Il filone “cosmicomico” e postmoderno

Il filone “cosmicomico” e postmoderno

Nel 1967 Calvino si trasferisce a Parigi e vi rimane fino al 1980. Nella capitale francese egli ha modo di frequentare i seminari di Roland Barthes e dell’antropologo Claude Lévi-Strauss (1908-2009), di entrare in contatto con il filosofo Michel Foucault, ma soprattutto di assimilare le teorie e i metodi dello Strutturalismo, l’orientamento di pensiero, affermatosi in diverse discipline (dalla linguistica all’antropologia, dalla sociologia alla matematica), fondato sul presupposto che ogni oggetto di studio costituisca una struttura, ossia un insieme organico e globale i cui elementi sono gli uni in relazione con gli altri e traggono da ciò il proprio senso e la propria identità.
Nei testi elaborati in questi anni e in questo clima culturale, l’autore si cimenta in particolare con i ▶ meccanismi combinatori, giocando in modo virtuosistico con i rapporti, gli intrecci e gli incastri possibili tra diversi nuclei narrativi. Partendo da un segno o da un’idea limitata del mondo, Calvino cerca le combinazioni con altri segni per tentare di individuare un significato nel complesso disordine della realtà.

LE COSMICOMICHE

Sono 12 racconti scritti tra il 1963 e il 1964 e pubblicati in volume nel 1965; a quest’opera seguirà, nel 1967, Ti con zero, con cui andrà a formare, nel 1984, il libro Cosmicomiche vecchie e nuove. Sebbene al tempo dei primi racconti l’autore non risiedesse ancora in Francia, la raccolta risente già dell’atmosfera che caratterizzerà gli anni parigini, in cui maturerà l’interesse per il rapporto tra scienza e letteratura, per un tipo di narrativa intesa come procedimento combinatorio e per l’embrionale fenomeno del Postmoderno, che proprio della ricombinazione di elementi eterogenei farà una delle sue caratteristiche fondanti.

Tra scienza e letteratura Prendendo spunto da scoperte scientifiche e astronomiche, da diverse ipotesi sull’origine del cosmo e sull’evoluzione della vita, da teorie biologiche e cibernetiche, Calvino inventa una serie di situazioni in cui convivono contesti fantastici ed esperienze quotidianedall’attrito tra queste due dimensioni scaturisce la componente comica dei testi. Testimone oculare e narratore delle vicende è uno strano personaggio dal nome impronunciabile e palindromo (così sono dette le parole che, lette da sinistra o da destra, sono identiche), Qfwfq, che, come un vecchio saggio, espone nei suoi monologhi i casi iperbolici di cui è stato testimone.

Il protagonista Del protagonista e voce narrante non si sa quasi nulla, tranne che ha più o meno l’età dell’universo e che di esso conosce ogni luogo e ogni tempo; non a caso porta un nome (Qfwfq) palindromo, quasi a simboleggiare l’atemporalità e l’aspazialità che lo contraddistinguono. Secondo Calvino, non è neppure un personaggio vero e proprio, ma piuttosto «un punto di vista, un occhio (o un ammicco) umano proiettato sulla realtà d’un mondo che pare sempre più refrattario alla parola e all’immagine». La sua importanza non risiede nel compiere azioni, quanto nel ricordare la storia dell’universo, nell’essere la «memoria del mondo» (come recita il titolo di una cosmicomica del 1967).

LE CITTÀ INVISIBILI

Il romanzo, pubblicato nel 1972, è il primo in cui Calvino applica integralmente i procedimenti della letteratura combinatoria. Marco Polo, ambasciatore dell’imperatore dei tartari Kublai Khan, descrive a quest’ultimo le città che all’interno del vastissimo impero il sovrano non ha mai avuto il tempo di visitare.

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L’ordine della scrittura e la molteplicità del reale L’opera è divisa in 9 capitoli i quali accolgono le descrizioni di 55 città, indicate con nomi di donna che fanno riferimento alla cultura classica. Ogni capitolo è aperto e chiuso da brevi presentazioni e dai dialoghi tra Marco Polo e l’imperatore, che ne costituiscono dunque la cornice, mentre ogni città viene classificata entro una delle 11 possibili categorie individuate dall’autore (“Le città e la memoria”, “Le città e il desiderio”, “Le città e i segni”, “Le città sottili”, “Le città e gli scambi”, “Le città e gli occhi”, “Le città e il nome”, “Le città e i morti”, “Le città e il cielo”, “Le città continue” e “Le città nascoste”). Calvino ottiene così una struttura rigorosamente simmetrica che garantisce unità all’opera, le cui parti possono però essere lette anche autonomamente.
La pratica della riscrittura (i riferimenti al Milione sono espliciti) e la mescolanza di vari generi, dalla favola allegorica al racconto filosofico, dal trattato alla novella, sono aspetti che anticipano le caratteristiche tipiche della letteratura postmoderna. Sulla dimensione simbolica dei racconti di Marco Polo agisce inoltre il filtro dei ricordi e della fantasia, che abbatte il tempo e lo spazio: poiché, come scrive l’autore, le cose «valgono non per se stesse ma come segni d’altre cose», le città descritte si rivelano in realtà altrettanti travestimenti della città natale di Marco Polo, Venezia, e i rapporti tra di esse sono sempre determinati da una logica combinatoria che attiva o dissolve le relazioni tra le innumerevoli forze che costituiscono una realtà molteplice e indecifrabile.

IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI

Tra le opere di Calvino, questo è forse il testo combinatorio per eccellenza. Pubblicato in parte nel 1969, il romanzo esce in edizione definitiva nel 1973, con l’aggiunta di una seconda sezione, La taverna dei destini incrociati, e di un’importante postfazione.

L’intreccio di un racconto senza fine L’opera prende avvio da una tipica situazione della tradizione novellistica: un cavaliere medievale cerca ospitalità in un castello e siede al tavolo con altri commensali, ma a causa di un sortilegio nessuno è in grado di proferire parola. Da qui il ricorso a un linguaggio “altro”: per comunicare, i personaggi estraggono da un mazzo di tarocchi alcune carte (riprodotte ai margini della pagina stampata) e le dispongono sul tavolo, combinandole in innumerevoli serie di figure e di segni che assumono di volta in volta particolari significati. Ogni narratore sviluppa così una propria storia componendo con le carte una diversa immagine. Le vicende rimandano a novelle antiche e a episodi celebri della letteratura cavalleresca (per esempio “Storia dell’Orlando pazzo per amore”, “Storia di Astolfo sulla Luna”), ma il loro intreccio sottintende una concezione dell’esistenza umana come gigantesco e inestricabile labirinto, in cui gli eventi accadono in modo casuale e assumono senso e contenuto diversi a seconda del contesto, delle interpretazioni, dell’ordine e dei rapporti esistenti tra le cose.

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SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE

Un metaromanzo Pubblicata nel 1979, quest’opera è considerata, insieme a Il nome della rosa (1980) di Umberto Eco, uno dei primi esempi italiani di romanzo postmoderno. Infatti in Se una notte d’inverno un viaggiatore non compare una storia che evolve verso una soluzione più o meno problematica; al contrario, Calvino insiste sulla dimensione metanarrativa (quella cioè di una narrazione che si interroga sui suoi stessi meccanismi), conducendo il lettore a riflettere sul proprio ruolo di fruitore attivo dell’opera, indispensabile per conferire senso alla scrittura.

Lo scacco della ragione I protagonisti, indicati con i nomi generici di Lettore e Lettrice, non riescono a concludere la lettura di un romanzo intitolato Se una notte d’inverno un viaggiatore perché il volume, per un errore di stampa, risulta interrotto. Tornati in libreria, i due iniziano una quête (cioè una “ricerca”) che li conduce sulle tracce del testo perduto attraverso gli incipit di altre dieci storie, ciascuna riconducibile a un diverso genere narrativo (giallo, horror, fantascienza e così via). Il tentativo risulta però irrealizzabile: è infatti impossibile trovare un libro che “dica” interamente la realtà – come essi desidererebbero –, perché quest’ultima è ormai illeggibile e non si lascia decodificare fino in fondo. In altri termini, non può più esistere un romanzo che abbia un inizio e una fine e che sappia rappresentare la realtà in modo coerente, organico e compiuto: si può dar vita solo a una macchina narrativa che rifletta su sé stessa e contemporaneamente dimostri lo scacco della ragione illuministica, ormai non più in grado di conferire un significato al mondo.

PALOMAR

L’inconoscibilità del reale Il protagonista di questo romanzo, uscito nel 1983, è il signor Palomar, un uomo la cui principale occupazione è scrutare la realtà (non a caso il suo nome deriva dall’osservatorio astronomico Palomar, situato nella contea americana di San Diego). Dalle sue osservazioni – di un’onda, di un seno nudo, della corsa delle giraffe o della luna di pomeriggio – scaturiscono pensieri che in parte si sviluppano in narrazione, in parte rendono conto di riflessioni maggiormente speculative riguardanti, come leggiamo nell’opera, «il cosmo, il tempo, l’infinito, i rapporti tra l’io e il mondo, le dimensioni della mente». Tuttavia, l’accanimento maniacale con cui Palomar cerca di ordinare i dettagli di ciò che vede risulta insufficiente a cogliere e a rappresentare i confini esatti della realtà oggettiva, che si rivela sempre opaca e inconoscibile.

SOTTO IL SOLE GIAGUARO

È una raccolta di racconti uscita postuma, nel 1986. Il progetto compositivo includeva la presenza di cinque racconti, ognuno dedicato a uno dei cinque sensi, ma l’autore è morto prima di poter scrivere quelli relativi alla vista e al tatto. Anche in questi testi Calvino mette in scena i fallimentari tentativi umani di scoprire e di classificare la realtà, sfruttando questa volta lo schema offerto dalle facoltà sensoriali.

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi