INTRECCI ARTE - La guerra nella fotografia

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La guerra nella fotografia

Immortalare la tragedia

I primi reportage di guerra
La fotografia, fin dalla sua invenzione, è stata uno strumento per documentare la guerra e i suoi orrori, come dimostrano gli scatti eseguiti sui campi di battaglia durante la guerra di Secessione.
Mathew B. Brady (1822-1896) comincia la sua carriera di fotografo di guerra realizzando ritratti di soldati per le loro famiglie, ma presto inizia a scattare direttamente sui campi di battaglia, grazie all’aiuto di una serie di assistenti, tra i quali lo scozzese Alexander Gardner (1821-1882): con questa documentazione organizza nel 1862 una mostra a New York, The Dead of Antietam (I morti di Antietam, dal nome del luogo di un drammatico scontro tra esercito confederato ed esercito unionista), destinata, con le sue immagini crude, a cambiare la percezione dei combattimenti da parte dell’opinione pubblica.
L’invenzione degli apparecchi compatti
Nel 1913 un’invenzione trasforma radicalmente il reportage di guerra: la macchina Leica nasce come apparecchio compatto per fotografie di paesaggio e lavora con una pellicola di 35 millimetri, che si srotola orizzontalmente; grazie a una lente ad alta qualità è inoltre in grado di produrre piccoli negativi che possono diventare fotografie di grandi dimensioni. Utilizzando macchine leggere e compatte, i fotografi possono avvicinarsi moltissimo, correndo gravi rischi, ai loro soggetti. Tra il 1936 e il 1939 la guerra civile spagnola, prova generale del secondo conflitto mondiale, vede l’arrivo massiccio di fotografi in divisa, «armati di fotocamera», nelle stesse fila degli eserciti che si combattono. Il loro motto è «essere abbastanza vicino», fisicamente e moralmente, al centro degli scontri, per produrre immagini utili anche alla propaganda.

La fotografia come strumento ideologico
La fotografia diventa così anche terreno di contrapposizione ideologica: Erich Andres (1905-1992) nel
1937 documenta la guerra civile spagnola dal punto di vista delle armate fasciste, mentre numerosi fotografi stranieri, come l’ungherese Robert Capa (1913-1954), si uniscono alle brigate internazionali della resistenza partigiana.
Nel 1936, a Cordoba, Capa scatta la foto che diventerà l’emblema di questo conflitto: coglie l’attimo in cui il miliziano dell’esercito repubblicano Federico Borrell García è colpito da un proiettile sparato da un soldato franchista. Successivamente, lo studio dei negativi originali di Capa e approfondite ricerche storiche hanno messo in dubbio l’autenticità dello scatto, che tuttavia conserva inalterato il suo alto valore simbolico.
La fotografia come strumento di pace
In tutti i conflitti che insanguinano il Novecento la fotografia ha una fondamentale funzione di informazione e denuncia: si pensi per esempio a quanto le immagini che documentano i devastanti effetti della guerra in Vietnam hanno inciso sulla sensibilità collettiva.
L’8 giugno del 1972 Nick Ut (n. 1951), che lavora come fotografo per la Associated Press, scatta la celebre foto a Kim Phúc, una bambina di nove anni che corre verso la macchina, nuda e gravemente ustionata, dopo che il suo villaggio è stato bombardato con il napalm.
L’immagine, che vinse il Pulitzer, il più prestigioso premio per il giornalismo, scosse a tal punto l’opinione pubblica occidentale da spingerla a chiedere la fine del conflitto.

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi