella non potrebbe
reggere al paragone dell’immagine che il sonno gliene ha lasciata impressa, e
che il vero, cancellandogli dalla mente il falso, priverebbe lui del diletto straordinario
che ne ritrae.21 Però22 non sono da condannare gli antichi, molto più
60    solleciti, accorti e industriosi di voi, circa a ogni sorta di godimento possibile
alla natura umana, se ebbero per costume di procurare in vari modi la dolcezza
e la giocondità dei sogni; né Pitagora23 è da riprendere per avere interdetto24
il mangiare delle fave, creduto contrario alla tranquillità dei medesimi sogni,
ed atto a intorbidarli; e sono da scusare i superstiziosi che avanti di coricarsi
65    solevano orare25 e far libazioni26 a Mercurio conduttore27 dei sogni, acciò28 ne
menasse29 loro di quei lieti; l’immagine del quale tenevano a quest’effetto intagliata
in su’ piedi delle lettiere.30 Così, non trovando mai la felicità nel tempo
della vigilia,31 si studiavano32 di essere felici dormendo: e credo che in parte, e
in qualche modo, l’ottenessero; e che da Mercurio fossero esauditi meglio che
70    dagli altri Dei.
TASSO Per tanto, poiché gli uomini nascono e vivono al33 solo piacere, o del corpo
o dell’animo; se da altra parte il piacere è solamente o massimamente nei sogni,
converrà ci determiniamo a vivere per sognare: alla qual cosa, in verità, io
non mi posso ridurre.
75    GENIO Già vi sei ridotto e determinato, poiché tu vivi e che tu consenti di vivere.
Che cosa è il piacere?
TASSO Non ne ho tanta pratica da poterlo conoscere che cosa sia.
GENIO Nessuno lo conosce per pratica, ma solo per ispeculazione:34 perché il piacere
è un subbietto35 speculativo, e non reale; un desiderio, non un fatto; un
80    sentimento che l’uomo concepisce col pensiero, e non prova; o per dir meglio,
un concetto e non un sentimento. Non vi accorgete voi che nel tempo stesso di
qualunque vostro diletto, ancorché36 desiderato infinitamente, e procacciato37
con fatiche e molestie indicibili; non potendovi contentare il goder che fate in
ciascuno di quei momenti, state sempre aspettando un goder maggiore e più
85    vero, nel quale consista insomma quel tal piacere; e andate quasi riportandovi
di continuo agl’istanti futuri di quel medesimo diletto? Il quale finisce sempre
innanzi al giungere dell’istante che vi soddisfaccia; e non vi lascia altro bene
che la speranza cieca di goder meglio e più veramente in altra occasione, e il
conforto di fingere38 e narrare a voi medesimi di aver goduto, con raccontarlo
90    anche agli altri, non per sola ambizione,39 ma per aiutarvi al persuaderlo che
vorreste pur fare a voi stessi.40 Però chiunque consente41 di vivere, nol fa42 in
sostanza ad altro effetto43 né con altra utilità che di sognare; cioè credere di
avere a godere,44 o di aver goduto; cose ambedue false e fantastiche.45
TASSO Non possono gli uomini credere mai di godere presentemente?46
95    GENIO Sempre che credessero cotesto, godrebbero in fatti.47 Ma narrami tu se in alcun
istante della tua vita, ti ricordi aver detto con piena sincerità ed opinione:48
io godo. Ben tutto giorno49 dicesti e dici sinceramente: io godrò; e parecchie
volte, ma con sincerità minore: ho goduto. Di modo che il piacere è sempre o
passato o futuro, e non mai presente.
100  TASSO Che è quanto dire è sempre nulla.50
GENIO Così pare.
TASSO Anche nei sogni.
GENIO Propriamente parlando.
TASSO E tuttavia l’obbietto e l’intento della vita nostra, non pure essenziale ma
105  unico, è il piacere stesso; intendendo per piacere la felicità, che debbe in effetto
esser piacere; da qualunque cosa ella abbia a procedere.51

GENIO Certissimo.
TASSO Laonde la nostra vita, mancando sempre del suo fine, è continuamente imperfetta:
e quindi il vivere è di sua propria natura uno stato violento.52
110 GENIO Forse.
TASSO Io non ci veggo forse. Ma dunque perché viviamo noi? voglio dire, perché
consentiamo di vivere?
GENIO Che so io di cotesto? Meglio lo saprete voi, che siete uomini.
TASSO Io per me ti giuro che non lo so.
115 GENIO Domandane altri de’ più savi, e forse troverai qualcuno che ti risolva cotesto
dubbio.
TASSO Così farò. Ma certo questa vita che io meno,53 è tutta uno stato violento:
perché lasciando anche da parte i dolori, la noia sola mi uccide.
GENIO Che cosa è la noia?
120 TASSO Qui l’esperienza non mi manca, da soddisfare alla tua domanda. A me
pare che la noia sia della natura dell’aria: la quale riempie tutti gli spazi
interposti alle54 altre cose materiali, e tutti i vani55
contenuti in ciascuna di loro; e donde un corpo si
parte,56 e altro non gli sottentra,57 quivi ella succede58
125 immediatamente. Così tutti gl’intervalli
della vita umana frapposti ai piaceri e ai dispiaceri,
sono occupati dalla noia. E però, come nel
mondo materiale, secondo i Peripatetici,59 non
si dà vòto alcuno;60 così nella vita nostra non si
130 dà vòto; se non quando la mente per qualsivoglia
causa intermette61 l’uso del pensiero. Per tutto il resto
del tempo, l’animo, considerato anche in se proprio
e come disgiunto dal corpo, si trova contenere
qualche passione; come quello a cui62 l’essere vacuo
135 da ogni piacere e dispiacere, importa63 essere pieno di
noia, la quale anco è passione, non altrimenti che il
dolore e il diletto.
GENIO E da poi che tutti i vostri diletti sono di materia
simile ai ragnateli; tenuissima, radissima e trasparente;
140 perciò come l’aria in questi, così la noia
penetra in quelli da ogni parte, e li riempie. Veramente
per la noia non credo si debba intendere altro
che il desiderio puro della felicità; non soddisfatto
dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere.
145 Il buon desiderio, come dicevamo poco innanzi, non è
mai soddisfatto; e il piacere propriamente non si
trova. Sicché la vita umana, per modo di dire, è
composta e intessuta, parte di dolore, parte di noia; dall’una delle quali passioni
non ha riposo se non cadendo nell’altra. E questo non è tuo destino particolare,
150 ma comune di tutti gli uomini.
TASSO Che rimedio potrebbe giovare contro la noia?
GENIO Il sonno, l’oppio, e il dolore. E questo è il più potente di tutti; perché l’uomo
mentre patisce, non si annoia per niuna maniera.
TASSO In cambio di cotesta medicina, io mi contento di annoiarmi tutta la vita. Ma
155 pure la varietà delle azioni, delle occupazioni e dei sentimenti, se bene non
ci libera dalla noia, perché non ci crea diletto vero,64 contuttociò65 la solleva
ed alleggerisce. Laddove66 in questa prigionia, separato dal commercio umano,67
toltomi eziandio68 lo scrivere, ridotto a notare per passatempo i tocchi
dell’oriuolo, annoverare i correnti,69 le fessure e i tarli del palco,70 considerare
160 il mattonato del pavimento, trastullarmi colle farfalle e coi moscherini che
vanno attorno alla stanza, condurre quasi tutte le ore a un modo;71 io non ho
cosa che mi scemi72 in alcuna parte il carico73 della noia.
GENIO Dimmi: quanto tempo ha74 che tu sei ridotto a cotesta forma di vita?
TASSO Più settimane, come tu sai.
165 GENIO Non conosci tu dal primo giorno al presente, alcuna diversità nel fastidio
che ella ti reca?
TASSO Certo che io lo provava maggiore a principio: perché di mano in mano la
mente, non occupata da altro e non isvagata,75 mi si viene accostumando76 a
conversare seco medesima assai più e con maggior sollazzo77 di prima, e acquistando
170 un abito e una virtù78 di favellare in se stessa, anzi di cicalare, tale,
che parecchie volte mi pare quasi avere una compagnia di persone in capo che
stieno ragionando, e ogni menomo79 soggetto che mi si appresenti al pensiero,
mi basta a farne tra me e me una gran diceria.80
GENIO Cotesto abito81 te lo vedrai confermare e accrescere di giorno in giorno per
175 modo, che quando poi ti si renda la facoltà di usare82 cogli altri uomini, ti
parrà essere più disoccupato stando in compagnia loro, che in solitudine. E
quest’assuefazione in sì fatto tenore di vita, non credere che intervenga83 solo
a’ tuoi simili, già consueti a meditare; ma ella interviene in più o men tempo a
chicchessia. Di più, l’essere diviso dagli uomini e, per dir così, dalla vita stessa,
180 porta seco questa utilità; che l’uomo, eziandio sazio, chiarito84 e disamorato
delle cose umane per l’esperienza; a poco a poco assuefacendosi di nuovo a
mirarle da lungi,85 donde86 elle paiono molto più belle e più degne che da vicino,
si dimentica della loro vanità e miseria; torna a formarsi e quasi crearsi il
mondo a suo modo; apprezzare, amare e desiderare la vita; delle cui speranze,
185 se non gli è tolto o il potere o il confidare di restituirsi alla società degli uomini,
si va nutrendo e dilettando, come egli soleva a’ suoi primi anni. Di modo
che la solitudine fa quasi l’ufficio della gioventù; o certo ringiovanisce l’animo,
ravvalora87 e rimette in opera l’immaginazione, e rinnuova nell’uomo esperimentato88
i beneficii di quella prima inesperienza che tu sospiri.89 Io ti lascio;
190 che veggo che il sonno ti viene entrando; e me ne vo ad apparecchiare il bel sogno
che ti ho promesso. Così, tra sognare e fantasticare, andrai consumando la
vita; non con altra utilità che di consumarla; che questo è l’unico frutto che al
mondo se ne può avere, e l’unico intento che voi vi dovete proporre ogni mattina
in sullo svegliarvi. Spessissimo ve la conviene strascinare co’ denti: beato
195 quel dì che potete o trarvela dietro colle mani, o portarla in sul dosso.90 Ma, in
fine, il tuo tempo non è più lento a correre in questa carcere, che sia nelle sale
e negli orti91 quello di chi ti opprime. Addio.
TASSO Addio. Ma senti. La tua conversazione mi riconforta pure assai. Non che ella
interrompa la mia tristezza: ma questa per la più parte del tempo è come una
200 notte oscurissima, senza luna né stelle; mentre son teco, somiglia al bruno92
dei crepuscoli, piuttosto grato93 che molesto. Acciò94 da ora innanzi io ti possa
chiamare o trovare quando mi bisogni, dimmi dove sei solito di abitare.
GENIO Ancora non l’hai conosciuto?95 In qualche liquore generoso.

 >> pagina 137 

ANALISI ATTIVA

I contenuti tematici

Il dialogo si sofferma su molti dei temi che ricorrono nell’opera leopardiana: il motivo del sogno contrapposto alla realtà, e come il primo apporti una felicità che la seconda finisce per distruggere; il tema del piacere, che appartiene sempre al passato o al futuro e mai al tempo presente; quello della noia, condizione che occupa tutti gli intervalli temporali tra il piacere e il dolore; l’opportunità di non pensare allo scopo dell’esistenza, perché forse uno scopo non c’è e, se c’è, è semplicemente quello di far passare la vita stessa “ammazzando il tempo” (e comunque, in ogni caso, l’approdo finale è al nulla). Alcuni di questi argomenti erano già stati sviluppati in modi diversi nei Canti (per esempio nella Canzone ad Angelo Mai) e in altre operette morali (come Storia del genere umano); saranno poi ripresi in operette successive (come il Dialogo tra Plotino e Porfirio) e nelle poesie più tarde.

1. Suddividi il testo in sequenze tematiche sulla base dei diversi motivi sopra elencati.

Sollecitato dal Genio, Torquato afferma qui, a proposito della donna amata: Quando mi era presente, ella mi pareva una donna; lontana, mi pareva e mi pare una dea (rr. 26-27). La lontananza della figura femminile, insomma, ne accresce il fascino, poiché, in sua assenza, la mente dell’uomo lavora attribuendole tutte le perfezioni possibili. Concetti simili si troveranno in Aspasia, una sorta di poesia-trattato della maturità (composta forse nel 1834), in cui viene formulata una precisa teoria dell’amore (di come l’uomo si innamori e provi amore per la donna; ma il discorso, ovviamente, può essere ribaltato quanto al genere dei soggetti coinvolti):


Raggio divino al mio pensiero apparve,

donna, la tua beltà.

[...]

Vagheggia

il piagato mortal quindi la figlia

della sua mente, l’amorosa idea,

che gran parte d’Olimpo in sé racchiude,

tutta al volto ai costumi alla favella

pari alla donna che il rapito amante

vagheggiare ed amar confuso estima


[O donna, la tua bellezza mi è apparsa come un raggio di luce divina. L’uomo ferito (della ferita d’amore) immagina a partire da qui (quindi, cioè dalla donna reale) la figlia della propria mente, l’“amorosa idea”, che contiene in sé gran parte della perfezione divina (d’Olimpo); tale “amorosa idea” è del tutto simile – nel viso, negli atteggiamenti, nella voce – alla donna reale, che l’amante, ingannato (rapito) ritiene, nella propria confusione, di desiderare e di amare (mentre in realtà desidera e ama l’“amorosa idea”)].

Tale teoria richiama a sua volta quella della “cristallizzazione” dello scrittore francese Stendhal (esposta nel suo trattato Sull’amore, 1822): «Lasciate lavorare la testa di un amante per ventiquattr’ore, ed ecco cosa troverete. Alle miniere di sale di Salisburgo, si getta, nelle profondità abbandonate della miniera, un rametto d’albero spoglio a causa dell’inverno; due o tre mesi dopo lo si ritrae coperto di cristallizzazioni brillanti: i rami più piccoli, quelli che non sono più grossi della zampina di una cinciallegra, sono guarniti d’una infinità di diamanti, mobili e abbaglianti; è impossibile riconoscere il rametto primitivo. Quel che chiamo cristallizzazione, è l’operazione dello spirito che trae da tutto ciò che si presenta la scoperta di nuove perfezioni nell’oggetto amato».

L’operetta leopardiana pare esemplificare il concetto stendhaliano, configurando quel processo di idealizzazione che finisce per conferire all’oggetto amato tutte le qualità sognate e per accendere il meccanismo del piacere, sempre legato a un «senso indefinito che si prova nei sogni o nelle immaginazioni dell’infanzia» (Bazzocchi). Non è infatti la donna reale a dare piacere ma ciò che noi immaginiamo che essa sia, in quanto spirito e icona della giovinezza e come tale simbolo trasfigurato di perfezione; allo stesso modo – più in generale – dà piacere non la realtà ma il sogno, come il Genio garantisce al suo interlocutore: per tutto domani, qualunque volta ti sovverrà di questo sogno, ti sentirai balzare il cuore dalla tenerezza (rr. 45-46).

 >> pagina 138 

2. Metti in relazione i concetti espressi da Stendhal nel brano sopra riportato con la situazione che viene rappresentata nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare.


3. Nell’operetta che stiamo analizzando, quale dei due interlocutori sostiene il punto di vista della teoria leopardiana del piacere? Qual è l’atteggiamento dell’altro?


4. Perché, in base a quanto viene detto dal Genio, le persone tendono a parlare agli altri dei (presunti) piaceri che hanno goduto?

Strettamente collegata alla teoria del piacere è la concezione leopardiana della noia. Ogni spazio della vita umana che non sia occupato né dal piacere né dal dolore viene colmato da essa. Non può esistere infatti nella vita umana un vuoto assoluto di passioni: per Leopardi, la noia è essa stessa una passione. Anzi, la noia viene presentata qui come passione al massimo grado di intensità, quasi una forma di follia: un desiderio assoluto di felicità, destinato a essere frustrato. E poiché il piacere, come si è visto, non esiste, ecco allora che la vita umana è fatta di un’alternanza di dolore e di noia, dall’una delle quali passioni non ha riposo se non cadendo nell’altra (rr. 147-148). Questo è il destino non soltanto di Torquato Tasso, ma di tutti gli esseri umani.

 >> pagina 139 

5. Quale personaggio del dialogo espone per primo la concezione leopardiana della noia (che viene poi completata dall’altro)?


6. Quali possibili rimedi contro la noia vengono individuati dal Genio?


7. Quali sono gli unici passatempi per Tasso prigioniero?


8. La sua condizione di recluso va peggiorando o migliorando con il tempo? perché?


9. Parafrasa la seguente frase pronunciata dal Genio: Ma, in fine, il tuo tempo non è più lento a correre in questa carcere, che sia nelle sale e negli orti quello di chi ti opprime (rr. 194-196). Quale concetto esprime?

Le scelte stilistiche

Il personaggio leopardiano di Tasso è qui presentato come una sorta di “nuovo Socrate”, perché già il filosofo antico (a quanto ci viene detto nei Dialoghi di Platone) aveva l’abitudine di parlare con uno “spirito amico”, un interlocutore immaginario con cui confrontarsi nelle discussioni tra sé e sé. Lo “spirito familiare” è dunque, qui, un alter ego interiore, la voce della coscienza. Da ciò il tono pacato e colloquiale (talora ironico: Che io segga? La non è già cosa facile a uno spirito, r. 7) e il lessico di livello medio e familiare. Alcune formule affermative e dubitative presenti nel testo leopardiano rimandano al tipico intercalare dei dialoghi platonici (Così pare, r. 101; Propriamente parlando, r. 103; Certissimo, r. 107; Forse, r. 110 ecc.). Va ricordato, infine, che Tasso stesso, in un dialogo intitolato Il Messaggiero, aveva immaginato di conversare con uno spirito, parlando dei propri sogni e della propria infelicità.

10. Rintraccia nel dialogo altri esempi di ironia.


11. Il personaggio di Tasso è occasionalmente caratterizzato, sul piano linguistico, con alcuni termini dell’italiano cinquecentesco, che già ai tempi di Leopardi potevano con molta probabilità suonare arcaici. Prova a individuarne qualcuno.


12. Scrivere per raccontare Il testo letto affronta, tra gli altri, il tema della noia, visto come il peggiore dei mali. Concordi con tale valutazione? Ti capita di provare in prima persona questa condizione? Come tendi a reagire a essa? Parlane in un testo di 30 righe.

Classe di letteratura - Giacomo Leopardi
Classe di letteratura - Giacomo Leopardi