In quella, s’accorge che è giunto quasi alla fine, e di nuovo gli sembra che quel
piatto sia qualcosa di molto ghiotto e raro, e mangia con entusiasmo e devozione
gli ultimi resti sul fondo della pietanziera, quelli che più sanno di metallo. Poi,
40 contemplando il recipiente vuoto e unto, lo riprende di nuovo la tristezza.
Allora involge e intasca tutto, s’alza, è ancora presto per tornare al lavoro, nelle
grosse tasche del giaccone le posate suonano il tamburo contro la pietanziera vuota.
Marcovaldo va a una bottiglieria e si fa versare un bicchiere raso all’orlo; oppure
in un caffè e sorbisce una tazzina; poi guarda le paste nella bacheca di vetro, le
45 scatole di caramelle e di torrone, si persuade che non è vero che ne ha voglia, che
proprio non ha voglia di nulla, guarda un momento il calciobalilla per convincersi
che vuole ingannare il tempo, non l’appetito. Ritorna in strada. I tram sono di
nuovo affollati, s’avvicina l’ora di tornare al lavoro; e lui s’avvia.
Accadde che la moglie Domitilla, per ragioni sue, comprò una grande quantità
50 di salciccia. E per tre sere di seguito a cena Marcovaldo trovò salciccia e rape. Ora,
quella salciccia doveva essere di cane; solo l’odore bastava a fargli scappare l’appetito.
Quanto alle rape, quest’ortaggio pallido e sfuggente era il solo vegetale che
Marcovaldo non avesse mai potuto soffrire.
A mezzogiorno, di nuovo: la sua salciccia e rape fredda e grassa lì nella pietanziera.
55 Smemorato com’era, svitava sempre il coperchio con curiosità e ghiottoneria,
senza ricordarsi quel che aveva mangiato ieri a cena, e ogni giorno era
la stessa delusione. Il quarto giorno, ci ficcò dentro la forchetta, annusò ancora
una volta, s’alzò dalla panchina, e reggendo in mano la pietanziera aperta s’avviò
distrattamente per il viale. I passanti vedevano quest’uomo che passeggiava con in
60 una mano una forchetta e nell’altra un recipiente di salciccia, e sembrava non si
decidesse a portare alla bocca la prima forchettata.
Da una finestra un bambino disse: – Ehi, tu, uomo!
Marcovaldo alzò gli occhi. Dal piano rialzato di una ricca villa, un bambino
stava con i gomiti puntati al davanzale, su cui era posato un piatto.
65 – Ehi, tu, uomo! Cosa mangi?
– Salciccia e rape!
– Beato te! – disse il bambino.
– Eh… – fece Marcovaldo, vagamente.
– Pensa che io dovrei mangiare fritto di cervella…
70 Marcovaldo guardò il piatto sul davanzale. C’era una frittura di cervella morbida
e riccioluta come un cumulo di nuvole. Le narici gli vibrarono.
– Perché: a te non piace, il cervello?… – chiese al bambino.
– No, m’hanno chiuso qui in castigo perché non voglio mangiarlo. Ma io lo
butto dalla finestra.
75 – E la salciccia ti piace?…
– Oh, sì, sembra una biscia… A casa nostra non ne mangiamo mai…
– Allora tu dammi il tuo piatto e io ti do il mio.
– Evviva! – Il bambino era tutto contento. Porse all’uomo il suo piatto di maiolica
con una forchetta d’argento tutta ornata, e l’uomo gli diede la pietanziera
80 colla forchetta di stagno.