T5 - Lo zio acquatico

T5

Lo zio acquatico

Le Cosmicomiche

Qfwfq, il protagonista senza tempo delle Cosmicomiche, è alle prese con un vecchio zio, burbero e antiquato, che si ostina a voler vivere nell’acqua quando tutti i nipoti sono ormai passati all’ambiente terrestre. In questa sorta di primitivo scontro generazionale si inserisce la figura della bellissima Lll (il cui nome è formato da tre “elle” consecutive), di cui Qfwfq è innamorato e che appare ai suoi occhi la creatura di punta del processo evolutivo. Sarà lei a scompaginare non solo le aspettative di Qfwfq, ma anche l’idea stessa di progresso.

I primi vertebrati che nel Carbonifero1 lasciarono la vita acquatica per quella terrestre,
derivavano dai pesci ossei polmonati le cui pinne potevano essere ruotate sotto il corpo e
usate come zampe sulla terra.
Ormai era chiaro che i tempi dell’acqua erano finiti, – ricordò il vecchio Qfwfq, –
5      quelli che si decidevano a fare il grande passo erano sempre in maggior numero,
non c’era famiglia che non avesse qualcuno dei suoi cari là all’asciutto, tutti raccontavano
cose straordinarie di quel che c’era da fare in terraferma, e chiamavano i
parenti. Ormai i pesci giovani non li teneva più nessuno, sbattevano le pinne sulle
rive di fango per vedere se funzionavano da zampe, com’era riuscito ai più dotati.
10    Ma proprio in quei tempi s’accentuavano le differenze tra noi: c’era la famiglia
che viveva a terra da più generazioni, e i cui giovani ostentavano maniere che non
erano nemmeno più da anfibi ma già quasi da rettili; e c’era chi s’attardava ancora
a fare il pesce, anzi, diventava più pesce di quanto non si usasse essere pesci una
volta.
15    La nostra famiglia, devo dire, nonni in testa, zampettava sulla spiaggia al completo,
come non avessimo mai conosciuto altra vocazione. Non fosse stato per
l’ostinazione del prozio N’ba N’ga, i contatti col mondo acquatico sarebbero stati
perduti da un pezzo.
Sì, avevamo un prozio pesce, e precisamente dalla parte di mia nonna paterna,
20    nata dei Celacanti2 del Devoniano3 (quelli d’acqua dolce: che poi resterebbero
cugini di quegli altri – ma non voglio dilungarmi sui gradi di parentela, tanto
nessuno riesce mai a seguirli). Dunque questo prozio abitava in certe acque basse
e limacciose, tra radici di protoconifere,4 in quel braccio di laguna dov’erano nati
tutti i nostri vecchi. Non si muoveva mai di là: in qualsiasi stagione bastava spingerci
25    sugli strati di vegetazione più molli fin che non ci si sentiva sprofondare nel
bagnato, e là sotto, a pochi palmi dall’orlo, vedevamo la colonna di bollicine che
lui mandava su sbuffando, come fanno gli individui d’età, o la nuvoletta di fango
raspata dal suo muso aguzzo, sempre lì a frugare più per abitudine che per cercar
qualcosa.
30    – Zio N’ba N’ga! Siamo venuti a trovarla! Ci aspettava? – gridavamo, sguazzando
nell’acqua zampe e coda per richiamare la sua attenzione. – Le abbiamo
portato degli insetti nuovi che crescono da noi! Zio N’ba N’ga! Ne aveva mai viste,
di blatte5 così grosse? Assaggi se le piacciono…
– Potete pulirvici quelle verruche schifose che avete addosso, con le vostre blatte
35    puzzolenti! – La risposta del prozio era sempre una frase di questo genere, o
magari più villana ancora: ci accoglieva così ogni volta, ma non ci facevamo caso
perché sapevamo che dopo un po’ finiva per rabbonirsi, gradire i doni, e conversare
in toni più garbati.
– Ma che verruche, zio N’ba N’ga? Quando mai ci ha visto addosso una verruca?
40    Questo delle verruche era un pregiudizio dei vecchi pesci: che a noi, a vivere
all’asciutto, ci venissero tante verruche su tutto il corpo, trasudanti roba liquida;
il che era vero sì, ma solo per i rospi, che con noi non avevano nulla da spartire;
al contrario, la nostra pelle era liscia e sgusciante come nessun pesce l’aveva mai
avuta; e il prozio lo sapeva bene, però non rinunciava a imbastire i suoi discorsi di
45    tutte le calunnie e le prevenzioni in mezzo alle quali era cresciuto.
Andavamo a fare visita al prozio una volta all’anno, tutta la famiglia insieme.
Era anche un’occasione per ritrovarci tra noi, sparpagliati com’eravamo nel continente,
scambiarci notizie e insetti mangerecci, e discutere vecchie faccende d’interessi
rimaste in sospeso.
50    Il prozio interloquiva anche in questioni lontane da lui chilometri e chilometri
di terra secca, come sarebbe la spartizione delle zone per la caccia alle libellule,
e dava ragione agli uni o agli altri secondo criteri suoi, che erano sempre quelli
acquatici. – Ma non lo sai che chi caccia sul fondo è sempre in vantaggio su chi
caccia a galla? Cos’hai da far tanto l’angoscioso, allora?
55    – Ma zio, veda, non è questione di galla o di fondo: io sto al piede della collina
e lui a mezza costa… Le colline, ha presente, zio…
E lui: - Al piede degli scogli c’è sempre i gamberi migliori -. Non c’era verso di
fargli accettare per possibile una realtà diversa dalla sua.
Eppure, il suo giudizio continuava ad avere un’autorità su tutti noi: finivamo
60    per chiedergli consiglio su fatti di cui non capiva niente, benché sapessimo che
poteva avere torto marcio. Forse la sua autorità gli veniva proprio dall’essere un
avanzo del passato, dall’usare vecchi modi di dire, tipo: – E cala un po’ le pinne,
bravo! – di cui noi non comprendevamo neppur più bene il significato.
Tentativi di portarlo a terra con noi ne avevamo fatti parecchi, e continuavamo
65    a farne; anzi, su questo punto non s’era mai spenta la rivalità tra i vari rami della
famiglia, perché chi fosse riuscito a portare il prozio a casa propria si sarebbe trovato
in una posizione diciamo preminente rispetto a tutto il parentado. Ma era
una rivalità inutile, perché il prozio non si sognava di lasciare la laguna.
– Zio, alla bella età che ha, sapesse quanto ci dispiace lasciarla così sempre da
70    solo, in mezzo all’umido… A noi, sa, è venuta un’idea… – attaccavamo.
– Me l’aspettavo che l’avreste capita, – interrompeva il vecchio pesce, – ormai il gusto
di sguazzare nel secco ve lo siete tolto, è giusto l’ora che torniate a vivere come esseri
normali. Qui c’è acqua per tutti, e quanto al mangiare, la stagione dei lombrichi
non è mai stata così buona. Potete buttarvi a bagno bell’e ora e non se ne parli più.
75    – Ma no, zio N’ba N’ga, cos’ha capito? Noi si voleva portarla a star con noi,
in un bel praticello… Vedrà che ci si trova bene, le scaviamo una fossetta umida,
fresca: lei ci si rigira come vuole tal quale a qui; potrà anche provare a fare qualche
passo intorno, vedrà che ci riesce. E poi alla sua età il clima di terra è più indicato.
Dunque, zio N’ba N’ga, non si faccia più pregare: viene?
80    – No! – era la risposta secca del prozio, e con una nasata in acqua scompariva
dalla nostra vista.
– Ma perché mai, zio, cos’ha contro, non comprendiamo, lei così largo di vedute,
certi preconcetti…
In uno sbuffo a fior d’acqua, prima d’inabissarsi con un colpo ancor agile di
85    coda, ci veniva l’ultima risposta del prozio: – Nuota a pancia nel fango chi ci ha
pulci tra le squame! – che doveva essere un modo di dire dei suoi tempi (sul tipo
del nostro proverbio nuovo, e molto più rapido: «Chi ha prurito si gratti»), con
quell’espressione «fango» che lui continuava a usare per tutte le occasioni in cui noi
dicevamo: «terra».
90    Fu in quell’epoca che io m’innamorai. Passavo le giornate con Lll, rincorrendoci;
agile come lei non s’era vista mai nessuna; sulle felci, che a quel tempo erano
alte come alberi, saliva fino in cima di slancio, e le cime s’inchinavano fin quasi
al suolo, e lei saltava giù e riprendeva la sua corsa; io, con movimenti un po’ più
tardi e goffi, la seguivo. Ci inoltravamo in territori dell’interno dove mai nessuna
95    impronta aveva marcato il suolo secco e crostoso; alle volte m’arrestavo spaventato
d’essermi tanto allontanato dalla distesa delle lagune. Ma nulla pareva lontano
dalla vita acquatica quanto lei, Lll: i deserti di sabbia e pietre, le praterie, il folto
delle foreste, i rilievi rocciosi, le montagne di quarzo, questo era il suo mondo:
un mondo che pareva fatto apposta per essere scrutato dai suoi occhi oblunghi e
100  percorso dal suo passo guizzante. Guardando la sua pelle liscia pareva che non
fossero mai esistite scaglie e squame.
I parenti di Lll mi davano un po’ di soggezione: erano una di quelle famiglie
che per essersi stabilite a terra in epoca più antica avevano finito per convincersi
di stare qui da sempre; una di quelle famiglie in cui ormai anche le uova venivano
105  deposte all’asciutto, protette da un guscio resistente; e Lll, a guardarla nei suoi
scatti, nelle sue mosse saettanti, si capiva che era nata tal quale a ora, da una di
quelle uova calde di sabbia e di sole, saltando a piè pari la fase natante e ciondolona
del girino, ancora d’obbligo nelle nostre famiglie meno evolute.
Era venuto il momento che Lll conoscesse i miei: e il più anziano e autorevole
110  della famiglia essendo il prozio N’ba N’ga, non potevo mancare di fargli una visita
per presentargli la mia fidanzata. Ma tutte le volte che capitava un’occasione,
rimandavo pieno d’imbarazzo: conoscendo i pregiudizi in cui lei era stata allevata,
non avevo ancora osato dire a Lll che il mio prozio era un pesce.
Un giorno ci eravamo inoltrati in uno di quei fradici promontori che cingono
115  la laguna, dove il suolo più che di sabbia è fatto di grovigli di radici e vegetazione
marcita. E Lll mi propose una delle solite sue sfide o prove di bravura: – Qfwfq,
fin dove sei buono a tenere l’equilibrio? Facciamo a chi corre più sull’orlo! – e si
lanciò avanti col suo saltello da terraferma, ma un po’ esitante.
Stavolta mi sentivo non solo d’emularla, ma di vincerla, perché sull’umido le
120  mie zampe avevano più presa. – Fin sull’orlo quanto vuoi! – esclamai, – e magari
anche al di là!
– Non dire stupidaggini! – fece lei. – Al di là dell’orlo come si fa a correre? C’è
l’acqua!
Forse era il momento favorevole per portare il discorso sul prozio.
125  – E con ciò? – le dissi. – C’è chi corre di là dell’orlo e chi di qua.
– Dici delle cose senza capo né coda!
– Dico che il mio prozio N’ba N’ga sta nell’acqua come noi in terra, e non ne
è mai uscito!
– Bum! Vorrei proprio conoscerlo questo N’ba N’ga!
130  Non aveva finito di dirlo e la torbida superficie della laguna gorgogliò di bollicine,
si mosse un poco a vortice e lasciò affiorare un muso tutto ricoperto di
squame spinose.
– Bè: sono io, che c’è? – disse il prozio, fissando Lll con occhi tondi e inespressivi
come pietre e facendo pulsare le branchie ai lati dell’enorme gola. Mai il prozio
135  m’era parso così diverso da noi: un vero e proprio mostro.
– Zio, se permette, questa… vorrei avere il piacere appunto di farle conoscere…
la mia promessa sposa Lll, – e indicai la mia fidanzata che chissà perché s’era
messa ritta sulle zampe di dietro, in uno dei suoi atteggiamenti più ricercati e certamente
meno apprezzabili da quel vecchio zoticone.
140  – E così bel bello, signorina, è venuta a bagnarsi un po’ la coda? – fece il prozio,
una battuta che ai suoi tempi sarà magari stata una galanteria, ma a noi suonava
addirittura indecente.
Guardai Lll, sicuro di vederla voltarsi e scappar via con uno squittio scandalizzato.
Ma non avevo calcolato quanto forte fosse in lei l’educazione a ignorare ogni
145  volgarità del mondo circostante. – Senta, quelle piantine là, – fa, disinvolta, e indica
certe giuncacee6 che crescevano gigantesche in mezzo alla laguna, – le radici,
mi dica, dov’è che le affondano?
Una domanda di quelle che si fanno tanto per tener su la conversazione; figuriamoci
cosa importava a lei delle giuncacee! Ma il prozio pareva che non aspettasse
150  altro per mettersi a spiegare il perché e il percome delle radici degli alberi
galleggianti e di come ci si poteva nuotare in mezzo, anzi: i posti più indicati per
la caccia erano lì sotto.
Non la finiva più. Io sbuffavo, cercavo d’interromperlo. Ma quella impertinente
invece che fa? Non si mette a dargli corda? – Ah sì, lei va a caccia tra le radici
155  natanti? Interessante!
Io sprofondavo dalla vergogna.
E lui: – Mica storie: i lombrichi che c’è lì, roba da farci delle scorpacciate! – E,
senza starci a pensare, si tuffa. Un tuffo agile come mai gliene avevo visto fare;
anzi, un salto in alto: balza fuori dell’acqua quant’è lungo, tutto maculato sulle
160  squame, divaricando i ventagli spinosi delle pinne; poi, descritto in aria un bel semicerchio,
ripiomba a immergersi testa avanti, e scompare rapido con una specie
di movimento a vite della coda falcata.
A questa vista, il discorsetto che m’ero preparato per giustificarmi in fretta con
Lll approfittando dell’allontanamento del prozio: «Sai, bisogna capirlo, con questa
165  idea fissa di vivere come un pesce, ha finito per assomigliare a un pesce davvero…»
mi si smorzò in gola. Neanch’io m’ero mai reso conto fino a che punto fosse pesce
il fratello di mia nonna. Dissi appena: – Lll, è tardi, andiamo… – e già il prozio
riemergeva reggendo tra le sue labbra da squalo un festone di lombrichi e alghe
fangose.
170  Non mi pareva vero, quando ci accomiatammo; ma trottando zitto dietro a Lll
pensavo che ora lei avrebbe cominciato a fare i suoi commenti, cioè che il peggio
per me doveva ancor venire. Ed ecco Lll, senza fermarsi, si volta appena verso
di me, e: – Però, simpatico, tuo zio! – Questo, dice, e nient’altro. Di fronte alla
sua ironia, già più d’una volta m’ero trovato disarmato; ma il gelo che mi colse
175  a questa battuta fu tale che avrei preferito non rivederla più piuttosto che dover
riaffrontare l’argomento.
Invece continuammo a vederci, a andare insieme, e non si parlò più dell’episodio
della laguna. Io restavo insicuro: avevo un bel cercare di convincermi che se
ne fosse dimenticata; ogni tanto mi prendeva il sospetto che tacesse per potermi
180  svergognare in qualche modo clamoroso, davanti ai suoi, oppure – e questa era
per me un’ipotesi ancor peggiore – che soltanto per compassione si studiasse di
parlare d’altro. Finché, di punto in bianco, un bel mattino, non uscì a dire:
– Ma senti, da tuo zio non mi ci porti più?
Con un filo di voce chiesi: – … Scherzi?
185  Macché: diceva sul serio, non vedeva l’ora di tornare a far quattro chiacchiere
col vecchio N’ba N’ga. Io non ci capivo più niente.
Quella volta la visita alla laguna fu più lunga. Ci sdraiammo su una riva in
declivio tutti e tre: il prozio più dalla parte dell’acqua, ma anche noi mezzo a bagno,
cosicché a vederci da lontano, allungati vicini, non si sarebbe capito chi era
190  terrestre e chi acquatico.
Il pesce attaccò una solfa delle solite: la superiorità della respirazione ad acqua
su quella aerea, con tutto il repertorio delle sue denigrazioni. «Adesso Lll salta su e
gli risponde per le rime!» pensavo. Invece si vede che quel giorno Lll usava un’altra
tattica: discuteva con impegno, difendendo i nostri punti di vista, ma come se
195  prendesse molto sul serio quelli del vecchio N’ba N’ga.
Le terre emerse, secondo il prozio, erano un fenomeno limitato: sarebbero
scomparse com’eran saltate fuori, o, comunque, sarebbero state soggette a continui
cambiamenti: vulcani, glaciazioni, terremoti, ▶ corrugamenti, mutamenti di
clima e di vegetazione. E la nostra vita là in mezzo avrebbe dovuto affrontare
200  trasformazioni continue, attraverso le quali intere popolazioni sarebbero scomparse,
e sarebbe potuto sopravvivere solo chi era disposto a cambiare talmente le
basi della propria esistenza, che le ragioni per cui era bello vivere sarebbero state
completamente sconvolte e dimenticate.
Una prospettiva che faceva a pugni con l’ottimismo in cui noi figli della costa
205  eravamo stati allevati; e alla quale io ribattevo con proteste scandalizzate. Ma per
me la vera, vivente confutazione di quegli argomenti era Lll: vedevo in lei la forma
perfetta, definitiva, nata dalla conquista dei territori emersi, la somma delle
nuove illimitate capacità che si aprivano. Come poteva pretendere, il prozio, di
negare la realtà incarnata di Lll? Fiammeggiavo di passione polemica, e mi pareva
210  che la mia compagna si dimostrasse fin troppo paziente e comprensiva col nostro
contraddittore.
Certo, anche per me – abituato com’ero a sentire dalla bocca del prozio solo
boffonchiamenti e improperi – questo suo argomentare così filato suonava come
una novità, se pur condito d’espressioni antiquate ed enfatiche, e reso buffo dalla
215  sua caratteristica cadenza. Stupiva anche sentirlo dar prova d’una competenza minuziosa
– per quanto tutta esterna – delle terre continentali.
Ma Lll, con le sue domande, cercava di farlo parlare il più possibile della vita
sott’acqua: e certo questo era il tema sul quale il discorso del prozio si faceva più
serrato, ed a tratti commosso.
220  In confronto alle incertezze della terra e dell’aria, lagune e mari e oceani rappresentavano
un futuro di sicurezza. Là i cambiamenti sarebbero stati minimi, gli
spazi e le provvigioni senza limiti, la temperatura avrebbe sempre trovato il suo
equilibrio, insomma la vita si sarebbe conservata così come s’era svolta fin qui,
nelle sue forme piene e perfette, senza metamorfosi o aggiunte di dubbio esito,
225  e ognuno avrebbe potuto approfondire la propria natura, arrivare all’essenza di
sé e di ogni cosa. Il prozio parlava dell’avvenire acquatico senza abbellimenti o
illusioni, non si nascondeva i problemi anche gravi che si sarebbero presentati
(più preoccupante di tutti l’aumento della salinità7); ma erano problemi che non
avrebbero sconvolto i valori e le proporzioni in cui egli credeva.
230  – Ma noi ora galoppiamo per vallate e montagne, zio! – esclamai, a nome mio
e soprattutto di Lll, che invece stava zitta.
– Va’ là, girino, che appena torni a bagno torni a casa! – m’apostrofò lui, riprendendo
il tono che gli avevo sempre sentito usare con noi.
– Non crede, zio, che se noi volessimo imparare a respirare sott’acqua ora sarebbe
235  troppo tardi? – chiese Lll, seria, e io non sapevo se sentirmi lusingato perché
aveva chiamato zio il mio vecchio parente o disorientato perché certe questioni
(almeno, così ero abituato a pensare io) non si ponevano neppure.
– Se ci stai, stella, – fece il pesce, – ti ci insegno subito!
Lll uscì in una risata strana e finalmente si mise a correre, a correre da non
240  poterle tener dietro.
La cercai per pianure e colline, giunsi in cima a uno sperone di basalto che
dominava intorno il paesaggio di deserti e foreste circondato dalle acque. Lll era
lì. Era certo questo che aveva voluto dirmi – io l’avevo capito! – col suo ascoltare
