In questo modo Ungaretti annulla momentaneamente il presente e il dolore a cui è connesso. Si ricorda di sé e, come alla fine di un bel viaggio, percepisce la nostalgia (v. 63): il tempo della memoria lo porta a celebrare la propria personale autobiografia mediante un percorso verso le radici, verso un immaginario luogo ancestrale, dove egli può sentire scorrere dentro di sé il sangue degli avi.
Immergendosi nell’Isonzo, il poeta ripensa ai fiumi che hanno accompagnato la sua graduale crescita verso la consapevolezza e la maturazione: il fiume degli antenati, il Serchio, che simboleggia la dimensione arcaica (duemil’anni forse, v. 49); quello dell’infanzia e dell’adolescenza, il Nilo, che incarna la vitalità innocente (ardere d’inconsapevolezza, v. 55); quello della prima giovinezza, la Senna, che gli ha regalato cultura e coscienza (mi sono conosciuto, v. 60); fino appunto a quello in cui si è immerso ora (l’Isonzo), che lo ha reso esperto della vita e del dolore, formandolo come uomo nell’esperienza tragica della guerra (corolla / di tenebre, vv. 68-69).