N’ba N’ga e poi col suo fuggire e rifugiarsi lassù: che bisognava stare nel nostro
245  mondo con la stessa forza con cui il vecchio pesce stava nel suo.
– Io sarò per qua come lo zio per là, – gridai, un po’ farfugliando, poi mi
corressi: – Noi due, saremo, insieme! – perché era vero che senza di lei non mi
sentivo sicuro.
E Lll allora, cosa mi rispose? Ancora adesso arrossisco a ricordarlo, a distanza di
250  tante ere geologiche. Rispose: – Va’ là, girino, ci vuol altro! – e non sapevo se voleva
fare il verso al prozio, per canzonare lui e me insieme, o se davvero aveva fatto suo
l’atteggiamento di quel vecchio bacucco verso il pronipote, e l’una e l’altra ipotesi
erano ugualmente scoraggianti, perché entrambe significavano che mi considerava
uno a metà strada, uno che non era nel suo né in un mondo né nell’altro.
255  L’avevo perduta? Nel dubbio, mi precipitai a riconquistarla. Presi a compiere
prodezze: nella caccia agli insetti volanti, nel salto, nello scavare tane sotterranee,
nella lotta coi più forti dei nostri.
Ero fiero di me stesso, ma purtroppo ogni volta che facevo qualcosa di valoroso,
lei non era lì a vedermi: spariva continuamente, non si sapeva dove andasse a
260  nascondersi.
Finalmente capii: andava alla laguna dove il prozio le insegnava a nuotare
sott’acqua. Li vidi affiorare insieme: filavano a pari velocità, da sembrare fratello
e sorella.
– Sai, – fece lei, allegra, vedendomi, – le zampe funzionano benissimo da pinne!
265  – E brava: guarda che bel passo avanti, – non potei fare a meno di commentare,
con sarcasmo.
Era un gioco, per lei, lo capivo. Ma un gioco che non mi piaceva.
Dovevo richiamarla alla realtà, al futuro che ci attendeva.
Un giorno la aspettai in mezzo a un bosco di alte felci, che scoscendeva8
270  sull’acqua.
– Lll, ho da parlarti, – dissi appena la vidi, – adesso ti sei divertita abbastanza.
Abbiamo cose più importanti davanti a noi. Ho scoperto un passaggio nella catena
dei monti: di là s’estende un’immensa pianura di pietra, abbandonata da poco
dalle acque. Saremo i primi a stabilirci là, popoleremo territori sconfinati, noi e i
275  nostri figli.
– Il mare, è sconfinato, – disse Lll.
– Smettila di ripetere le fandonie di quel vecchio rimbambito. Il mondo è di
chi ha gambe, non dei pesci, lo sai.
– So che lui è uno che è uno, – disse Lll.
280  – E io?
– Nessuno c’è di quelli con le gambe che sia uno come lui.
– E la tua famiglia?
– Ci ho litigato. Non hanno mai capito niente.
– Ma sei matta! Non si può mica tornare indietro!
285  – Io sì.
– E cosa vuoi fare, tu sola con un vecchio pesce?
– Sposarlo. Tornare pesce con lui. E mettere al mondo altri pesci. Addio.
E, con un’ultima arrampicata delle sue, salì fino in cima a un’alta foglia di felce,
l’inclinò verso la laguna, e si lasciò andare in un tuffo. Riemerse, ma non era
290  sola: la robusta coda falcata del prozio N’ba N’ga affiorò vicino alla sua e insieme
fendettero le acque.
Fu una batosta dura per me. Ma poi, che farci? Continuai la mia strada, in
mezzo alle trasformazioni del mondo, anch’io trasformandomi. Ogni tanto, tra le
tante forme degli esseri viventi, incontravo qualcuno che «era uno» più di quanto
295  io non lo fossi: uno che annunciava il futuro, ornitorinco che allatta il piccolo
uscito dall’uovo, giraffa allampanata in mezzo alla vegetazione ancora bassa; o
uno che testimoniava un passato senza ritorno, dinosauro superstite dopo ch’era
cominciato il Cenozoico,9 oppure – coccodrillo – un passato che aveva trovato
il modo di conservarsi immobile nei secoli. Tutti costoro avevano qualcosa, lo
300  so, che li rendeva in qualche modo superiori a me, sublimi, e che rendeva me, in
confronto a loro, mediocre. Eppure non mi sarei cambiato con nessuno di loro.

 >> pagina 655 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Le righe in corsivo poste come preambolo a ogni racconto sono tratte dai testi scientifici cui l’autore si è ispirato; servono da impulso alla narrazione e, allo stesso tempo, da sommario di quanto verrà raccontato di seguito. In questo caso, l’incipit fa riferimento al periodo geologico del Carbonifero, in cui i primi esseri vertebrati, abbandonata la vita nell’acqua, iniziano a popolare la terra. Riconducendo la biologia a dimensioni domestiche, il narratore racconta, apparentemente, una vicenda di scontro generazionale tra uno zio, vecchio e bisbetico, che ancora vive come pesce, e i nipoti che hanno invece guadagnato la terra.

 >> pagina 656 

L’evoluzione procede verso la perfezione? Questa è l’idea che ha Qfwfq, e la prima parte del racconto sembrerebbe confermarla: il vecchio zio, un avanzo del passato (rr. 61-62), è presentato come un vero e proprio mostro (r. 135) dagli occhi tondi e inespressivi come pietre (rr. 133-134) che fa pulsare le branchie ai lati dell’enorme gola (r. 134); Lll, che simboleggia il balzo evolutivo, è al contrario caratterizzata da una bellezza e da una grazia fatta di pelle liscia (r. 100), di mosse saettanti (r. 106) e di modi raffinati che le provengono dall’educazione familiare (I parenti di Lll mi davano un po’ di soggezione: erano una di quelle famiglie che per essersi stabilite a terra in epoca più antica avevano finito per convincersi di stare qui da sempre, rr. 102-104). Agli occhi di Qfwfq, Lll rappresenta in tutto e per tutto la perfezione: vedevo in lei la forma perfetta, definitiva, nata dalla conquista dei territori emersi (rr. 206-207).

In realtà, l’intero racconto è costruito in modo da deludere l’orizzonte d’attesa di Qfwfq e, con esso, quello del lettore. Le convinzioni del protagonista circa un disegno armonico del ritmo evolutivo (gli esseri devono passare dall’acqua alla terra) è incrinato proprio da Lll, che, mandando in frantumi la cristallina geometria del progresso, mostra chiaramente come l’evoluzione non presenti uno sviluppo univoco e lineare. La sua decisione di sposare il vecchio zio per tornare pesce vanifica l’illusione che la vita (e dunque anche l’umanità) percorra un itinerario continuo verso la sicurezza e la felicità.

Le scelte stilistiche

Lo stile delle Cosmicomiche è conseguenza della scelta di ripetere, in chiave moderna e ironica, le grandi narrazioni dei miti delle origini. Il monologismo epico (cioè quel tipo di discorso, proprio dei testi antichi, che riconduce ogni idea, ogni concetto e ogni ragionamento a una ratio unica e indubitabile) si frantuma attraverso lo spassoso accostamento del linguaggio quotidiano a quello scientifico e la mescolanza di classificazione scientifica e percezione comune. Si ottiene così una prosa che non eccede in tecnicismi (le definizioni specialistiche – coda falcata, rr. 162 e 290, respirazione […] aerea, rr. 191-192 – quasi non risaltano sul resto del tessuto lessicale) e che anzi ricorre ironicamente alle frasi fatte della lingua parlata (Il pesce attaccò una solfa delle solite, r. 191, e Adesso Lll salta su e gli risponde per le rime!, rr. 192-193).

Escluse le parti più propriamente descrittive, il racconto è basato sull’alternarsi di momenti dialogici e di pause di riflessione condotte da Qfwfq tra sé e sé. I dialoghi sono a tratti bruschi e pungenti, soprattutto quando si tratta dei botta e risposta tra lo zio e il protagonista (Potete pulirvici quelle verruche schifose che avete addosso, con le vostre blatte puzzolenti!rr. 33-35). La prosa si distende invece nei monologhi interiori di Qfwfq, nei quali il tono si fa più serio e viene interpretato il senso dei gesti e delle parole dei personaggi.

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Che cosa si aspetta lo zio che vede arrivare i nipoti dalla terraferma?

2 Su che cosa il narratore e lo zio N’ba N’ga hanno opinioni diverse?

3 Perché Qfwfq ha timore di portare Lll a conoscere il vecchio zio? Come reagisce lei quando questo avviene?

ANALIZZARE

4 Rintraccia i passi del testo in cui le descrizioni fisiche del vecchio zio e della giovane e bella Lll appaiono, agli occhi di Qfwfq, in netta contrapposizione.

5 Nel racconto Calvino utilizza proverbi e modi di dire adattati a una realtà remota nel tempo. Individuali e spiegane il significato.

INTERPRETARE

6 Perché Lll considera Qfwfq uno a metà strada, uno che non era nel suo né in un mondo né nell’altro (r. 254)?

7 Che cosa significa la frase di Lll So che lui è uno che è uno (r. 279)?

 >> pagina 657 

SVILUPPARE IL LESSICO

8 Il lessico scientifico utilizzato da Calvino nel brano proviene soprattutto da due discipline, la biologia e la geologia. Individua almeno cinque termini per ciascuna di esse.

Lessico della biologia
Lessico della geologia
   
   
   
   
   

SCRIVERE PER...

ESPORRE
9 A differenza che nel mondo anglosassone, in Italia gli autori di fantascienza hanno sempre incontrato molte resistenze; celebre a tal proposito è la dichiarazione dello scrittore Carlo Fruttero (1926-2012): «Un disco volante non può atterrare a Lucca». Svolgi una ricerca sulla cosiddetta SF (Science Fiction) italiana: la sua nascita e diffusione, gli scrittori principali, le collane editoriali. Elabora i risultati in un testo espositivo di circa 50 righe.

La produzione saggistica

La produzione saggistica di Calvino è molto ampia e spazia su diversi fronti tematici, dal rapporto tra letteratura e industria ai problemi legati alle nuove acquisizioni dello Strutturalismodalla semiotica testuale alla letteratura combinatoria e al Postmoderno.

UNA PIETRA SOPRA. DISCORSI DI LETTERATURA E SOCIETÀ

Pubblicata in prima edizione nel 1980, è una raccolta di saggi scritti tra il 1955 e il 1978. Il titolo allude al fatto che a ogni singolo contributo, collegato a un preciso stadio di riflessione ormai lontano nel tempo, è stato conferito un carattere compiuto e definitivo.

Il resoconto di un’esperienza culturale e civile L’opera è una sorta di autobiografia intellettuale in cui Calvino dimostra l’attenzione con cui ha seguito gli sviluppi del dibattito culturale italiano e internazionale, non solo tracciando in itinere alcuni bilanci, ma offrendo preziose indicazioni su come nella propria poetica egli abbia sempre cercato soluzioni che non lo apparentassero a una scuola letteraria predefinita.
Fondamentali in tal senso sono i saggi Il mare dell’oggettività e La sfida al labirintonei quali lo scrittore dichiara la sua opposizione a una società contemporanea considerata violenta – in quanto colpevole di aver sostituito alla conoscenza il possesso materiale –, assumendosi il compito di sfidare il labirinto del mondo, attraverso la sperimentazione di una letteratura aperta «a tutti i linguaggi possibili», utili a costruire una mappa per orientarsi nel caos della contemporaneità.

LEZIONI AMERICANE. SEI PROPOSTE PER IL PROSSIMO MILLENNIO

Come fare letteratura Pubblicato postumo nel 1988, il libro raccoglie cinque delle sei lezioni che Calvino avrebbe dovuto pronunciare alla Harvard University, nell’ambito delle “Poetry Lectures” (lezioni sulla poesia), nell’autunno del 1985 (l’autore è scomparso nel mese di settembre). Ogni lezione è incentrata su uno dei diversi caratteri del fare letteratura ritenuti fondamentali dallo scrittore: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza (quest’ultima solo progettata). Ricchissimi di richiami eruditi e di riferimenti ai suoi stessi romanzi, i testi costituiscono una summa degli interessi e delle riflessioni di Calvino intorno al mestiere di scrivere.

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi